Le riaperture nel paese dove l’arte conta meno di un centro commerciale
Perché oggi è 26 aprile e da oggi, dopo sei lunghissimi mesi, cinema, teatri, pinacoteche, musei, parchi archeologici, complessi monumentali e mostre riaprono al pubblico.

C'è un cinema a Milano che si chiama Beltrade che ha dato il via alla programmazione dei film a cominciare dalle sei del mattino, subito dopo il termine del coprifuoco, con ‘’Caro Diario’’ di Nanni Moretti. Perché oggi è 26 aprile e da oggi, dopo sei lunghissimi mesi in cui ben due governi hanno preferito tenere chiese e centri commerciali aperti ma non sale e teatri, è consentito il riavvio degli spettacoli nei cinema nelle zone gialle, con una capienza non superiore ai 500 spettatori al chiuso e 1000 all’aperto. Ma le riaperture riguardano anche teatri, pinacoteche, musei, parchi archeologici, complessi monumentali e mostre. La Reggia di Caserta, il Colosseo, finalmente potranno essere nuovamente fruiti da tutti noi.
Le perdite economiche secondo la Fondazione Centro studi doc:
In Italia, nel 2019, quando il Covid era solo uno scenario da film distopico e non una terribile realtà, secondo i dati presentati dal Presidente dell’Inps Pasquale Tridico, il settore delle Icc impiegava 1 milione di persone e produceva un valore aggiunto di quasi 60 miliardi di euro (3,4% del Pil).
Se si considerano invece i numeri del 2019 della Fondazione Symbola, che include tutto il settore della “event industry”, e quindi considera anche lo sport, tutta la filiera in un anno produce 96 miliardi di euro (5,3% del Pil) per arrivare a 265 miliardi di euro considerando anche l’indotto (14,8% del Pil).
All’interno di questo quadro, nel 2019 il mondo dello spettacolo contava 327.000 lavoratori, di cui 160.000 situati in Lazio e Lombardia, e produceva un valore aggiunto di quasi 16 miliardi di euro (1% del Pil). Alla fine del 2020 in Italia si è valutata una perdita del 70% per il settore delle industrie culturali e creative che è correlato a un dimezzamento medio dei consumi culturali italiani (-47%). Come evidenzia l’indagine dell’Osservatorio di Impresa Cultura Italia-Confcommercio in collaborazione con Swg, si è infatti passati da 113 euro di spesa media mensile per famiglia nel dicembre 2019 a circa 60 euro nel dicembre 2020. Se si considera come riferimento l’intero mondo dell’event industry, e i dati relativi forniti dalla Fondazione Symbola, questo significa che in Italia il settore ha perso circa 67 miliardi di euro. Considerando anche l’indotto, c’è stata una perdita complessiva di circa 185 miliardi di euro.
Secondo il recente report di Siae, che confronta il primo semestre del 2020 con quello del 2019, considerando solo lo sbigliettamento, il primo semestre del 2020 il mondo dello spettacolo ha perso 1,8 miliardi di euro con calo della spesa complessiva del 72,9% (che corrisponde a -66,9% al botteghino, pari a 847 milioni di euro). Come racconta sempre Siae, ’attività che ha sofferto di più è stata quella dei concerti. I concerti hanno infatti perso l’86,7% di spesa complessiva del pubblico (-86,4% di spesa al botteghino) rispetto al 2019. Ciò corrisponde a circa 188 milioni di euro in meno solo per il primo semestre del 2020.

Per fare una stima annuale sulle perdite dei settori musica e spettacolo dal vivo, si possono incrociare i dati 2019 con le % di contrazione indicate da Ernst & Young. Ciò si traduce in una perdita rispettivamente attorno a 240 milioni di euro e a 7,4 miliardi di euro. Incrociando i dati 2019 con le stime dell’Osservatorio di Impresa Cultura Italia-Confcommercio, si calcola invece una perdita per il mondo di cinema, radio e tv di 5,2 miliardi di euro. In totale quindi, considerando tutti e tre i settori, la perdita per il mondo dello spettacolo nel 2020 si stima attorno ai 12,8 miliardi di euro.
