Il teatro Carlo Felice di Genova e la jella: tutte le sfortune delle opere liriche da Dario Argento in poi
Stavolta, l’ultimo guaio capitato, giusto per completare il quadro, era pure di venerdì 13. Ma se c’è un’opera in cui la maledizione e la superstizione sono centrali nella storia, questa è “Rigoletto”

Stavolta, l’ultimo guaio capitato, giusto per completare il quadro, era pure di venerdì 13. Ma se c’è un’opera in cui la maledizione e la superstizione sono centrali nella storia, questa è “Rigoletto”.
E proprio con “Rigoletto”, la scorsa settimana alla prima della nuova versione del Carlo Felice di Genova, con un protagonista come il baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat, che è stato un Rigoletto straordinario, migliore in campo insieme a Claudia Castello per l’eleganza straordinaria, è andata in scena per l’ennesima volta la maledizione del teatro dell’Opera genovese, che ormai è diventata un vero e proprio classico.
A un certo punto, dopo pochi minuti dall’inizio del primo atto, al primo cambio di scena si è capito immediatamente che qualcosa non funzionava. E il resto è venuto di conseguenza: prima l’annuncio che per un inconveniente tecnico lo spettacolo sarebbe ripreso da lì a pochi minuti, poi un’ulteriore mezz’oretta di sospensione, fino alla soluzione del problema della macchina scenica e al trionfo artistico.
La scena più divertente erano i bambini del Conservatorio e ospiti dell’iniziativa di Iren che dona biglietti per portare ragazzi a teatro che avevano perso il conto degli atti, pensando che quello dovuto all’inconveniente tecnico fosse il quarto.
Insomma, è finita con un trionfo, anche perché “Rigoletto” è l’opera più pop a disposizione del repertorio verdiano insieme alla “Traviata” con una serie di classicissimi, da “La donna è mobile” a “Bella figlia dell’amor, schiavo son dei vezzi tuoi” resa ancor più immortale da “Amici miei”. E poi in “Rigoletto” ci sono “Dio, Patria e famiglia” (anzi, per la precisione “Culto, famiglia, Patria”), “Cortigiani vil razza dannata”, “Vendetta, tremenda vendetta” e “Questa o quella per me pari sono”. Insomma, metà delle cose che diciamo, delle frasi che usiamo, sono figlie di Rigoletto, di Verdi e del suo librettista Francesco Maria Piave, nell’opera più citata della storia.
E tutto questo si integra con un teatro come il Carlo Felice di Genova, che grazie al sovrintendente Claudio Orazi e soprattutto agli imput del sindaco Marco Bucci, che è presidente della Fondazione del teatro dell’Opera genovese, del presidente della Liguria Giovanni Toti e dell’assessore regionale alla Cultura Ilaria Cavo, tre “cagnacci” della capacità di tirare fuori il meglio dalle loro strutture, è stato il primo teatro lirico a riaprire dopo la pandemia, quello che ha fatto meno giornate di cassa integrazione in Italia e soprattutto ha lanciato idee come i concerti dell’orchestra del teatro nelle Chiese della regione e il concerto ad accompagnare i fuochi d’artificio per Euroflora, straordinario spettacolo piromusicale.
Insomma, oggi il teatro Carlo Felice e la sua Fondazione hanno dei primati. Ma allo stesso modo sono anche i perseguitati dalla sfortuna, come se aleggiasse una maledizione sul teatro genovese: prima del problema scenico su Rigoletto era già successo di tutto.
Ad esempio, alla prima precedente, quella della Manon Lescaut, come abbiamo raccontato su Tiscalinews, il tenore Marcelo Alvarez, che – eufemisticamente – non era in forma, ha abbandonato il palco con la scusa dell’allergia al fumo di una locomotiva che arrivava in scena secondo i dettami registici di Davide Livermore. Insomma, se ne è andato, è arrivato un nuovo tenore e si è resettato tutto, riprendendo dall’inizio e rifacendo tutta la prima parte dello spettacolo. Peraltro, il sostituto ha dovuto cantare con la mano in tasca perché si era rotto il polso durante le prove.
