Verità e menzogne, tra finti testimoni e amnesie, 33 anni dopo Via D'Amelio: il monologo di Claudio Fava
Nei teatri italiani in questi giorni lo spettacolo firmato dallo scrittore e giornalista catanese; il giudice ucciso dalla mafia è interpretato da David Coco

Paolo Borsellino non è stato solo uno dei tanti magistrati uccisi dalla mafia. A distanza di 32 anni dalla sua morte, avvenuta in via D'Amelio a Palermo il 19 luglio 1992 in uno degli attentati mafiosi più violenti che la storia italiana ricorda, il suo nome è diventato simbolo della lotta alla criminalità e punto di riferimento per quella parte del Paese che chiede giustizia e verità in un momento nero per l'Italia. Borsellino è il protagonista di La grande menzogna, spettacolo scritto e diretto da Claudio Fava, giornalista, politico e scrittore catanese (e figlio del giornalista Giuseppe assassinato a Catania nel 1984), in questi giorni in scena al Teatro Belli di Roma con repliche fino a domenica 2 marzo. Lo spettacolo, prodotto da Nutrimenti Terrestri, sarà poi al Teatro Turi Ferro di Acireale il 15 marzo, al Teatro Massimo di Siracusa il 20 e 21, al Piccolo Teatro di Catania il 22 e 23 e concluderà il suo tour al Grifeo di Petralia Sottana, Palermo, il 28 marzo.
Un monologo che non è semplice narrazione dei fatti
In scena l'attore David Coco che si fa voce e volto del giudice palermitano in un monologo che non è semplice narrazione dei fatti, della vita e dell'impegno di Borsellino: è il racconto di un testimone che può mostrare al pubblico, con il distacco di chi non c'è più, la “grande menzogna” che per anni ha accompagnato le indagini e il processo attorno alla strage di Via D'Amelio in cui, oltre al giudice, morirono dilaniati da 90 chili di esplosivo nascosti in una Fiat 126 gli agenti Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio.

"Garbuglio di menzogne"
Sul palco, la morte del giudice è “un garbuglio di menzogne, finti testimoni, amnesie, sorrisi furbi, processi viziati, infiniti silenzi e sfacciate, sfacciatissime menzogne”, scrive l'autore, che negli anni ha lavorato per il Corriere della Sera, l'Espresso, l'Europeo e la Rai e scritto per la tv, il cinema e il teatro. E' un monologo che da spazio a una verità diversa rispetto a quella ben nota emersa dai processi: l'attentato di Via D'Amelio ha avuto altre responsabilità, sconosciute perché oggetto di depistaggi venuti alla luce anni dopo. A partire dal super testimone, Vincenzo Scarantino, autore di piccoli reati che decise di collaborare con la giustizia assumendosi la responsabilità del furto dell'auto che sarà imbottita di esplosivo e portando alla condanna di diversi mafiosi, tra cui Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, durante i primi processi per la morte di Borsellino e della sua scorta. Una figura poco credibile, secondo la magistrata Ilda Bocassini, poi scagionata anche dal pentito Gaspare Spatuzza che confessò di essere il vero autore del furto della Fiat 126. Anni dopo, nel 2019, Scarantino fu di nuovo testimone in tribunale, questa volta nel processo per depistaggio sulla strage di Via D'Amelio definito “Borsellino quater”: “Ero un ragazzo – ha detto in aula - . E se non combaciavano le cose che dovevo dire, loro mi dicevano di non preoccuparmi. Io andavo dai magistrati e ripetevo, quando ci riuscivo, quello che mi facevano studiare”.
I tanti "non ricordo"
Ecco la prima menzogna dopo la morte di Borsellino, ne seguiranno tante altre, raccontate nello spettacolo di Claudio Fava proprio dal giudice in veste di accusatore lucido e rabbioso, a tratti ironico e imprevedibile, per mostrare le verità a cui per troppo tempo non abbiamo creduto, convinti che il male risieda solo nelle grandi organizzazioni criminali e non in mezzo a noi. Anni dopo, sottolinea lo scrittore, è stato impossibile ricostruire la realtà dei fatti a causa dei tanti “non ricordo” veri o presunti, e così, ammette Claudio Fava, “la ricerca della verità è stata lasciata esclusivamente sulle spalle dei familiari”.