Da contraltare al calo di spesa e presenze per lo spettacolo dal vivo vi è il fatto che rispetto alle forme di fruizione tradizionali della cultura, ha guadagnato sempre più spazio il digitale con la visione di spettacoli dal vivo, opere, balletti e musica classica soprattutto sul web o in televisione.
C'è una dichiarazione dello sceneggiatore e produttore Amedeo Pagani in una intervista rilasciata all'Huffington post che deve farci riflettere rispetto al settore delle sale cinematografiche: “Il cinema appartiene alle nostre vite di un tempo, si andava a cena e poi si andava al cinema. La sala cinematografica faceva parte delle consuetudini della civiltà di tutto il secolo scorso. Il ‘900 è stato il secolo del cinema, come l’800 è stato il secolo del romanzo. Mentre questi primi 20 anni del Duemila sono l’epoca di internet, semplice. E i giovani e i bambini sono ormai abituati a quel tipo di fruizione del prodotto audiovisivo. C’è poco da fare. Oggi c’è un desiderio di fare tutto da casa senza muoversi, stando seduti e premendo un bottone. Questo implica per forza una ridefinizione della sala e della sua fruizione che sarà molto penalizzata”. Ci sarà forse una voglia inziale di tornare fuori e infilarsi in un cinema perché stanchi delle restrizioni. “Ma nella lunga durata - continua Pagani - il tema della sala si porrà in maniera drammatica. Dico in maniera drammatica perché la mia generazione è cresciuta con l’idea che il cinema fosse fatto in maniera esclusiva per la sala. La sala cinematografica faceva parte delle consuetudini della civiltà di tutto il secolo scorso. Il ‘900 è stato il secolo del cinema, come l’800 è stato il secolo del romanzo. Mentre questi primi 20 anni del Duemila sono l’epoca di internet, semplice. E i giovani e i bambini sono ormai abituati a quel tipo di fruizione del prodotto audiovisivo. C’è poco da fare”.
Pensateci bene, oggi infatti alla domanda che film guardi rispondiamo “Guardo Netflix”, non il titolo di un film ma il nome di una piattaforma. Lo diceva già due anni fa Paul Schrader, celebre regista di “American Gigolo” e sceneggiatore di “Taxi Driver”. Forse la pandemia ha solo accellerato questa triste evoluzione dei nostri gusti riguardo a come trascorrere il nostro tempo libero, ma questo resta un fatto. Il mondo è cambiato. Lo hanno deciso i produttori di schermi giganti per le nostre abitazioni, prima e poi una politica distratta che in ques'anno e mezzo ha evitato che questa previsione si averasse.
Perché sì, ancora una volta abbiamo ricevuto un terribile insegnamento che riguarda il mondo della cultura: il trattamento che viene da sempre, e ora più che mai, riservato a questa realtà, è inaccettabile. Viviamo in un Paese che detiene il 60% dei beni artistici al mondo ma sembra che la bellezza, la cultura non siano considerate da chi ci governa ma anche dai tanti italiani che votano questi politici, non un bene di prima necessità. Eppure, come disse bene in uno dei suoi monologhi lo scrittore Stefano Massini: l’isolamento nelle nostre case ha dimostrato che è impossibile sopravvivere senza canzoni, libri e film, eppure chi ci governa continua a considerare teatri, cinema e musei, arene e ogni luogo per concerti come un fanalino di coda nell’elenco delle priorità. Eppure la cultura non solo muove centinaia di migliaia di posti di lavoro, ma è parte stessa del nostro Dna: “la ripartenza, qualunque essa sia, non può prescindere dalla musica, dal teatro, dal cinema, dai libri. Da tutto ciò che si traduce in ricordi e quindi in vita”.
Buona ripartenza a tutti noi. Ricordandoci che ciò che ci rende umani è la creatività, e che con questa creatività si mangia. Non un vezzo, un lusso o un capriccio. E' una straordinaria impresa economica da non trascurare.