Mica finita. Perché nell’opera ancora precedente, sempre di questa stagione, “Anna Bolena”, un incidente in cui è occorsa il soprano Angela Meade nel secondo atto l’ha costretta a cantare da ferma.
Ancora. Sempre a una prima, stavolta quella de “La Vedova allegra”, c’è stato un guasto alla macchina scenica bloccata alla fine del secondo atto, con pausa non prevista di dieci minuti e ripresa con gli elementi di una giostra con i cavallini spostati a mano dagli attrezzisti sino alla riparazione e alla ripresa del canto e della musica.
Mica finita. Perché anche nello spettacolo prima, “Bianca e Fernando”, durante una replica, la bellissima scenografia, con una macchina molto complessa, si è bloccata. E ancora, anche in altre stagioni, alla prima della “Traviata” che ha aperto il cartellone 2016, il tenore Giuseppe Filanoti fu sostituito a causa di un abbassamento di voce durante la seconda pausa.
Potrei continuare a lungo.
Ma qui arriviamo alle leggende sull’opera e ai suoi riti: alla prima di Rigoletto, ad esempio, due signore vestivano di viola, colore maledetto nel mondo lirico, anche se ad esempio Livermore, che è il numero uno dei registi d’opera al mondo, lo esorcizza vestendo sempre con un po’ di viola indosso. E poi ovviamente ci sono tutte le cabale sulle opere che “portano sfortuna”: nel mondo del teatro si dice che il “Macbeth” non porti bene ai suoi interpreti, ma su tutte – fin dal suo esordio verdiano – è “La forza del destino” quella più indiziata dai superstiziosi. E, ovviamente, tutto questo non ha risparmiato il Carlo Felice.
Nel suo ultimo allestimento genovese, l’opera fu prima rinviata per uno sciopero dei lavoratori, poi le prove fecero registrare un boom di faringiti e infine anche Renzo Arbore, che avrebbe dovuto esibirsi in una pausa delle rappresentazioni de “La forza del destino”, dovette dare forfait per un’”improvvisa indisposizione”. Del resto, proprio il “Macbeth” è protagonista di “Opera” il film di Dario Argento ambientato nel mondo della lirica, che si lega moltissimo proprio al “Rigoletto”.
Narrano gli esperti di opere liriche che Dario Argento propose per la stagione lirica di Macerata una versione horror dell’opera verdiana. Gli organizzatori si spaventarono per la versione particolarmente splatter proposta dal regista e fecero dietrofront. Scattò in Argento il desiderio di vendicarsi, trasformando il mondo della lirica nel palcoscenico ideale di misteriosi e violenti fatti di sangue e opere maledette. E questo avviene fin dalla prima scena di “Opera” con corvi, teschi, fumi e elementi scenici che terrorizzano la protagonista, una giovane soprano esordiente che prende il posto di una famosa collega alla vigilia della prima del “Macbeth”.
E a chiudere il cerchio fra Dario Argento e Carlo Felice è il fatto che proprio il maestro dell’horror fu scelto dal teatro genovese per la “Lucia di Lammermoor”. Ma, al momento di andare in tournèe in Oman, si dovette procedere ad alcuni cambi di scena rispetto alle scelte del regista romano: "Il fantasma nudo che esce dalla fontana – spiegò il responsabile dell’allestimento Eugenio Musenich - ovviamente non sarà più nudo: il costumista Gianluca Falaschi sta creando una tunica per dare corpo spettrale al fantasma voluto da Argento. Non ci sarà più il cimitero scozzese con le sue croci e lapidi e la scena del delitto che nella versione in scena in Italia dura 10-13 secondi probabilmente non comparirà: è allo studio una soluzione". Insomma, Lucia uccide Arturo durante la prima notte di nozze e l'immagine dell'omicidio voluta da Dario Argento è proprio una immagine 'alla Dario Argento': sangue, sangue e ancora sangue. D'altra parte Lucia impazzita per l'amore negato non può andar tanto per il sottile. Ma un'immagine cruda, una donna che uccide un uomo sul talamo nuziale, è cosa che poteva difficilmente essere assorbita da un pubblico musulmano”.
Insomma, mai parlare di Fantasma dell’opera è stata così azzeccata come metafora.