Chi è il vero protagonista del film Criature: grazie al suo impegno tanti ragazzi hanno trovato la bellezza della vita
Barra, un quartiere difficile di Napoli dove per anni ha regnato la criminalità e dove sembrava non voler sorgere il sole. Poi qualcuno ha detto basta e ha voluto dare la mano giusta a un luogo e ai tanti ragazzi . E' nato Il tappeto di Iqbal. L'intervista a Giovanni Savino
In strada è facile perdersi. Camminare e non trovare più la direzione giusta. Si può inciampare e cadere e spesso ad aiutare ad alzarsi può essere la persona sbagliata. È questa la realtà di Barra, un quartiere difficile di Napoli dove per anni ha regnato la criminalità e dove sembrava non voler sorgere il sole. Ma poi qualcuno ha detto basta e ha voluto dare la mano giusta a un luogo e ai tanti ragazzi che volevano crescere in modo sano e spensierato. Ecco che nasce Il tappeto di Iqbal, nel 1999. Il suo nome è dedicato a un ragazzino Pakistano ucciso nel 1995, dalla Mafia dei tappeti. Una cooperativa che contrasta la criminalità offrendo ai giovani tante attività alternative come lo sport e l’arte.
Nel 2010 ne diventa presidente Giovanni Savino, facendo entrare come soci i tanti ragazzi che lo affiancano nelle sue molteplici attività, prima fra tutte il circo di strada. Li aiuta ad emergere, a vedere il bello delle cose, a scoprire quello che il mondo ha da offrire. Un percorso tortuoso, segnato da mille difficoltà, ma che ha portato a ottimi risultati.
Chi è Giovanni Savino?
"Sono stato un figlio di buona famiglia, cresciuto con un padre che amava la rivoluzione, lottare per far valere i diritti. Nonostante questo voleva per me una vita stabile, un lavoro stabile, e responsabilizzarmi. Inizialmente ci ho provato, ma poi la voglia di sognare e creare qualcosa di buono ha preso il sopravvento".
Come inizia il tuo percorso dopo questa scelta?
"Divento presidente del Tappeto di Iqbal nel 2010, quando la cooperativa fallisce e vanno tutti via. Ecco che decido di far diventare soci i ragazzi maggiorenni che ne fanno parte. Così iniziamo il nostro percorso per strada. Infatti all’inizio non avevamo una sede. Pian piano abbiamo fatto conoscere il nostro circo a tutti. La pedagogia circense ha il potere di avvicinare i ragazzi, di dar loro la possibilità di sentirsi protagonisti. Abbiamo girato molto e attirato attenzione, anche quella di Save the Children. Ora c’è il nostro tendone, il nostro centro dove facciamo attività varie tra le quali basket, atletica leggera, formazione professionale accompagnamento allo studio, il parkour. Con un numero di circa 250 ragazzi ogni anno".
Cosa si prova quando si offre un futuro diverso da quello segnato?
"Come dico spesso non esistono ragazzi cattivi ma adulti che hanno fallito. Barra era riconosciuto insieme a San Giovanni e Ponticelli come un triangolo operaio. Dopo il terremoto, la camorra, lo Stato che non ha aiutato, è arrivato il degrado. Quindi riuscire a dare a dei ragazzi un futuro diverso dallo sfruttamento minorile e la criminalità, è un traguardo. Permettere loro di avere una vita eccezionalmente normale. Perché quello che in altri posti è normale, qui non lo è. Inoltre non abbiamo mai fondato il rapporto con i ragazzi come qualcosa per cui sdebitarsi. Tutti coloro che hanno raggiunto degli obiettivi lo hanno fatto prendendo parte attivamente a ciò che avevano intorno. Hanno dato e ottenuto in egual maniera".
“Non perché tutti siano artisti ma perché nessuno sia schiavo”. Questa frase di Gianni Rodari è un po’il vostro mantra, giusto?
"Sì , questa è una frase di Rodari che ho fatto mia. Un’altra che mi piace ripetere è “togliamo le perle ai porci con e senza cravatta”. Tornando alla prima frase, la trovi scritta sul muro appena arrivi da noi. Non abbiamo la presunzione di far diventare i ragazzi dei grandi artisti, noi vogliamo appassionare, cioè far vivere in maniera passionale la loro vita. Ti faccio l’esempio di uno di loro, Antonio Bosso che venne da me dicendo che voleva fare parkour, che ancora non era stata riconosciuta come disciplina sportiva. Nessuno lo sosteneva, anche la famiglia voleva che andasse a lavorare. Io l’ho aiutato a studiare, a formarsi, a diventare istruttore e lui è diventato Campione Italiano Senior di Parkour. Ribadisco che è stato fatto sempre e solo per liberarlo da un contesto nel quale era oppresso e per far emergere quello che aveva dentro, il suo talento".
Come hai accolto la proposta di un film su di te?
"Tutto inizia nel 2012 quando Cecile Allegra (regista del film Criature) fa un servizio su di me, sul circo, sulle nostre attività. Ecco che arriva l’attenzione internazionale. Vengono fatti articoli su Le Monde, The Guardian, Wall Street Journal. In Germania, addirittura in Corea si è parlato di noi. E Cecile mi disse chiaramente che avrebbe voluto fare un film su di me. Infatti il film racconta quello che è accaduto dodici anni fa, la prima parte della mia vita. Il percorso per realizzarlo è stato lungo e tortuoso, tanto che a un certo punto avevo perso le speranze. Poi siamo giunti al traguardo e ne sono felice. Ma ho chiesto e ottenuto che nel film non venisse fatto il mio nome proprio perché questo film serve a dare un volto ai tanti pazzi visionari come me che ci sono nel mondo. Sono felice per quello che Cecile è riuscita a realizzare, per il legame che ci unisce da anni. Ho però un rammarico per le persone che non ci sono più, quelle che mi sono state vicino e che quando andrò alla prima non saranno presenti fisicamente. E un pizzico di rabbia perché penso al fatto che ci voleva un film per gettare luce su quello che è stato e che è il nostro percorso".