Tozzi: “Vi dico perché in Italia i nostri allarmi sul dissesto vengono ignorati”
Intervista al geologo e divulgatore sulle ragioni per cui si continua a costruire troppo e nei posti sbagliati: “Non veniamo ascoltati per tornaconto personale, per fatalismo e perché la politica non dice no agli abusivismi. Siamo un paese culturalmente retrogrado”


Da più di vent’anni esperti e divulgatori come il geologo e conduttore di programmi tv Mario Tozzi ci informano con abbondanza di immagini, racconti e dati come si debba cambiare registro nel costruire se vogliamo evitare morti e terreni devastati da frane e fiumi di fango. Sul fronte della pubblicistica più colleghi ci avvisano da tempo. Storici dell’arte come Salvatore Settis e Tomaso Montanari ne hanno scritto ripetutamente in articoli e libri puntuali, documentati e di alta risonanza. Ma certe storie sembrano ripetersi.
Ora il Paese piange per le vittime della frana di Casamicciola, dove già nel 2009 un’altra frana aveva provocato danni seri, con costruzioni o allargamenti laddove non avrebbero potuto esserci. E ricordiamo che la Regione Campania, come la maggior parte delle amministrazioni regionali, non ha mai presentato un piano paesistico di tutela e protezione del paeaggio come previsto dal Codice dei beni culturali. Nel maggio 1998 a Sarno e Quindici nel Salernitano per il movimento franoso morirono ben 161 persone. Una strage.
Più recentemente, solo a settembre per l’alluvione nelle Marche e a Senigallia undici persone hanno perso la vita, senza parlare dei danni gravi ad attività e abitazioni. Le piogge un tempo anomale sono normalissime, dobbiamo agire di conseguenza. Prevenendo. Eppure continuiamo a ignorare gli allarmi, i suggerimenti, le prove portate in tv, su carta, nel web, per radio, ovunque insomma. Perché mettiamo la testa sotto la sabbia e fingiamo che si possa far tutto dappertutto? O abbandonare le coltivazioni e quindi la cura del terreno come è accaduto più volte in Liguria?
Risponde il geologo, divulgatore, ricercatore presso l’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Consiglio Nazionale delle Ricerche, autore di saggi, articoli come di coinvolgenti trasmissioni sulla Rai e La7 viste anche dal grande pubblico.
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Tozzi, da quanti anni lei e altri come lei parlate del dissesto idrogeologico nel territorio italiano e di quanto sia pericoloso non occuparsene?
Non li contiamo nemmeno: lo facciamo da molto tempo prima che se ne cominciasse a parlare in maniera così estesa. Per me almeno da quando ci fu la prima alluvione improvvisa in Italia, nel 1996 in Versilia.
Perché come Paese non vi ascoltiamo?
È sempre una questione di tornaconto. L’abusivo quando si mette in un territorio senza permessi paga meno, non deve sottoporsi a trafile burocratiche, ha la sicurezza della sua costruzione. Poi, rispetto a uno che ha rispettato i tempi e le regole, diventerà anche concorrenza sleale perché lui paga la metà. Alla base c’è sempre un tornaconto. Anche sulle case.
Un tornaconto valido fino a un certo punto, come vediamo a Casamicciola. Gli effetti sono pesantissimi per chi vive lì.
Chi fa caso a dove si costruisce? Il tornaconto è nell’immediato, si pensa al fato, che l’Italia sia fatta così. “Ma davvero toccherà a me”?, “speriamo non tocchi a noi, magari ci sfiora”, ci si dice. C’è fatalismo.
Il fatalismo non salva.
È vero, ciononostante le persone sono fataliste. Nelle interviste alle persone di Ischia sentiamo dire che dipende dal patreterno o che doveva andare così.
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La politica nel suo complesso come si comporta?
Chi amministra i territori, i sindaci, i politici, hanno molto tornaconto a non dire di no perché gli conviene tenersi buono chi li eleggerà, non sono in grado di dire cosa serve. I sindaci sono i primi responsabili, inutile dire che sono lasciati soli. In tempo di pace non fanno nulla contro il dissesto idrogeologico, non un convegno, non un’educazione comunale o un fermo alle costruzioni abusive … Non lo fanno.
Trasmissioni come le sue servono a diffondere consapevolezza.
Non mi pare siano servite a granché. Quelli che si informano sono sempre gli stessi, chi ha buona volontà e non è disposto a compromessi: di norma abita in una grande città, città come Genova e Firenze hanno un grosso rischio e hanno più consapevolezza ma non ci si pensa per quel fatalismo di cui dicevo. Il grado di arretratezza culturale è veramente incredibile, non si incorpora il rischio negli orizzonti culturali: l’idea è che stia nel fato, che se deve succedere è l’ira degli dei, che è inutile muoversi bene perché non dipende da noi. Invece non esistono le catastrofi, esistono gli eventi naturali che diventano catastrofi per colpa nostra.

Tra i giovani vede maggior consepevolezza? Viene da pensarlo guardando alle azioni sull’emergenza climatica, anche quelle clamorose intorno all’arte.
Penso siano consapevoli del clima, del rischio idrogeologico non so, forse è ancora presto. Qui siamo ancora più indietro. Le battaglie contro il condono edilizio e l’abusivimo, per la legalità, sono antecedenti. Ricordiamoci che gli insediamenti abusivi creano rischi dove non c’è consapevolezza dei cittadini, una consapevolezza che non so se finisce dove si presenta un interesse personale. Parlo di coloro che hanno allargato un’unità abitativa o ne hanno costruita una ex novo senza permessi.
Eppure persone come lei e altri ne parlano da sempre.
È anche difficile parlarne ancora, lo abbiamo detto così tante volte che uno comincia a stancarsi. Un paese che si comporta così non ha intenzione di uscire da questo stato arretrato, culturalmente retrogado e privo di qualsiasi aggancio con la realtà: si costruiscono realtà proprie in cui è importante casa tua, non guardi fuori e non ti informi. Fai tante storie per comprare una macchina usata, quanti chilometri ha fatto, com’è, ma non sai dove è costruita casa tua, su quali terreni, se sotto hai un fiume vicino, se è in cemento armato o in mattoni. Servirebbe un fascicolo dei fabbricati intorno alla propria casa. Da tanti anni raccontiamo queste storie e non se ne vede il capo. Quanto è accaduto a Ischia è particolarmente grave perché ne avevo parlato come esempio di un turismo andato a male e invece sono tutti convinti che sia un successo, che sia un’isola verde: invece ha troppe infrastrutture, troppe case e molte abusive. È un paradiso con lampi d’inferno, non è il migliore esempio per dire come gestiamo le nostre cose belle: quando lo ricordi agli abitanti si offendono o dicono che diffami, invece si dovrebbero evitare i morti ma non ci si riesce. Che ci guadagno a parlare male di Ischia? Proprio nulla. Sono le condizioni oggettive.