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Sulle tracce degli indoeuropei, un podcast conquista gli appassionati di audio con una storia ricca di fascino

Lingue, miti, oggetti e tradizioni comuni raggiunsero l'Europa cinque mila anni fa: fu un'invasione pacifica o violenta? On line cinque puntate firmate dal giornalista Luca Misculin de Il Post insieme al glottologo Riccardo Ginevra

Francesca Mulasdi Francesca Mulas   
la copertina del podcast

Una delle domande più intriganti per gli appassionati di storia riguarda le nostre origini: da dove veniamo, chi erano i nostri antenati, che lingua parlavano, come vivevano? Su questi temi indagano i professionisti dell'archeologia, della paleobotanica, dell'antropologia, della paleontologia, della linguistica e più di recente della genetica. Se oggi abbiamo tante risposte sul passato è grazie al loro lavoro, ma esistono domande su cui ancora si cerca di fare luce: una di queste riguarda la diffusione, circa cinquemila anni fa, delle lingue che parliamo ancora oggi, arrivate in Europa e nel Mediterraneo insieme a popoli che portarono anche nuove tradizioni e miti comuni. Un'invasione non sempre pacifica: al tema è dedicato "L'invasione", il podcast in cinque puntate prodotto dal Post e firmato dal giornalista Luca Misculin e da Riccardo Ginevra, ricercatore e docente di glottologia, disponibile da qualche giorno su tutte le piattaforme audio.

Luca Misculin: "Ci sono storie che aspettano di essere raccontate"

Il podcast è già al primo posto tra i più ascoltati su Spotify: un grande successo per la nuova produzione di Luca Misculin, che due anni fa ha firmato "La fine del Mondo" sul collasso delle civiltà del Mediterraneo intorno al 1200 avanti Cristo (ne abbiamo parlato qui per Tiscali Cultura). La storia antica, evidentemente, appassiona gli amanti degli audio, nonostante i generi più ascoltati siano attualità, crime e scienza: "Penso che i podcast di Alessandro Barbero abbiano dimostrato che esiste un pubblico per prodotti divulgativi ma non superficiali – ci ha detto Misculin - che insomma si possa parlare di vicende passate su cui abbiamo poche informazioni senza tirare in ballo gli alieni o i cavalieri templari. Nel caso della storia molto antica, poi, ci sono interi periodi ben poco noti perché la divulgazione spesso preferisce concentrarsi su epoche che titillano il nostro orgoglio nazionale, come i primi secoli dell’Impero romano o il Rinascimento. Esistono un sacco di storie notevoli e vicende che hanno lasciato una traccia visibile, ancora oggi, che aspettano soltanto di essere raccontate per bene".

Luca Misculin

La ruota e il cavallo, due novità che cambiarono la storia dell'uomo

L'esistenza di lingue antiche chiamate convenzionalmente indoeuropee, diffuse dal continente indiano fino al Portogallo, è nota sin dall'Ottocento per la somiglianza di diverse parole spagnole, italiane, inglesi, islandesi, russe, lituane, indu e altre diffuse in un territorio vastissimo tra Europa e Asia. Come spiegano gli studiosi di linguistica vocaboli come 'cavallo', 'ruota', 'padre', 'cento' e 'sole' hanno chiaramente un'origine comune in una lingua parlata migliaia di anni fa, e lasciano immaginare una società che per prima inventò l'uso della ruota fino ad allora sconosciuta e imparò a usare il cavallo per muoversi e trasportare carichi. 

Sepolture in fossa, il mito dell'eroe e una cultura patriarcale

Ma chi erano le genti che la diffusero? Erano popoli pacifici o bellicosi? E per quale motivo percorsero migliaia di chilometri da terre lontanissime raggiungendo la penisola italiana e il Mediterraneo? A queste domande ha provato a rispondere Maria Gimbutas, archeologa e linguista lituana vissuta tra il 1921 e il 1994 che al tema ha dedicato la sua carriera: fu lei a leggere la connessione tra le popolazioni che seppellivano i loro morti in kurgan, cioè tombe a fossa, e l'uso di lingue che avevano una origine comune, e grazie a questa intuizione le ricerche archeologiche successive si indirizzarono verso lo studio delle tracce indoeuropee; negli anni abbiamo accertato che intorno a cinque mila anni fa diversi popoli partiti dalle steppe euroasiatiche si diffusero in Europa portando con sé, oltre alle lingue, una cultura patriarcale, un'economia fondata sull'allevamento, più propensa alla violenza e agli scontri che alla convivenza pacifica, e con rituali funebri ben definiti e un patrimonio di miti e leggende giunto fino a noi come il racconto dell'eroe/dio che salva la sua comunità da un serpente minaccioso. Alle teorie di Gimbutas si affiancarono, non sempre in accordo, quelle degli studiosi britannici J.P. Mallory e Colin Renfrew che diedero un contributo prezioso al dibattito sull'origine degli indoeuropei. 

Il dna dei popoli antichi, uno studio recentissimo

Accanto all'archeologia e alla linguistica lavora oggi la genetica: da un decennio circa nei siti archeologici si analizza il dna antico, che permette di ricavare informazioni preziose da resti umani anche frammentari; tra i principali esperti del tema c'è David Reich, che nel 2018 ha pubblicato anche in Italia "Chi siamo e come siamo arrivati fin qui. Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità". Grazie a questi studi, oggi sappiamo che i popoli che arrivarono qui intorno al 3000 avanti cristo portarono con sé un patrimonio genetico diverso rispetto alle popolazioni preesistenti, riusciamo quindi a tracciare il loro viaggio e la loro diffusione. 

Restano ancora tanti aspetti da chiarire ma oggi abbiamo ricercatori e ricercatrici di tutto il mondo che studiando la diffusione delle lingue indoeuropee sono riusciti a ricostruire il punto di partenza, cioè la lingua protoindoeuropea da cui tutto ha avuto origine. Una storia ricca di fascino che ci aiuta a capire chi siamo e quale viaggio hanno percorso i nostri antenati prima di popolare le terre che abitiamo. 

Francesca Mulasdi Francesca Mulas   
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