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Rachel Carson, la scienziata che denunciò i pesticidi e fu crocifissa dalle multinazionali d'America

Giornata della terra: omaggio alla prima ambientalista. Dopo di lei è nato il movimento ecologista. Messa al bando, ora riscoperta

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
Rachel Carson, la scienziata che denunciò i pesticidi e fu crocifissa dalle multinazionali d'America

La ricordano in pochi Rachel Carson. Eppure la campagna per denigrarla non è mai finita. Perfino Michael Crichton, lo scrittore best seller di Jurassic Park, è riuscito a citarla di traverso, e attaccarla in Stato di Paura, il suo romanzo del 2004. Tutta "colpa" (o meglio merito) della battaglia di questa scienziata indomita contro l'uso massiccio dei pesticidi e del Ddt. Oggi, a ridosso della giornata mondiale della Terra, andrebbe celebrata: lei, signora dell'ambientalismo, la piccola, temeraria donna che ha battuto anche le multinazionali senza mai arretrare. L'antica madre di ogni Greta. Di ogni ragazzo e ragazza che manifesta contro i disastri del clima. La prima a dirci: attenzione, ci stiamo approfittando di questo Pianeta, non sappiamo quali saranno le conseguenze.
Oggi paghiamo tutto, con gli interessi.

Rachel era nata in Pennsylvania nel 1907, in una fattoria di 26 ettari, un'infanzia trascorsa a scoprire il mondo incantato della natura. Avrebbe voluto fare la scrittrice ma nel 1928 si laurea in biologia marina alla Johns Hopkins University di Pittsburgh. E' una delle prima ragazze ad approcciare il complicato e meraviglioso mondo delle scienze. Sogna una carriera accademica, di studio e insegnamento, ma quando il padre muore è costretta a mantenere la madre e la sorella. E' il 1935: Carson trova un lavoro part-time presso l’U.S. Bureau of Fisheries, dipartimento governativo dedicato alla gestione e alla salvaguardia della fauna ittica. Lavora e scrive. Scrive con una prosa elegante e diretta, a tratti poetica, scrive con lo stesso impeto con cui ha letto i romanzi di Conrad, Melville e Stevenson, ma alterna la passione, lo spirito d'avventura, ai dati, alle osservazioni, alla ricerca. Una divulgatrice perfetta: attenta ed entusiasta, preparata e curiosa. I suoi studi sulla biologia del mare - un trittico di ricerche tra il 1941 e il 1955 escono dalle aule del Bureau ed entrano in classifica. Sono testi di pura bellezza: si intitolano Under the Sea Wind: A Naturalist’s Picture of Ocean Life, The Sea Around Us e The Edge of the Sea. Sono viaggi subacquei, percorsi accanto alle creature del mare, scrigni del tesoro aperti tra cavallucci e capodogli, il sale sulla pelle e il plancton che risale in superficie. I testi di Carson vengono tradotti in 28 lingue, nel 1952 riceve il National Book Award per la saggistica e la John Burroughs Medal. Da The Edge of The sea viene tratto anche un documentario che vince un Oscar nel 1953. Potrebbe dirsi soddisfatta Rachel Carson. E' riuscita nell'intento: scrivere e occuparsi di scienza, avere uno stipendio congruo per sostenere la famiglia. Ma ci sono fuochi che non smettono mai di ardere, passioni più tumultuose delle onde dell'Atlantico. Rachel si imbatte in uno studio sugli effetti del Ddt e sui pesticidi sintetici usati, a piene mani, dal Dipartimento dell’Agricoltura in America. Indaga, ricerca, mette insieme dati ed evidenze per quattro lunghi anni. Legge il lavoro di Wilhelm Hueper, direttore del National Cancer Institute. Segna con la penna rossa la correlazione tra pesticidi e tumori. Ha un brivido. Ma tornare indietro non si può, per Carson è impossibile. E quindi ricomincia a scrivere e a denunciare.
Primavera silenziosa (Silent Spring) esce a puntate sul New Yorker a partire dal giugno del 1962 e il 27 settembre dello stesso anno viene pubblicato dalla casa editrice Houghton Miffin. Il titolo non è casuale. Ci sono uccelli che non cantano più, gabbiani che hanno smesso di volare, ci sono specie cancellate dalla furia umana. Come riporta Simone Petralia in "Oggi Scienza" questo saggio: "non parla semplicemente dei danni prodotti dai pesticidi, ma affronta il problema molto più complesso del rapporto tra esseri umani e natura e mette in discussione l’idea di un progresso scientifico senza limiti né vincoli".

