L’unico carcere al mondo che ha un teatro è in Italia. Si può anche noleggiare un “libro umano”
Ciò che accade nel carcere di Marassi a Genova è qualcosa di unico. Il momento in cui si varca il portone è impressionante. Il progetto per cui si può “noleggiare” per mezz’ora una storia narrata da un carcerato
C’è uno splendido film di Riccardo Milani, con Antonio Albanese, “Grazie ragazzi”, che racconta di un gruppo di detenuti che fanno teatro in carcere e, un po’ alla volta, diventano grandi attori. E poi c’è la Compagnia della Fortezza di Armando Punzo che ha reso famosi nel mondo i detenuti-attori del carcere di Volterra, trasformandolo così in una delle prigioni in assoluto più risocializzanti, secondo lo spirito della Costituzione, per cui la detenzione deve essere riabilitativa e non afflittiva. Anche perché altrimenti non serve a nulla e, anzi, è molto più probabile che i detenuti tornino a delinquere una volta usciti e arrabbiati col mondo. Insomma, il concetto che gli addetti ai lavori chiamano “trattamentista” è un perfetto riassunto dal teatro in carcere, forse la sua massima sublimazione.
Ma ciò che accade nel carcere di Marassi a Genova, è qualcosa di unico. Infatti in questo penitenziario, di antica concezione, come tutti quelli ospitati nei centri cittadini, c’è l’unica sala teatrale d’Europa e forse del mondo all’interno della cinta muraria.
Il Teatro dell'Arca
Si chiama “Teatro dell’Arca” ed è stata una straordinaria intuizione dell’allora direttore Salvatore Mazzeo e di Sandro Baldacci, il regista che, fino alla scomparsa, sei mesi fa, è stato cuore e anima, viscere e cervello di tutto questo e della compagnia genovese “Teatro Necessario”.
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Il fatto che la sala sia all’interno dell’area carceraria e non si tratti di rappresentazioni esterne significa che per entrare ad assistere agli spettacoli - messi in scena dai carcerati, ma anche da compagnie esterne - occorre comunicare prima i propri dati e documenti, spegnere i telefoni, passare da un controllo ed essere accompagnati in sala dagli agenti di polizia penitenziaria.
Il momento in cui si varca il portone è impressionante la prima volta, soprattutto per chi non è mai stato in carcere, nemmeno per visite o volontariato. Le guardie vanno avanti e indietro sui camminamenti che collegano le torrette del muro di cinta. Altri agenti aprono il pesante portone guardando dallo spioncino chi sta per entrare. Poi, però, passato tutto questo, si entra in un altro mondo. Che è un mondo fatto di arte e passione.
"Sette minuti" di Massini
La rappresentazione di “Sette minuti”, il testo di Stefano Massini su un gruppo di operai in Francia che deve decidere se accettare di ridurre di sette minuti il suo tempo di pausa per evitare la chiusura dell’azienda dopo la sua cessione a una multinazionale, ha avuto la sua prima al teatro Ivo Chiesa che dista meno di cinquecento metri e sei fermate d’autobus, ma anche la distanza che separa la libertà dalla detenzione. Come ogni anno il teatro Nazionale diretto da Davide Livermore e con Andrea Porcheddu come dramaturgo ha messo nel cartellone della sua stagione uno spettacolo di questa compagnia.
In questo caso, c’è stata la possibilità di recitare fuori dal carcere perchè i detenuti attori erano quelli della sezione di media sicurezza, reati con pene minori, che quindi potevano uscire con il permesso del magistrato di sorveglianza.
Lo spettacolo successivo, “La parola ai giurati”, il testo di Reginald Rose, da cui è stato tratto il film di Sidney Lumet che è uno dei pezzi della storia del cinema ha avuto invece come protagonisti gli attori detenuti nella sezione di alta sicurezza della casa circondariale di Genova Marassi, che invece di qui non possono uscire.
Compagnie multietniche
Sono compagnie multietniche, esattamente come lo sono le carceri. E sono compagnie che hanno provato gli spettacoli per mesi e mesi, con ottimi risultati. La cosa più bella è sentire raccontare dalle loro voci l’importanza del teatro in carcere. Racconta Salvatore, che viene dalla Sicilia, che l’emozione di recitare davanti a un pubblico “è molto più piacevole di quella che ho sempre provato davanti alle corti quando sono stato a processo, un’emozione diversa” e i suoi compagni di palcoscenico spiegano che la scelta di questo testo, dove si parla del rischio di errori giudiziari “è anche l’occasione per parlare del concetto di giustizia”.
Ovviamente, non possiamo dire i loro nomi, ma i detenuti-attori hanno storie ricche di splendida umanità, spesso di consapevolezza dell’errore, quasi sempre della volontà di riscatto. Con la situazione raccontata fin dal titolo della stagione: “Dato il posto in cui ci troviamo”.
Ma non finisce qui con gli spettacoli realizzati dai detenuti che escono, dagli attori liberi e artisti professionisti che entrano (in cartellone c’è stata anche l’ex cantante dei Matia Bazar Antonella Ruggiero o la prima diffusa del teatro dell’Opera Carlo Felice) e dai detenuti che non escono.
Il "libro umano"
Perchè il Teatro dell’Arca è anche la sede della “Biblioteca vivente”, un progetto in occasione di Genova capitale italiana del libro, portata avanti da Teatro Pubblico Ligure e Abcittà living library, in cui anzichè chiedere in prestito libri, ci si prenota per “noleggiare” per mezz’ora una storia, un “libro umano”. Lo si fa al mercato, lo si fa in biblioteca, lo si fa nei vicoli di Genova e in questo caso lo si è fatto in carcere, con la possibilità di fare domande, rispettando il proprio interlocutore e con la possibilità da parte del “testo umano consultato” di interrompere la consultazione.
E così Andrea mi ha raccontato la storia del giorno peggiore della sua vita, quando la sua compagna ha perso un figlio e lui era in carcere e non poteva farci nulla. Mi ha raccontato i suoi errori, le sue risse in carcere e i suoi amici traditori. Anche le sue colpe. Adil invece ha raccontato il sogno del calcio, un padre assente e i sogni che gli si sono frantumati in mano, con le ferite e le cattive compagnie.
Ahmed confessa il suo amore difficile dietro le sbarre e Claudio racconta la sua vita da malato dietro le sbarre: “Mi chiamavano “l’infartista” un po’ per sminuire i miei problemi di salute, come fossi un malato immaginario, mentre io stavo male sul serio”.
E anche questa è l’occasione per raccontare la sanità dietro le sbarre, la tossicodipendenza di molti come unico antidoto alla noia.
Ecco, la noia. Se c’è una pena più afflittiva per chi è in carcere è proprio la noia, il passare giornate in cella o negli spazi comuni senza avere nulla da fare. “Quando abbiamo visto affisso alle sbarre il bando per poter fare le audizioni per il teatro ci siamo immediatamente iscritti proprio anche come antidoto alla noia”. Poi, sono diventati attori. Attori veri.