Bimbe usate da madri irrisolte: la piaga delle baby Miss e la morte orrenda di JonBenét
Il rapporto malato tra una madre arrivista e una figlia bisognosa d’affetto è il fulcro del monologo, che, in toni crudi e feroci, scandaglia la parte più oscura dell’animo di una donna che sogna una vita diversa, anche a scapito della felicità della sua bambina

"Nel 1999 andai negli Stati Uniti e fu lì che per la prima volta sentii parlare di JonBenét Ramsey, una super reginetta di bellezza che vinceva ogni concorso e che faceva soldi a palate grazie ai suoi modi da adulta e al sorriso sbarazzino. JonBenét era nata nel 1990, come me, ed era morta assassinata la notte di Natale del 1996, strangolata nel seminterrato di casa. Non è mai stato identificato l'assassino, o l'assassina. Non potevo crederci. Quella bambina famosa, bellissima, che sembrava destinata a grandi cose, era stata uccisa in un modo così brutale da farmi avere incubi per settimane. La scoperta del mondo delle baby miss fu così per me inevitabilmente legato a un alone di orrore, finzione, infelicità. Il 30 Gennaio 2022 la miss America del 2019, Chesley Kryst, conduttrice tv e laureata cum laude in giurisprudenza, si è suicidata buttandosi da un grattacielo nel centro di Manhattan. Ha lasciato un biglietto in cui dichiarava di affidare tutte le sue cose alla madre senza aggiungere altro".
A partire dalle storie di queste due sfortunate miss, da numerose ricerche sul fenomeno delle pageant queens e dalle riflessioni sui rapporti malati tra madri e figlie (che nell'ambito della competizione raggiungono l'acme della disumanità), è nato il testo di "Miss Mother" firmato dall'autrice teatrale Emilia Agnesa. Si parla di una donna irrisolta disposta a tutto pur di far vincere la figlia, lasciando però che anche la bambina, poi ragazzina, potesse dare la sua versione dei fatti. C'è il dietro le quinte della vita di una baby miss come JonBenét, raccontando anche la sua adolescenza, ormai compromessa da una mentalità deviata, come forse fu quella della depressa vincente Cheslie. "È un testo a cui tengo tanto, in cui ho riversato molte frasi e dinamiche purtroppo realmente accadute".
La trama: Monica è una madre single che spinge la figlia ancora bambina, Erika, a partecipare a estenuanti concorsi di bellezza per piccole miss. Durante l’ennesima gara Erika ha un blocco: non vuole più competere e non riesce a spiegare il perché. La madre cerca di spronare la bambina a non mollare, in un flusso di coscienza da cui emergono ricordi e rimpianti, speranze e frustrazioni. Nel crescendo di accuse nevrotiche da parte di Monica, Erika rivelerà infine la tragica verità nascosta dietro al rifiuto di sfilare ancora. Il rapporto malato tra una madre arrivista e una figlia bisognosa d’affetto è il fulcro del monologo, che, in toni crudi e feroci, scandaglia la parte più oscura dell’animo di una donna che sogna una vita diversa, anche a scapito della felicità della sua bambina.
La nostra intervista all'autrice e sceneggiatrice Emilia Agnesa:
Attualmente ci sembra di aver superato questa cultura della "Miss". Ma è veramente così o solo per chi vive in una bolla (come me suppongo)?
Lo spettacolo che ho scritto, “Miss Mother”, sfrutta il contesto di un concorso di bellezza per piccole miss per parlare del rapporto malato tra una madre e una figlia. Avrei potuto ambientarlo in un momento prima di una competizione sportiva o di un evento pubblico. Siamo perennemente schiacciati da ambizioni che ci portano a proiettare desideri e sogni di gloria e che ci rendono a volte ciechi di fronte alle nostre reali possibilità e competenze. Mi interessava indagare lo spirito arrivista di una madre che riversa sulla sua bambina tutte le frustrazioni di una vita ritenuta mediocre e banale rispetto a quello che la donna crede di meritarsi. Il film “Bellissima” con l’intramontabile Anna Magnani è sicuramente una delle ispirazioni artistiche più evidenti per questo lavoro, ma sono purtroppo tanti fatti di cronaca anche recenti che mi hanno spinto ad approfondire la voglia di rivalsa in un contesto familiare tossico. In quest’ottica, la “cultura della miss” si trova in qualunque aspirazione che porta all’ossessione della visibilità e della “vittoria”, per le quali ci si abbassa a qualunque cosa pur di ottenerle.