Rachel dedica il libro ad Albert Schweitzer, Premio Nobel per la pace, il medico che andò a curare gli ultimi in Africa, i dimenticati, i cancellati, e disse "L'uomo ha perduto la capacità di prevenire e prevedere. Andrà a finire che distruggerà la Terra". Rachel in Primavera Silenziosa scrive: “Penso che come umanità siamo chiamati ad affrontare la più grande sfida della nostra storia. Dimostrare la nostra maturità e la nostra capacità di padroneggiare non tanto la natura, quanto noi stessi".
Il libro ha un potere deflagrante, arriva a vendere un milione di copie. Tanto che le multinazionali della chimica investono migliaia di dollari pur di screditare Carson. La attaccano in ogni modo, ma soprattutto sul piano personale: non è sposata, non ha partorito, una nullipara figuriamoci, è un'isterica, è irrazionale, probabilmente comunista. Ezra Taft Benson, ex segretario del Dipartimento dell’Agricoltura americano, lo dice nero su bianco: “Come mai una zitella senza figli è così interessata alla genetica?”.
Ma la battaglia di Rachel non si ferma: il comitato scientifico istituito da John Fitzgerald Kennedy per valutare l'impatto degli studi di Carson dà ragione alla scienziata e nel 1963 raccomanda il graduale abbandono dei pesticidi tossici. Nove anni dopo il presidente Richard Nixon vieterà l'utilizzo del Ddt in agricoltura negli Stati Uniti: 100mila tonnellate prodotte ogni anno.

Carson non avrà la possibilità di fare festa a suo modo: camminando laddove si infrangono le onde o passeggiando sotto gli alberi dell'infanzia. Un tumore al seno se la porterà via a 57 anni, nell'aprile del 1964.
Ora il tema del Ddt è di nuovo in auge, in ambito scientifico, come "unico rimedio" contro la malaria in Africa e in India. Così nuovamente dibattuto da dimenticare che la battaglia di Rachel Carson fu diversa, che la sua non fu una guerra contro il Dicloro-Difenil-Tricloroetano ma una sfida necessaria a sostegno di una ricerca altra, sostenibile per noi e per la Natura. Quando esimi scienziati, famosi scrittori che parlano di "caro, vecchio Ddt" dicono che vietare il Flit (così lo chiamavamo in Italia) "ha ucciso più persone di Hitler", dimenticano che Carson non ha mai sostenuto un divieto assoluto dell'insetticida, ma semmai una sua regolamentazione. E tutto questo accadeva in un Paese come gli Stati Uniti dove perfino la pubblicità dell'epoca diceva che mangiare Ddt faceva bene:" Ddt, so safe you can eat it”.

Nel 2020, l'ultimo rapporto della riunione congiunta delle Nazioni Unite sui residui di pesticidi, ha dimostrato che programmi ben gestiti di irrorazione di Ddt in ambienti chiusi non comportano danni agli esseri umani o alla fauna selvatica. Ci sono terre come il Sudafrica, e almeno altri 14 Paesi africani che continuano a usare il Flit contro la malaria - una malattia che colpisce tra 300 e 500 milioni di persone ogni anno- con discreti risultati. Più facile, più economico spruzzare a casaccio, a tonnellate, che cercare altro, ovvio, o dotare di zanzariere o altri presidi medici le popolazioni a rischio. Salvo poi dimenticare che in questa esegesi del Ddt e dei pesticidi la zanzara della malaria è più furba degli esseri umani e che in Asia, ad esempio, ha imparato a difendersi: non muore più. Mentre invece ci ammaliamo noi per le conseguenze dei fitofarmaci e di tutte le violenze che usiamo alla Terra, la Madre che ogni giorno prendiamo a calci, in nome di un falso progresso che è veleno.

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
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