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Gesù Bambino in una grotta o in una stalla? La risposta definitiva all'annoso dubbio sul presepe

In un libro appassionato Marino Niola ed Elisabetta Moro intrecciano storie ed epoche sulla rappresentazione sacra sempre più popolata da personaggi contemporanei. Con Napoli al centro dell'attenzione

Stefano Milianidi Stefano Miliani   

Il 6 gennaio dalle nostre parti celebriamo l’Epifania, il giorno in cui i Magi portarono in dono a Gesù nel suo giaciglio oro, incenso e un unguento medicinale quale la mirra. La rappresentazione dalle nostre parti, soprattutto nel sud, è sentita con forza e a oggi rimanda spesso all’attualità, se pensiamo che uno street artist ha sistemato davanti a San Pietro il trio della sacra famiglia con giubbotti di salvataggio per richiamare il dramma dei migranti e rifugiati. D’altronde con i tre uomini venuti da Oriente davanti alla mangiatoia in cui è deposto Cristo si celebra un atto dal forte significato teologico e si rinnova la rappresentazione del presepe: alla sua tradizione due antropologi, Marino Niola ed Elisabetta Moro, hanno riservato un libro in cui intersecano storie, epoche, costumi con vivo gusto narrativo (Il presepe, Il Mulino, 244 pagine, 16 euro).

La grotta o la stalla?  

Innanzi tutto poniamo una domanda: qualora approntiate su qualche mobile di casa questa scena collettiva variamente popolata da pecore, pastori, contadini, magari personaggi contemporanei, dove collocate il bambino? In una grotta? O in una stalla? Non pensiate sia esattamente lo stesso. 
Riprendendo studi di Annibale Ruccello, tra Vangeli e Vangeli apocrifi la collocazione diversa cambia anche il significato teologico della scena, annota Elisabetta Moro. I testi apocrifi, scrive la studiosa, sono “linfa dei presepi e teatro delle classi subalterne napoletane”, gli artigiani partenopei “preferiscono la grotta, più vero del tempio diroccato, fedeli alla tradizione prima della Controriforma”; la grotta pertanto “è un’allegoria dell’umanità perduta nell’oscurità dei sensi e delle falsità”, “il Bambinello è la nuova luce che fa rifulgere il mondo”; di più, il cristianesimo soprattutto in Campania ingloba culti solari pagani del dio sole praticati in cavità del terreno o caverne per portare “i devoti verso una religiosità sempre più emendata dai segni e dai simboli precristiani”.

La vitalità di Napoli 

Abbiamo scritto “Campania”? Eh già. In questo ampio excursus Napoli la fa giustamente da padrona, è il fulcro del discorso dei due antropologi. Se Niola ricorda che la prima rappresentazione del Presepe a noi nota si ha con San Francesco nel paese di Greccio, nel reatino, celebrazione ripresa in una strabiliante scena affrescata da Giotto nel ciclo sul santo nella basilica superiore di Assisi, è la città ai piedi del Vesuvio che offre materiale e immagini di una ricchezza quanto mai vitale.

Da Bassolino e Maradona alla folla multietnica

L'immensa fortuna del presepe popolare a Napoli è che non costituisce solo una rappresentazione religiosa, come constata nelle sue pagine Niola. La messinscena comprende una folla oggi “multicolore e multietnica” e negli anni ’90 i due studiosi ravvisano cambiamenti decisivi, anzi una vera “mutazione antropologica della festa”.
Da una parte si assiste a una “rivincita delle botteghe artigiane”, dall’altra entra nel palcoscenico la politica: gli artigiani inseriscono infatti tra i personaggi l’allora sindaco – innovatore Antonio Bassolino, poi Berlusconi con tanto di avviso di garanzia (lo scrive Niola a pagina 14). Seguono a ruota lo spettacolo, il gossip, lo sport senza dimenticare l’immancabile Maradona trascinatore della squadra di calcio nel primo scudetto del 1986-87 e il bis del 1989-90, un dio del pallone in terra al cospetto della divinità cristiana.  

Anche il personaggio è un “abusivo” 

Non è nulla di blasfemo, per carità. Anche lo zampognaro è un personaggio aggiunto, un “abusivo”, se vogliamo attenerci alle sacre scritture. È che di fronte a un certo “realismo di maniera, a un bozzettismo estetizzante” in cui “si perde il senso culturale della rappresentazione” (come scriverà ancora Ruccello citato dall’antropologa”), il presepe popolare conosce appunto la sua rivincita dove, tra fontanelle, casupole e rupi convivono felicemente l’osteria, Bacco e la natività cristiana. È tutto parte del teatro della vita, tanto più per di chi deve barcamenarsi e riempire ogni giorno il piatto.

Il “Natale in casa Cupiello” di De Filippo 

D’altro canto come possa essere dirimente allestire un presepe lo ha dispiegato in tutta la sua potenza e ironia Eduardo De Filippo nella sua impareggiabile commedia del 1931 “Natale in casa Cupiello”, debitamente citata nel volume. Nello spettacolo ripreso prima in tv e in anni recenti dal nostro cinema un figlio debosciato rifiuta l’autentica devozione con cui il padre allestisce il presepe in un crescendo di equivoci e scontri con cui il drammaturgo svela magagne, conflitti e tradimenti dietro l’illusione di un’apparente serenità familiare.

Le bancarelle di San Gregorio Armeno

In fondo il discorso è anche questo: a fronte di una rappresentazione edulcorata con Gesù, Madonna, Giuseppe, bue, asino, cascatelle d’acqua vera, lavandaie, contadini, pastori e altre figure, nelle bancarelle nei vicoli in centro di San Gregorio Armeno irrompe la contemporaneità in un mescolamento di epoche che potremmo definire tanto postmoderno e consono ai nostri tempi. Non per niente rituali del presete da tempo includono calciatori, cantanti, dive e, con il Covid, anche i virologi. 

Ma questi sono solo alcuni dei numerosi tragitti che Niola e Moro percorrono: tra riferimenti colti come il presepe di Giotto o quello scolpito nel ‘200 da Arnolfo di Cambio nell’odierna basilica romana di Santa Maria Maggiore e rimandi popolari, i due antropologi esplorano con molta curiosità la rappresentazione di una “teologia in dialetto” che vede la “buona novella” diventare il nostro “presente” e che a oggi, per fortuna, non accenna a spegnersi.

 

 

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
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