Il mito della bellezza femminile è da incolpare del tutto agli uomini o anche noi donne abbiamo una responsabilità in questa corsa insensata alla perfezione estetica? Oggi che siamo più consapevoli e istruite di ieri…
La società in cui io sono cresciuta, per quanto circondata da donne e uomini lontani da una mentalità superficiale, è quella in cui ti viene detto che se sei bella/bello avrai la vita più facile. Non ne faccio un discorso prettamente di genere, ma è evidente che la pressione del “bell’apparire” investa di più le donne, poiché per secoli da noi non ci si è aspettato altro che d’essere belle, giovani e remissive. La situazione oggi, per fortuna, è diversa, si dà valore alla cultura, all’intraprendenza, ma si continuano a imporre nuovi standard di bellezza rigidi, tanto alle donne quanto agli uomini, tali da renderli insicuri, alla ricerca di una perfezione assurda in sé stessi e nel partner, illudendoli che questo possa dar loro serenità.
Il mito della bellezza serpeggia e serpeggerà sempre. Imparare a conviverci e trovare in noi stesse la forza di fregarcene, capire che la bellezza sia dannatamente soggettiva è un percorso a volte lungo, le cui fragilità e tensioni, secondo me, sono radicate proprio in quei rapporti familiari di cui parlo in modo estremo nel testo. Se una persona, uomo o donna che sia, ricerca in modo spasmodico una bellezza conforme alle regole non mi sento assolutamente di giudicarla, ma temo che sarà solo un percorso molto duro, dispendioso e che non porterà mai alla pace con sé stessi.
Quanto c'è di capitalista e consumista nella cultura della bellezza fisica?
Parlare di aspetti della nostra vita privi di consumismo, in questa parte del cosiddetto “primo mondo”, è davvero difficile. Quello che noi consideriamo “bello” è spesso frutto di mode, che “etichettano” come “bello” forme e caratteristiche che magari in capo a due anni saranno ritenute nuovamente “poco piacevole”. Ma poi etichettate da chi? Il termine “cellulite”, nell’accezione negativa che diamo oggi, fu inventato per esempio da un articolo di Vogue nel 1968, le creme miracolose, dalla tv ai social, sono sempre sponsorizzate facendo perno sulle insicurezze create ad hoc dalla tv e dai media. Il marketing della cosmesi e della cura del corpo è un circolo vizioso in cui vendono un modello, uno standard fisico che è lontano dalla maggior parte delle persone e che perciò impone spese e investimenti. “Accontentarsi” di quello che si è non potrà mai essere una moda, perché crollerebbero interi marchi e aziende che fatturano tanto.
Si vende l’illusione non solo di essere migliori di quello che si è, ma anche di piacere di più. Nel testo la protagonista, la madre arrivista Monica, dice una frase che per me racchiude tanto di questa mentalità malsana, contro cui ci scontriamo ogni giorno: “Il ruolo di noi donne a questo mondo è di piacere a tutti e forse, alla fine, piacere anche a noi stesse.”
Le bambine in quali paesi sono maggiormente a rischio? In Italia sono più tutelate che negli Usa?
