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Andrea Purgatori, il no della Rai e la lite con Fedez: "Dovrebbe farsi un tatuaggio con la parola 'Scusatemi'”

Il "giornalista giornalista" è morto un anno fa: un terribile pasticcio clinico per cui quattro medici risultano indagati. Aveva 70 anni e miliardi di idee

Daniela Amentadi Daniela Amenta   

La postura, soprattutto. Quel modo di fare "il giornalista giornalista" senza sconti, dritto al punto, pochi fronzoli, molte carte da leggere e decifrare, testimoni da ascoltare e riascoltare. La postura che dalla carta stampata scelse di usare anche in tv. Spalle dritte, sguardo in camera, quella voce profonda, bellissima capace di raccontare stragi, nefandezze, omicidi, misteri. il "mondo di sotto" e i suoi legami con quello in doppiopetto, potente, inscalfibile.

Una morte ancora da chiarire

Andrea Purgatori è morto un anno fa: un terribile pasticcio clinico per cui quattro medici risultano indagati. Aveva 70 anni e miliardi di idee. A piangerlo, oltre gli amatissimi figli Ludovica e Victoria e tutto il mondo del giornalismo e del cinema, sono stati soprattutto i familiari delle vittime: quelli di Ustica che stasera nel Museo della Memoria di Bologna lo ricorderanno con un concerto, e il fratello di Emanuela Orlandi, Pietro che disse: “Ora senza di lui siamo veramente soli”. Perché solo grazie all'impegno costante di Purgatori i sopravvissuti al dolore sono riusciti a intravedere sprazzi di verità nel buio profondo di inchieste archiviate, insabbiate, cancellate. Ustica è stata la più nota, duratura, battaglia di Andrea, quell'incidente del Dc 9 dell'Itavia il 27 giugno del 1980 che costò la vita a 81 persone. L'inchiesta che divenne un film - Il Muro di Gomma - per la regia di Marco Risi in cui Andrea raccontava sé stesso, a partire dalla telefonata di un suo informatore quella notte di giugno. Era un controllore di Radar nello scalo di Ciampino che gli disse. "Hai visto? Han tirato giù un aereo. Sicuro è stato un missile". Dichiarazione poi ritrattata, una delle molte, troppe. Prove sparite, silenzi di piombo e intimidazioni.

Le minacce per l’inchiesta su Ustica

A Purgatori distrussero due macchine, qualcuno entrò anche a casa sua senza rubare nulla, gli misero a soqquadro lo studio e le carte che conservava. "Ricevevo anche quaranta telefonate anonime al giorno, molte di notte, era impossibile pure dormire", raccontava Andrea. Che aveva cominciato a fare il "giornalista giornalista" (come titola un saggio con i suoi migliori articoli) al Corriere della Sera, giovanissimo, appena 23 anni, dopo un Master of Science in Journalism alla Columbia University. Uno che amava scrivere di cronaca e raccontare i grandi conflitti con la stessa passione: il Libano, le tensioni tra Iran e Iraq, la guerra del Golfo, l'Intifada. E anche la mafia, anzi le mafie, il terrorismo, le stragi, l'omicidio Moro, il delitto Pasolini, Pecorelli, i traffici della Banda della Magliana fino all’assassinio a Perugia di Meredith, una ragazza inglese.

'Il Muro di gomma' ma anche 'Fascisti su Marte'

Il cinema fu un'altra passione, parallela, sceneggiatore di razza per film d'inchiesta (Il Giudice ragazzino dedicato alla vicenda di Rosario Livatino, Fortapàsc che racconta la storia del cronista del Mattino Giancarlo Siani, Segreto di Stato per la regia di Giuseppe Ferrara) o profondamente immersi nell'attualità come L'Industriale, pellicola girata dal maestro Giuliano Montaldo. Ma non solo: perché da buon romano Andrea aveva il dono dell'ironia, quindi in grado anche di lavorare con Carlo Verdone, Antonio Albanese e la folle combriccola di Boris. Legato a Corrado Guzzanti da una profonda amicizia partecipò a Il caso Scafroglia (Rai Tre), interpretando il ruolo del Camerata Fecchia nel film Fascisti su Marte, firmando le due esilaranti edizioni di Aniene (Sky Uno).

Il no della Rai al suo film su Ilaria Alpi

La sua delusione più cocente fu il no della Rai, nel 1999, alla sua idea di un film su Ilaria Alpi che voleva girare in Somalia. "Dissero che non c'era budget, che con un processo in corso non sarebbe stato corretto. Mia intenzione era quella di far luce su evidenti buchi neri, aprire interrogativi ai quali non era stata data risposta". Risposte che non arrivarono, purtroppo, neppure dall'Azienda di Stato. Saggista, conduttore delle migliori edizioni di Atlantide su La7 fino a ricevere nel 2019 il Premio Flaiano 2019 come miglior programma culturale (stasera l'emittente ripropone "Borsellino e le stragi" il suo ultimo reportage, realizzato nel maggio 2023, quando era già malato), presidente delle Giornate degli Autori e in prima linea per i diritti dei lavoratori del mondo dello spettacolo e della cultura, era uomo capace anche di grandi strappi.

La lite con Fedez: tatuati la parola “Scusatemi”

Come quando nel 2010 collaborò alla scrittura del film Vallanzasca – Gli angeli del male di Michele Placido, ma poi con Angelo Pasquini ritirò la firma dalla sceneggiatura, o quando mandò al diavolo Fedez che aveva riso del caso Orlandi. "Tra i tanti tatuaggi che ha, ne dovrebbe aggiungere uno, la scritta: scusatemi'". Sarebbe ancora così necessario un "giornalista giornalista" come lui per raccontarci l'America di Trump e Biden, la guerra in Medioriente e in Ucraina, e soprattutto, per citare Pino Corrias su Vanity Fair: "con il suo mezzo toscano tra i denti, gli appunti sui fogli volanti, dovrebbe scrivere con l’esattezza di sempre una delle sue inchieste sulla morte improvvisa, addirittura inspiegabile del nostro amico Andrea Purgatori, romano di nascita, romanista di fede, giocatore di tutti gli azzardi, dal Lotto alla Borsa, dal Toto nero, al poker online. Narratore viaggiante e cronista di strada. Quello dei labirinti investigativi italiani e dei muri di gomma che fano argine alla verità. Perché era la verità dei fatti, la sua ossessione. Il suo modo di ristabilire un po’ di giustizia, contro lo strapotere del cuore nero del mondo".

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
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