La vita segreta delle opere d'arte e l'occhio di Elisa Sighicelli

Milano, 17 mag. (askanews) - Dove stanno le storie. Come arrivano a noi. In che modo l'arte è, sempre, una forma di narrazione a più livelli. Il lavoro di Elisa Sighicelli - fotografa e artista torinese che a ogni mostra stupisce per la naturalezza con la quale imbocca strade nuove che, senza clamore, fanno clamore - è un mondo dentro il quale venire assorbiti, lasciando che siano le opere stesse a indicarci i parametri fondamentali all'interno dei quali esistere come spettatori. Succede anche con la mostra "As Above, So Below", allestita alla GAM di Milano e curata da Paola Zatti, nella quale l'artista ha raccontato la vita segreta delle opere d'arte che stanno nei depositi del museo. Ne è scaturito un progetto visuale intenso, narrativo, avvolgente. L'occhio di Elisa Sighicelli, la sua consapevolezza di sguardo, ha costruito una serie di relazioni, di scambi, di fraintendimenti, di giochi, che sono alla base dei lavori e che generano un racconto sulla cui dimensione di artificio, ossia di oggetto culturale, non abbiamo alcun dubbio, ma contemporaneamente ci danno una indiscutibile sensazione di verità.
Artistica, ovviamente, ma pur sempre verità.E in questo aspetto c'è uno scarto rispetto ad altre serie di opere di Sighicelli, che ha spesso lavorato creando dei doppi perfetti, cambiando i materiali della sua fotografia per diventare, in una mimesi ostinatamente voluta, lo stesso oggetto che veniva ritratto, pur restando un'opera d'arte, e quindi distinta e "altra" per sua stessa natura. Alla GAM, invece, sono le opere d'arte, sculture dell'Ottocento e del Novecento, a volersi inventare come altro, e il lavoro della fotografia è quello di allontanarsi il più possibile da un'idea di mimesi, per ridare a quei corpi la loro libertà narrativa assoluta. E' un cambio di prospettiva e di postura che restituisce la cifra della mostra e della mobilità del modo in cui Sighicelli si muove sulla scena del contemporaneo. Sostanzialmente concettualizzandolo dentro qualcosa che, all'apparenza, non ha nulla di concettuale, anzi, ha l'intensità di un discorso sulla vita e sulle sua storie infinite.Tutto molto limpido, la mostra, e il discorso su di essa. Poi però si arriva nella sala in cui una grande statua è interamente ricoperta da un telo di plastica trasparente. E' una magnifica installazione, ricorda lezioni storiche dell'arte degli ultimi decenni, lascia lo spettatore ammirato, anche per la componente di desiderio che, sotto le trasparenze, continua a pulsare. Ma c'è di più: perché quel telo è lo stesso che Elisa Sighicelli ha usato per creare una serie stupefacente di fotografie durante il lockdown: grazie a quel velo - che alla fine è il velo della "realtà" - gli stessi ambienti della sua casa sono diventati luoghi metafisici, astratti, indispensabili. Ora il velo, che prima era un tramite, quasi fosse una tela davanti all'opera anziché a supporto, è qui, nella sua ordinaria concretezza. L'effetto è quello di una rivelazione, un altro cambio di prospettiva: la forza di una fotografia che è talmente consapevole da poter perfino fare a meno della fotografia. Stiamo tirando all'estremo, è chiaro, ma la misura della vertigine che si prova guardando da vicino il lavoro di Sighicelli è spesso notevolissima. E riserva continue sorprese.(Leonardo Merlini).