Torna in scena Alfonsina Panciavuota, l'opera pluripremiata che racconta il passato denunciando il presente
Una favola nera di riscatto, scritta e interpretata da Fabio Marceddu e incardinata nella finissima regia di Antonello Murgia che disegna l’itinerario iniziatico e liberatorio di una donna povera, venduta a soli dieci anni d’età a una famiglia di proprietari
Il Teatro dallarmadio presenta “Alfonsina Panciavuota”. L'unica compagnia teatrale sarda ad aver vinto il I° Premio Museo Cervi - Teatro per la Memoria e il Festival della Resistenza, ritorna in scena a grande richiesta per il festival Storie di donne che fanno la storia, promosso da Mezcla intercultura, sabato 22 Giugno, a Casa Saddi, Pirri.
Questo ha il sapore di un debutto dopo il fermo di oltre quattro anni, determinato da una serie di eventi, che ne avevano bloccato la tournèè nazionale in partenza. Tanto tempo in cui la drammaturgia è stata ulteriormente affinata tradotta in spagnolo ed in inglese in attesa di definire nuovi scenari oltre la penisola.
Alfonsina Panciavuota nata all'interno di Montagne Racconta nel laboratorio di drammaturgia condotto da Francesco Niccolini, è uno spettacolo necessario che racconta il passato denunciando il presente.
Cosi la giuria ha motivato l'ambito premio:
“Una favola nera di riscatto, scritta e interpretata da Fabio Marceddu con cura artigianale, lavorando per sottrazione la propria recitazione vibrante che tocca e commuove nel risuonare solitario di più voci e figure. Una creazione incardinata nella finissima regia di Antonello Murgia che disegna l’itinerario iniziatico e liberatorio di una donna povera, venduta a soli dieci anni d’età a una famiglia di proprietari minerari: detentori di un potere oppressivo e violento nella Sardegna del secondo dopoguerra del secolo scorso. Un’opera capace di restituire il nodo di storie di una generazione di madri e donne non solo sarde, ma di ogni luogo e tempo dove c’è un’Alfonsina Panciavuota affamata di equanime rispetto, giustizia e amorevole dignità contro le tracotanze dei potenti”
Lo spettacolo, prodotto dal Teatro dallarmadio in collaborazione con Montagna Racconta è scritto e interpretato da Fabio Marceddu, con la regia di Antonello Murgia che firma anche le musiche originali e l'impianto scenico, si avvale della collaborazione drammaturgica di Francesco Niccolini.
L'opera ha vinto il Festival della Resistenza. Ha vinto inoltre il Premio della Critica dell'Ermo colle a Parma, e a Rimini il Festival Le voci dell'anima.
Grande soddisfazione per l’attore Fabio Marceddu e per il regista Antonello Murgia, per quel premio che ha sancito il ritorno alla prosa del teatro dallarmadio, non solo impegnato con produzioni “brillanti”, ma capace di affrontare con evidenti riscontri anche orizzonti drammatici.
Sinossi:
Siamo in una Sardegna del secondo dopoguerra, periodo in cui alla crisi legata alla caduta del regime si aggiunge la crisi del sistema. È in questo scenario che si sviluppa la tragedia personale di Alfonsina Panciavuota, classe 1932, l’ultima di nove figli, venduta a 10 anni come serva al padrone della miniera, Caterino Spinetti.
Quattro lunghi anni di soprusi e abusi che segneranno indelebilmente il resto della sua vita. Alfonsina porta sulle spalle tutto il peso di una memoria proletaria offesa, riuscendo però a trovare la forza per opporsi e tentare di cambiare il proprio destino. Fabio Marceddu affronta la storia di una delle tante “pance vuote” di quegli anni, costruendo un personaggio capace di parlare direttamente alle coscienze di un pubblico che non ha più memoria di quando “i figli si vendevano come bestie” perché erano troppi, o di quando la terra e la casa erano gli unici beni capaci di dare dignità alle persone. Un feroce viaggio alla scoperta della parte in ombra della nostra società, raccontata tra bisbigli e sussurri. Alfonsina Panciavuota è un inno agli ultimi, un corale a voce sola, quello di una donna che è tutte le donne. Donne che nei secoli hanno sopportato e sopportano in silenzio la subalternità imposta della loro condizione femminile, lasciando andare – quasi rassegnate, come se fossero colpevoli – la propria libertà di scegliere.
COSĺ LA CRITICA
“Nell’opera di Marceddu, diretto da Antonello Murgia, cogliamo quella recitazione a cavare, tesa nella ricerca di un’energia delicata in costante contrasto con la crudezza degli eventi, che è anche la cifra sublime dei ruoli femminili di Saverio La Ruina”
Andrea Zangari | Scene contemporanee
“.. densa di afrori sardi, è scritta e interpretata con toni di verità da Fabio Marceddu, in un registro narrativo sobrio e misurato”
Claudio Facchinelli | Corriere dello spettacolo
“Fabio Marceddu inizia il suo racconto: dopo tre fiati è già finito. I quattro lunghi penosi anni che Alfonsina porta sulle sue spalle nere sono segnati da movimenti netti, luci precise, litanie portate dal vento. I visi puntuti della famiglia Spinetti si compongono sulla trama sofferente di stoffe morbide e nere. La dignità di Alfonsina e del suo amore è una conquista dolorosa e fragile. Persino le lacrime sacrosante del finale sono un lusso che la miseria non può permettersi. Un premio per questo spettacolo è poca cosa. Se potete, correte a vederlo”
Francesco Gallo | Permarecontromano
“A parte la bravura di Marceddu in quanto attore, l’ideazione scenica e la regia di Antonello Murgia offrono invenzioni che sul piano figurativo ed espressivo risultano, in pari tempo, fondate e intriganti. Vedi la sequenza in cui Alfonsina leva in alto la bambola che rappresenta se stessa e, con ciò, richiama in maniera eclatante il Bunraku, il teatro giapponese dei burattini in cui in cui il «ningyo», giusto il burattino, viene manovrato dagli operatori a vista; e vedi, soprattutto, quella sorta di dissolvenza incrociata che comprende in successione la zuppiera portata in tavola dall’Alfonsina/serva e i tre stracci rossi che dalla stessa, per alludere all’uccisione delle zitelle Spinetti, tira fuori l’Alfonsina/vendicatrice” Infine, una curiosità: il Fabio Marceddu inguainato in quella sua disadorna veste nera richiamava molto da vicino il Saverio La Ruina di «Dissonorata»
Enrico Fiore | Controscena