Parla Padre Gabicho, il missionario dei poveri tra i più poveri: "Qui dove vive il Vangelo"
Intervista al missionario in Ecuador che opera con gli indigeni, conduce un progetto sui lama e definisce Salgado, suo amico, “un fotografo sociale e umano, fratello del povero”. Seguace della Teologia della liberazione, per lui Papa Francesco “è il Vangelo vivente per i poveri”
Nel sorriso, nella gentilezza e nello sguardo vivace ha la mitezza della forza e l’autenticità di un cristianesimo prossimo a chi è povero e non ai ricchi: all’anagrafe Gabriel Nicanor Barriga Arias, 75enne, ecuadoriano, soprannominato Padre Gabicho è un sacerdote vicino e fratello degli indigeni Quichua (dire “indios” in quelle zone è offensivo), è amico del fotografo brasiliano Sebastião Salgado, del quale conserva una scelta di scatti in una casa parrocchiale della città di Riobamba. Un’amicizia nata in occasione di reportage tra le comunità andine, retta dal condividere principi di equità sociale. E di ciò, di indigeni, di allevamenti di lama, di Papa Francesco parla questo missionario da sempre in prima linea che ha la “Teologia della liberazione” e la parola di un “vescovo degli indios” come faro.
“Sono figlio di un campesino”
Nato nella provincia di Cotopaxi (dell’omonimo vulcano attivo, nel centro del Paese, nella parrocchia rurale di Belisario Quevedo nel cantone di Latacunga), è nella modesta e dignitosa casa parrocchiale di Riobamba che Padre Gabicho descrive la sua esperienza lunga una vita. Parroco a Quimiag, nella provincia del Chimborazo a una ventina di chilometri dal capoluogo Riobamba, il sacerdote si descrive “figlio di un campesino (un contadino, ndr), uomo semplice”. Sua madre vendeva legumi e cerali. Da bambino crebbe in una famiglia “umile” che pur non facendo la fame con otto figli aveva la belle necessità per sfamare tutti.
“Seguii monsignor Proaño, profeta della Teologia della liberazione”
Come è diventato sacerdote così attento al sociale? Da seminarista “conobbi monsignor Leonidas Proaño (1910-1988, ndr), vescovo di Riobamba, che trascorse del tempo nel Vaticano, a Medellín, a Puebla... È stato uno dei grandi profeti dell’America latina, della Teologia della liberazione”. Fu per lui un incontro-spartiacque. “Monsignor Leonidas consegnò agli indigeni tutte le proprietà della Diocesi, trentamila ettari di terra con le grandi fattorie”. Per questo atto il vescovo “ebbe molti problemi” ma non arretrò e il suo esempio è rimasto.
Tra tante difficoltà e innumerevoli ostacoli, il missionario ecuadoriano ha infatti operato sempre con i poveri, con ex detenuti, con emarginati, con gli indigeni. “Qui nella provincia del Chimborazo il 75% della popolazione è formato da indigeni. I poveri tra i più poveri”.
Sulle pareti indigeni ritratti da Salgado
Le pareti dell’abitazione ecclesiale in un quartiere di Riobamba sono costellate da toccanti foto in bianco e nero scattate da Salgado tra oggetti quotidiani e immagini religiose. “Nel 1977 venne per l’agenzia Magnum a fare un reportage su monsignor Leonidas il quale mi incaricò di accompagnare il fotografo nel suo giro”, racconta Padre Gabicho. L’autore brasiliano tornò più volte per documentare vita, battaglie e asperità degli indigeni di questa terra andina: “Nel 1979, nel 1982 e nel 1994. Commentavo con lui che le sue erano le migliori fotografie del mondo con il peggiore parroco del mondo”, dice con un sorriso ironico e divertito Gabriel Nicanor Barriga Arias.
