Pasolini, Dacia Maraini svela nelle lettere intime "lo strano patto a tre, fra me, lui e Moravia"
Uscirà il 5 marzo 2022, in occasione del centenario della nascita del Poeta, il libro "Caro Pier Paolo" di Dacia Maraini: un epistolario intimo

C'erano soprattutto le donne nella "razza sacra" celebrata con liturgia laica da Pasolini. Le donne come atomi ribelli, l'eterno status di escluse, invisibili, o meglio cancellate. Le reiette della terra. Nella sacralità della "negritudine", PPP rendeva grazia ai bambini, ai matti, ai poeti, alle anime selvagge, non conformi. Dunque anche al femminile.
Nel 1972 John Lennon scandalizzava il mondo cantando "Woman is the nigger of the world", la donna è il negro del mondo. Tre anni dopo all'Idroscalo di Ostia l'intellettuale più scomodo d'Italia veniva massacrato, vilipeso, negato come simbolo della "sacra razza" dei diversi, degli scomodi, degli inaccettabili. Nel 2019 su questo legame fertile - amore/riamato- Giuseppe Garrera e Sebastiano Tribulzi hanno scritto un saggio dedicato proprio al rapporto tra Pasolini e le donne della sua vita. Tutte cruciali, tutte testimoni: la madre Susanna, Giovanna Bemporad, Silvana Mauri, Cecilia Mangini, Elsa Morante, Laura Betti, Anna Magnani, Silvana Mangano, Maria Callas, Amelia Rosselli, Anna Maria Ortese e, ovviamente, Dacia Maraini.
Maraini ha annunciato un testo che uscirà il 5 di marzo in occasione dei cento anni dalla nascita del Poeta. Si intitola "Caro Pier Paolo", l'editore è Neri Pozza. Un libro sotto forma di lettere intime, in memoria di un'amicizia a tre - lei, lui e Alberto Moravia - alle avventure insieme, alle visioni, alle scoperte. "Caro Pier Paolo - scrive l'autrice - nei nostri viaggi africani si era formulato uno strano patto: tu ti saresti occupato di trovare i luoghi per i tuoi film futuri, Alberto avrebbe scritto delle nostre giornate e io avrei fatto delle foto e tenuto una specie di memoria visiva dei nostri spostamenti, dei nostri incontri, delle nostre avventure. Ma io, più che fotografare te o Alberto, che mi sembrava una cosa ovvia e prevedibile, troppo alla portata di mano, finivo per fotografare gli africani, donne, uomini e bambini che incontravamo nei nostri viaggi". La prospettiva giusta, quella della "sacra razza" che anche Pasolini avrebbe apprezzato, condiviso.
Non è l'unico libro in uscita, non è l'unico evento per commemorare il secolo Pasoliniano. Saremo travolti da un'onda lunga e indomita di omaggi, citazioni, scoperte e riscoperte, "un calendario smodato" di eventi per tenere in vita "la razza sacra" di questo corsaro del Novecento. Il contrappasso di un Paese smemorato che dopo averlo negato, schifato come "un ragno nella stanza", si ostina a rievocarlo.
Perché ora e non prima? Probabilmente abbiamo sperato di avere un altro di Pasolini, vederlo nascere tra Casarsa, Bologna e le periferie di Roma. Uno in grado di usare la penna, la macchina da presa e i colori nello stesso modo. Uno feroce e timido, il corpo magro, calciatore nel ruolo di attaccante (cos'altro sennò?), con quella voce che sembrava una risacca, cronista furibondo, veggente per dolore, uomo di tv, di teatro, di musica, polemista e sezionatore di ogni luogo comune. In oltre cinquant'anni dalla morte efferata, dall'omicidio-massacro, forse l'avremmo meritato un altro Pasolini, scomodo e lungimirante, con tutte quelle contraddizioni che lo rendono testimone di carne, quindi eterno. Non l'abbiamo avuto. Nessuno così, come lui. E forse solo oggi l'assenza del poeta e quell'urlo disperato di Moravia ai funerali, sono la cifra esatta di quanto abbiamo perso, quanto ci manca la bussola sghemba che portava in tasca con le chiavi di un'Alfa Gt 2000.

Dacia Maraini insiste da anni a rimarcare la complessità dell'artista, il poliedro caratteriale. “I molteplici talenti”, dice. E gli infiniti misteri. Perché dietro la figura mercuriale di Pasolini si muovono come onde, come risacca di fango, le troppe strategie del linciaggio e delle mistificazioni. Perfino un film come quello di Davide Grieco, suo assistente alla regia - La macchinazione - messo all'indice, boicottato. E i processi aperti e chiusi e infine archiviati, e le prove svanite, e i reperti della mattanza smarriti tra i tribunali. Anche di questo si parla quando si parla di Pasolini: la morte atroce, la sessualità negata, la miopia di un'Italia ipocrita che per anni ha ridotto perfino il suo omicidio ad una vendetta di marchettari. L'aveva previsto il "corsaro". Pure questo aveva immaginato. E scritto: “La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non più essere compresi”.
Abbiamo molto da farci da perdonare. Non averlo capito, riconosciuto. E, dunque, per una ritorsione inevitabile della Storia non averne visto nascere, crescere un altro. Privati per sempre. Orfani per sempre. Ci resta ora il lamento funebre di Dacia Maraini e Giovanna Marini, compositrice, le ragazze di ieri, ultime eredi della "razza sacra", quella preferita da Pier Paolo Pasolini. Ci resta la nostalgia come una cicatrice per il poeta eretico, vilipendio permanente, coscienza che morde. L'amore feroce, disperato per chi non abbiamo compreso.