Applausi a scena aperta, gli occhi lucidi dei ragazzi: vi racconto il teatro che riparte con un pugno nello stomaco

Riaperture sempre posticipate, il mondo del teatro prova a ripartire dal Nazionale di Genova dove il suo direttore Davide Livermore studia un modo per "esserci" anche nell'assenza

di Massimiliano Lussana

Alla fine, le chiamate in scena per la protagonista Linda Gennari sembrano non finire mai e il quarto d’ora di applausi dopo due ore di monologo intensissimo è quasi un sabba liberatorio e ritmato non solo per la grandissima prova d’attore e fisica di Linda, ma anche per segnare il ritorno di un pubblico in teatro italiano dopo un’assenza che va avanti dal 24 ottobre, per un DPCM che doveva durare un mese, ma poi è andato avanti ad oltranza, senza quasi che teatri e cinema (e palestre e centri benessere e piscine e terme) chiusi venissero citati nelle reiterazioni del provvedimento.

A un certo punto, dall’allora MIBACT, oggi ministero della Cultura, di Dario Franceschini, è arrivata anche una data per la riapertura dei teatri, il 27 marzo, data della Festa Europea del Teatro, che sarebbe stata anche fortemente simbolica, sia pure con l’occupazione dei posti in sala fissata solo al 25 per cento. Niente da fare, saltata pure questa, che pure era minimalista.

Eppure, vi racconto il ritorno di un pubblico – sia pure un pubblico davvero ristretto, in un teatro – per una prova importante e già quasi definitiva di uno spettacolo che andrà in scena appena scatteranno le riaperture. Tutto perfettamente in linea con la legge, con poco più di una cinquantina di posti in sala occupati rispetto a una capienza di un migliaio di posti totali e quindi distanziatissimi e con tutti i tracciamenti e le regole al posto giusto.

Ho avuto la fortuna di essere fra la cinquantina di eletti al Teatro Ivo Chiesa di Genova, in mezzo ai lavoratori del Teatro Nazionale di Genova e agli studenti della scuola del teatro genovese, una delle più rinomate o probabilmente proprio la più illustre d’Italia. Gente che vive il teatro come una passione, prima ancora che un lavoro, sulla propria pelle.

Gente che, ieri, all’ingresso e all’uscita, era commossa.

Ho visto ragazze e ragazzi con gli occhi lucidi per il ritorno in teatro, con quell’applauso che sembrava non terminare più e che era come catartico, liberatorio.

Lo spettacolo – ma non è questo il punto, ne parleremo a tempo debito il giorno della prima “vera” con tutto il pubblico in sala – era “Grounded” di George Brant, un monologo che è un pugno nello stomaco sulla storia di una Top Gun dell’aviazione a stelle e strisce che, dopo essersi fatta una famiglia, al posto di volare, viene messa a pilotare droni.

E’ uno spettacolo cult del teatro contemporaneo, soprattutto anglobritannico: dopo la prima al Festival di Edimburgo del 2013, ha già avuto più di 150 allestimenti, il più famoso quello con protagonista Anne Hathaway a New York.

Quella del Teatro Nazionale di Genova diretta da Davide Livermore, che ha disegnato anche la splendida scena che è quasi una citazione di “Star Wars” insieme a Lorenzo Russo Rainaldi, è una realizzazione potente, davvero un pugno nello stomaco, benefico per gli spettatori, qualcosa che mi ha ricordato una tragedia greca contemporanea, come se ci fosse un filo mai interrotto rispetto a uno degli ultimi spettacoli rappresentati proprio in questo teatro prima del lungo black out, “Elena” di Euripide, sempre con la regia di Livermore, che è la tragedia greca che ha raccolto più spettatori negli ultimi decenni.

Come se ci fosse un filo rosso che lega l’ultima volta dell’era “prima” in cui il sipario si è alzato, “Elena” per l’appunto, alla prima volta in cui si rialza: “Grounded”. Un filo rosso testimonato anche da un altro nome: Sax Nicosia. Lì era Menelao in scena, qui è l’assistente di Livermore alla regia.

Ma, per l’appunto, andiamo persino oltre lo straordinario spettacolo di Livermore e Linda Gennari.

Perché questo è il racconto di come si possa resistere, resistere, resistere, nel rispetto delle leggi, ma senza arrendersi alle leggi.

E in questa storia Livermore – che è direttore del Teatro Nazionale di Genova, ma, ricordiamolo, è anche l’unico regista che ha fatto due prime della Scala consecutive, praticamente tre con il 7 dicembre di quest’anno, sia pure molto particolare – riesce ad essere contemporaneamente Antigone e Creonte, capace di rispettare le leggi, sfidandole con le idee.