Il discorso è immenso e perciò cercherò di circoscriverlo al mondo “occidentale” poiché è quello che affronto nello spettacolo. Se si digita su un motore di ricerca “concorso baby miss” i risultati, persino nella nostra Italia, sono tanti e con regolamenti molto inquietanti. Il fenomeno dei concorsi di bellezza per bambine porta alla luce il vero male di queste manifestazioni: la sessualizzazione dei minori. Per contrastare questo reato, poiché di reato si tratta, il Consiglio d’Europa ha emanato nel 2016 due documenti: una risoluzione una raccomandazione contro l’ipersessualizzazione dei bambini e degli adolescenti invitando gli stati membri a impegnarsi per combattere il fenomeno. La Francia per esempio già nel 2013 aveva vietato con una normativa la partecipazione ai concorsi a chiunque non avesse compiuto sedici anni, scatenando le ire di moltissime mamme di piccole miss. Purtroppo l’oggettificazione delle bambine, tra i vari talent, i social e certe abominevoli campagne pubblicitarie, non sembra arrestarsi e ha come principali complici i familiari delle stesse. Le mamme, in particolare. Sicuramente l’Italia, pur avendo concorsi di bellezza anche per le più piccole, non raggiunge i livelli di mostruosità dei cosiddetti Child Beauty Pageants degli Stati Uniti. Negli ultimi anni, grazie a documentari e reality, la denuncia della follia e del disagio fisico e mentale che queste gare arrecano alle bambine si è fatta più evidente, ma le baby miss continuano a esserci, così come le madri che le imbottiscono di lassativi, caffeina, pillole dimagranti e botox per le prime rughe. La bibliografia e la sitografia in proposito è sempre più ricca e fa sperare che presto si ponga fine a questi contest disgustosi, patriarcali, abilisti, ma non è la prima volta che i diritti umani negli Stati Uniti sono ben più calpestati rispetto all’Europa.
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Questo spettacolo andrà nelle scuole?
Ogni spettacolo che scrivo mi auguro vada anche nelle scuole. Ciò non influenza minimamente i temi o il linguaggio che uso, semplicemente mi piace immaginare anche che risposta potrebbe avere quel testo di fronte a un pubblico “onesto”, quale è quello dei giovani. Vorrei che l’andare a teatro diventasse una prassi usuale e consolidata nell’offerta formativa di qualunque istituto, una vera e propria materia scolastica, ma, visti i tempi politici che viviamo, temo sia quasi un’utopia. Purtroppo per noi autrici o autori, nel momento in cui affidiamo un testo a una compagnia, abbiamo poco potere decisionale sulla distribuzione e sulle “vita” dello spettacolo da noi scritto, ma spero davvero che “Miss Mother” possa essere visto da quanti più ragazze e ragazzi possibili.
Tu sei un'insegnante, hai notato alle superiori se la cultura femminista è presente fra le più giovani o siamo ancora molto indietro?
Per quanto riguarda la mia esperienza, che si basa al 90% sull’insegnamento di latino e greco nei licei classici, ho visto una profonda politicizzazione e una grande consapevolezza delle battaglie civili da parte delle adolescenti, sia nei licei cagliaritani che in quelli romani. Non solo sono tantissime le ragazze attivamente impegnate, ma anche nel loro relazionarsi con il prossimo vedo un’apertura e un rispetto maggiore rispetto ai miei tempi. Non mancano ovviamente anche casi di giovani che negano l’esistenza del patriarcato o alcune che dicono che i femminicidi in fondo siano solo un’esagerazione di dati e fatti (sic!), ma sono una netta minoranza e, ogni volta che ci sono discussioni del genere, come insegnante, cerco di dare gli strumenti perché ognuna di loro possa accorgersi di quanto la mentalità maschilista sia radicata in tutte noi. Purtroppo, di fronte a certe realtà familiari e a un’educazione che vede nelle lotte femministe un vero e proprio “fastidio”, la scuola può fare ben poco, ma quel poco è comunque fondamentale e, io credo, doveroso. Ho fiducia nelle giovani. La superficialità e l’indifferenza alle tematiche femministe, oggi come dieci o trent’anni fa, in molte adolescenti c’è, credo però che la percentuale delle ragazze informate e militanti sia confortante.