La Monaca di Monza è realmente esistita: ebbe un amante e due figli e finì murata viva. Chi era
La protettrice manzoniana di Agnese e Lucia si chiamava in realtà Marianna de Leyva e fu costretta ad entrare in convento dal padre, un conte spagnolo. Ebbe una relazione segreta e fu complice di tre omicidi. La vita, i tormenti, la condanna, la storia

La Monaca di Monza è tra i personaggi più controversi, coinvolgenti e tormentati de I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Compare col nome di Suor Gertrude nel nono capitolo del grande romanzo ottocentesco col ruolo di figura destinata a proteggere - ospitandole nel proprio convento su richiesta di Fra Cristoforo - Agnese e Lucia, fuggite dal loro paese per timore di don Rodrigo, e rimane impressa nella memoria del lettore.
La monaca viene descritta da Lucia come una ragazza sui 25 anni, molto bella ma devastata dal suo vissuto, con la tristezza celata negli occhi. Le parole utilizzate dalla promessa sposa sono più precisamente: "Bellezza sbattuta, sfiorita, quasi scomposta". Il ritratto, insomma, di una donna la cui vita e la cui felicità sono state rovinate da scelte non sue, cui non ha potuto sottrarsi.
Ma è realmente esistita la Monaca di Monza, o è solo un’invenzione letteraria del Manzoni?
Ebbene, anche se non tutti lo sanno, la monaca di Monza è un personaggio ispirato a una figura realmente esistita, protagonista di un famoso scandalo che scosse Monza agli inizi del XVII secolo. Si tratta di Marianna de Leyva, conosciuta come suor Virginia Maria e resa infelice dalle decisioni familiari.
Marianna nacque nel 1575 da una nobile famiglia spagnola trapiantata a Milano. Più precisamente, come rivela una veloce ricerca sul Web, il padre era Martino de Leyva y de la Cueva-Cabrera, la madre Virginia Maria Marino. Parliamo dunque della figlia del conte di Monza, bisnipote di quell'Antonio de Leyva distintosi nella battaglia di Pavia del 1525, e investito per questo del feudo di Monza da Carlo V. Martino de Leyva era per altro figlio di Luigi de Leyva, primo governatore spagnolo di Milano. Blasonata anche la mamma di Marianna, Virginia Maria, figlia di Tommaso Marino. Virginia Maria Marino, vedova dal 1573 del conte Ercole Pio di Savoia, signore di Sassuolo (da cui ebbe un figlio maschio e quattro femmine) il 22 dicembre 1574 convolò a nozze con Martino de Leyva, consegnandogli una cospicua dote.
Dopo neppure un anno dalla nascita di Marianna, tuttavia, Virginia Maria Marino morì di peste nel capoluogo lombardo lasciando eredi in parti uguali i figli avuti dai due matrimoni (a Marianna spettò la proprietà di palazzo Marino e metà del patrimonio da dividere con Marco Pio di Savoia). Martino de Leyva, il marito vedovo, ebbe l'usufrutto.
Il destino di Marianna prese ben presto un corso tragico: il padre la destinò forzatamente alla vita monastica, rinchiudendola nel Monastero di Santa Margherita a Monza all'età di 13 anni. A 16 prese i voti e divenne suor Virginia Maria, dal nome della mamma defunta. Sembra che l'alternativa proposta alla ragazza fosse quella di sposare un certo Gustavo Branciforte, principe di Butera, di ben venticinque anni più vecchio di lei, alternativa che la giovane rifiutò.
Il conte Martino de Leyva - per altro - convolò a nuove nozze in Spagna nel 1588, dedicandosi alla nuova famiglia e dimenticandosi del tutto della figlia lasciata in Italia.
Lo scandalo
Mentre affrontava la sua vita nel monastero, Marianna ebbe una relazione clandestina col conte Gian Paolo Osio, un aitante nobile locale, la cui abitazione confinava con la struttura religiosa. La relazione pare sia durata dal 1598 al 1608. Da questo rapporto nacquero almeno due figli: un maschio nato morto o deceduto durante il parto e una bambina, che Osio riconobbe come propria figlia, Alma Francesca Margherita, affidata alla nonna paterna, ma incontrata sovente anche dalla mamma.
Le cronache riportano che Osio, per mantenere il segreto sulla tresca, avrebbe ucciso tre persone che minacciavano di parlare. Suor Virginia si sarebbe così resa complice di quei delitti. Nel 1608, tuttavia, lo scandalo venne alla luce: Osio fu condannato a morte (anche se riuscì a fuggire, venendo poi ucciso da una persona che credeva amica), mentre suor Virginia finì sotto il giudizio dell’Inquisizione.
La condanna e gli ultimi anni
Stando alle fonti fu l'arcivescovo Federico Borromeo, ad ordinare il processo nei confronti della monaca di Monza. Al termine del procedimento suor Virginia subì una sorte orribile: fu condannata a essere murata viva nel Ritiro di Santa Valeria. Trascorse quasi quattordici anni chiusa in una stanzetta di un metro e mezzo per tre metri e mezzo, quasi completamente priva di comunicazione con l'esterno. C’era infatti solo una feritoia che permetteva il ricambio dell’aria e la somministrazione dei viveri indispensabili.
In seguito ottenne il perdono (1622) e la liberazione per volere di Borromeo. Trascorse il resto della sua vita nel convento, dove morì nel 1650.
Il legame con I promessi sposi
Alessandro Manzoni riprese questa vicenda e trasformò Marianna de Leyva nella monaca di Monza, dandole il nome di Gertrude, mentre l’amante assunse nell’opera letteraria il nome di Egidio. Nel romanzo, il suo personaggio incarna la sofferenza delle donne costrette alla vita monastica contro la loro volontà e il potere oppressivo delle famiglie nobili. Come ha osservato qualche critico letterario “a causa della sua monacazione forzata e, di conseguenza, della fede che le è stata imposta, è portata a creare in sé stessa due personalità. Una che la porta a peccare, e l'altra che la fa sentire in colpa del peccato appena commesso. Possiamo riscontrare questa cosa anche nel fatto che una parte della sua personalità la spinge ad aiutare Lucia, un'altra a fare il contrario, in quanto provava invidia per Lucia, che si stava per sposare, mentre lei non avrebbe mai potuto”. La risposta alla domanda iniziale, in ogni caso, è solo una: sì, si può dire che la monaca di Monza è un personaggio storico, realmente esistito, anche se Manzoni ha romanzato la sua travagliata storia.