Per raccontare il mondo del teatro, basti darvi tre dati: ci sono i figli di un dio minore, tutto il mondo non garantito dall’inquadramento in un teatro pubblico, in una fondazione o in una struttura comunque organizzata, fatta di assunti, di posti fissi e di strutture. Sono gli scritturati, i lavoratori dello spettacolo e tutti coloro che lavorano a chiamata: la maggior parte, tenendo conto della peculiarità di questo mondo.

Ma anche limitandosi ai “garantiti” ci sono state strutture pubbliche (e quindi più assistite dei battitori liberi) che a febbraio 2020 si sono messi in poltrona – mai immagine fu più adatta come metafora, parlando di teatro – in attesa degli eventi e da allora non hanno mai rialzato il sipario.

Livermore e il Teatro Nazionale di Genova, che ha quattro sale oltre alle tournèe e a una serie di importanti collaborazioni, hanno iniziato a chiedersi immediatamente come avrebbero potuto fare per restare vivi e tenere vivo questo mondo, senza pensare soltanto ai ristori e alle casse integrazioni, anche se sarebbe stato più comodo.

“Avremmo potuto metterci sul divano – spiega il regista e direttore – ma sarebbe stata una doppia sconfitta. E allora abbiamo studiato come avremmo potuto “esserci” anche nell’assenza, esserci anche fisicamente…”.

E così, un po’ alla volta, il Teatro Nazionale di Genova è stato il primo a riaprire le sue sale al pubblico in presenza, fin dalle prime date consentite dai DPCM in primavera e in assoluta sicurezza, anche rimodulando completamente la struttura delle sale, con la straordinaria rassegna di drammaturgia contemporanea, con il pubblico nei palchi e gli attori nelle platee scarnificate e senza più poltrone, oppure con il pubblico sul palco e gli attori a recitare nelle quinte come nella splendida regia di Mercedes Martini o, ancora, con gli attori chiusi in fogli di plastica a recitare dietro lo schermo.

Poi, è stato il turno di TIR, come teatro in rivoluzione, ma proprio anche come TIR, un camion palcoscenico con cui il teatro ha girato le piazze della Liguria quest’estate, come un Carro di Tespi 4.0.

Quindi, appena le sale hanno potuto riaprire in settembre e ottobre, anche i primi spettacoli al chiuso, per vivere, per riportare il pubblico a teatro e anche per rispettare contratti che per alcune compagnie erano la vita.

Poi, la nuova chiusura, ma siccome Livermore non sta mai ferma mai, la mostra a Palazzo Ducale, voluta insieme a Luca Bizzarri, intitolata “Io Contagio”, con il primo atto dell’Edipo Re ambientato in un paesaggio post-atomico, con televisori che passano la notizia della peste a Tebe come breaking news e una serie di scenografie tratte da opere della scala, con gli attori chiusi in teche di plexiglass che declamano la loro parte microfonati ogni volta che arrivava un gruppo di quindici spettatori, esattamente come nei musei in zona gialla. E anche questa idea era del direttore del Teatro Nazionale, insieme a Margherita Rubino che è una dea del teatro antico, e a Andrea Porcheddu, che è il più grande conoscitore di teatro contemporaneo in Italia. Ottimo tridente.

Su, su, fino a questa prova con il pubblico, al “Grounded” in un teatro con il pubblico e agli altri due spettacoli che partiranno appena ci sarà il via libera e che Livermore e i suoi stanno già provando nei loro teatri di settimana in settimana, approfittando di due circostanze: la disponibilità di quattro sale e quindi di altrettanti palchi (Teatro Ivo Chiesa, Teatro Duse, Teatro Modena, Sala Mercato) e delle ordinanze del presidente ligure Giovanni Toti e della sua assessore alla Cultura Ilaria Cavo per poter accedere ai teatri a provare e a lavorare anche in pendenza delle chiusure.

E così il giorno delle riaperture, sperando che sia già il 20 aprile, si potrà alzare il sipario su “Grounded”, su “Solaris” di David Greig, grande spettacolo di fantascienza che vede gli umani come il virus e la reazione della terra (scritto non ieri, ma cinquant’anni fa, nel 1961, poi diventano anche il film di Tarkovskij),  e su “Il mercato della carne” di Bruno Fornasari, sul precariato e la lotta per sopravvivere a questo mondo.

Tutto questo ha portato all’applauso infinito, agli occhi lucidi, all’emozione e alla gratitudine negli occhi di tutti noi spettatori nei confronti di Davide Livermore e di Linda Gennari l’altra sera.

Credetemi, era da tempo che non provavo un’emozione così forte.