Il brasiliano “è un fotografo sociale e umano, fratello del povero”
Citato da Salgado in più occasioni, per esempio da Laura Putti in un articolo sulla Repubblica del 13 settembre 2013, Padre Gabicho inserisce l’amicizia con il fotografo nella sua azione sociale ancor prima che evangelica che si può condividere al di là di qualunque fede si segua o non si segua: “Economista, è un fotografo sociale e umano, è fratello del povero”. Da giovane “Salgado dovette fuggire dalle dittature brasiliane con sua moglie Lélia Wanick, architetta: oggi, riconosciuto in tutto il mondo, è amato da molti e odiato da tanti perché dicono che ha fatto soldi grazie alle foto dei poveri. Ci sono sempre quelli che non vogliono guardare”, commenta Padre Gabicho mentre indica alcuni scatti in bianco e nero sulla dura esistenza e sulla dignità dei campesinos andini.
“Gli indigeni hanno lo sguardo, il silenzio e la forza del lama”
A proposito delle comunità rurali, il missionario ha coordinato un progetto sulle quattro varietà di camelidi in queste terre sopra i tremila metri di altitudine a sud della capitale Quito: “L’alpaca, la vicogna, il guanaco e il lama. Qua hanno rischiato l’estinzione”, pur essendo “animali ecocompatibili con il paramo” (un tipo di ecosistema nella cordigliera delle Ande dalla Colombia al nord del Perù, ndr)”, osserva il missionario. Attualmente circa tremila persone, “tutti indigeni quichua di Riobamba”, allevano quattromila camelidi con un’azione di tutela ambientale che si è dimostrata rilevante anche per l’identità storica di queste comunità: “Culturalmente gli indigeni hanno molto dello sguardo e del comportamento del lama: il suo modo di essere, di guardare, il suo silenzio e allo stesso tempo la sua forza”, rileva il missionario.
Nel mondo “impera il neoliberalismo”
In un mondo dove “impera il neoliberalismo, dove avere denaro vale più dell’essere”, dove “la cultura dominante” accetta “la cultura autoctona come folklore”, secondo Padre Gabicho si dimostra fondamentale la parola di Papa Francesco: “È la luce nel mondo e il Vangelo vivente per i poveri”. Ai quali, riportiamo traducendo il pensiero del sacerdote, il Papa chiede di alzarsi e camminare, di darsi da fare, nonostante la povertà e le dure condizioni di vita e di salute, e il compito del missionario diventa insegnare, non fornire semplicemente aiuti.
“Papa Francesco apre orizzonti di speranza e giustizia”
Il parroco ha incontrato il pontefice quasi sei anni fa in un’udienza in Vaticano. “Gli detti un piccolo lama come dono, il Papa mi disse che odoro di lama e che i pastori devono avere odore di pecora, vale a dire odorare di povertà, di bambino abbandonato, di donna maltrattata. Il Papa ha uno sguardo profondo che apre orizzonti di vita, di speranza, di giustizia e di verità. Come un Vangelo che non fa dormire ma ti risveglia”. Perché, prosegue, “siamo tutti fratelli, tutti figli di Dio, tutti abbiamo dignità e il peccato più grande è l’ingiustizia sociale”. Tanto più in un pianeta dove “molta gente molto ricca ha costruito il proprio vitello d’oro”, considera “il denaro la cosa più importante” e invece “se ascoltasse la parola di Dio non permetterebbe che esistano simili differenze sociali”.
“Credo nella Teologia della Liberazione”
Con una voce pacata, lo sguardo si fa penetrante, trasuda sia avversione per le disparità sociali sempre più accentuate sia “felicità” per essere “pastore” in una comunità che lo ha accolto. Perché Padre Gabicho si reputa un semplice seguace di monsignor Leonidas Proaño, per il quale “il denaro non è la cosa più importante” e invece “se ascoltasse la parola di Dio non permetterebbe che esistano simili differenze sociali”.
Torna così l’esempio della Teologia della liberazione che le componenti più conservatrici quando non apertamente reazionarie della Chiesa hanno avversato e combattono: “Non sono i teologhi, sono i poveri a fare la Teologia della liberazione, a partire dalla riflessione del Vangelo, ma di un Vangelo liberatore”, conclude il missionario mentre fra le strade e il cemento di Riobamba cala la sera.
Grazie a Juan F. Vizcaino e Salomé Vuelta Garcia per la consulenza linguistica.
Per chi voglia dare un contributo al progetto sui camelidi di Padre Gabicho, queste sono le coordinate del conto corrente:
Barriga Arias Gabriel Micaror
Banco Pichincha
Succursal Riobamba
Quento n 31443554-04