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Abusi, botte, allenamenti e crudeltà: il lato oscuro dello sport

Quando il coach è un sadico. Storie di violenze e di omertà in un libro da leggere durante le Olimpiadi

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
Abusi, botte, allenamenti e crudeltà: il lato oscuro dello sport

Non è tutto oro quel che luccica. Neppure se si tratta di una medaglia conquistata con sacrificio, sforzo, disciplina ferrea. Prendiamo queste Olimpiadi di Tokyo nel segno del terrore pandemico, tra tamponi, cluster, vaccini e un po' di veleni. Come quelli che hanno serpeggiato, pesantemente, nel mondo della scherma, vanto e orgoglio nazionale, che per la prima volta in 40 anni resta quasi a bocca asciutta. Sono seguiti scambi di accuse tra atlete, battute al cianuro e  dichiarazioni dure, pari a sciabolate. A dare la stura è stata la fiorettista Elisa Di Francisca che ha contestato pubblicamente il ct Andrea Cipressa definindolo "inadeguato". Apriti cielo. Si sa che nel mondo dello sport criticare l'allenatore è come mettere in discussione il pater familias, una figura tanto potente quanto sacrale. E forse non è un caso quanto è accaduto alla judoka Martyna Trajdos presa a sberle prima di una gara dal coach Claudiu Pusa. E mentre il mondo si indignava l'atleta tedesca di par suo minimizzava l'accaduto: "Non è successo nulla, è la nostra strategia. Lui lo fa per svegliarmi".


La "sveglia" a suon di schiaffi non sembra, purtroppo, un'eccezione. Da un sondaggio di Human Rights Watch tra 800 giovani atleti giapponesi sotto i 25 anni sono risultate diffusissime le pratiche del pestaggio, della molestia e della violenza. Il 18% degli intervistati ha affermato di aver subito soprusi: pugni, calci, percosse con racchette e bastoni. Oppure allenamenti massacranti con privazione d'acqua, tentativi di soffocamento alternati a mortificazioni pubbliche. Si chiama Taibatsu, una specie di gioco di ruolo sadico con atlete e atleti minorenni precipitati nella depressione o segnati per sempre da disabilità fisiche provocate dalle aggressioni degli allenatori.

Larry Nassar l'uomo al centro del #metoo sportivo

E poi, ovviamente, c'è il capitolo nero degli abusi sessuali. Il #metoo nel mondo dorato e spesso omertoso dello sport è esploso in America nel 2018. Larry Nassar era l'osteopata della nazionale statunitense di ginnastica artistica dal 1996 fino al 2017, anno in cui è stato accusato e in seguito processato e condannato a un totale di 176 anni di reclusione, per aver violentato più di 500 atlete durante le sue sedute. "Compagno di merende" di Nassar era l'allenatore John Geddert, che si è tolto la vita dopo essere stato formalmente incriminato con 20 capi di accusa. Almeno 50 le sue vittime, tutte ragazzine tra i 13 e i 16 anni abusate per quasi un decennio.  Tra di loro anche una campionessa come Simone Biles, che nei giorni scorsi è stata al centro di critiche, articoli e dibattiti  a causa di una grave forma di ansia depressiva. L'atleta ha parlato di "demoni nella testa". Qualche correlazione con quanto è accaduto a lei e alle sue compagne?
Quello scandalo non è rimasto confinato negli States. Tanto che poi sono arrivate le denunce in Inghilterra con le accuse a tutta la Federazione britannica che avrebbe coperto molestie, pestaggi, stupri. E a seguire questa scia vergognosa e gravissima ha toccato il Belgio, l'Australia, il Canada, la Grecia. 


E in Italia? "I casi censiti nell'ultima relazione della Procura generale dello sport sono una novantina, spalmati sulle varie discipline sportive nell'arco di tempo fra il 2014 e il 2019. Il primato spetta al calcio (ventuno casi), seguito da equitazione (sedici) e volley (tredici). Tra il 2014 e il 2017 i casi accertati dalla Procura generale dello sport erano quarantasette". Lo scrive Daniela Simonetti nel libro inchiesta Impunità di gregge - Sesso, bugie e omertà nel mondo dello sport (Chiarelettere, 2021). Lo spaccato che emerge è la base invisibile di un iceberg che galleggia in un mare di silenzi, ipocrisie, verità taciute. Quando Maila Andreotti, 20 titoli italiani su pista nel palmares, ha denunciato le molestie subite ai tempi delle gare per la Nazionale ciclismo si è parlato di poche "mele marce". Ma il fenomeno ha dimensioni molto più ampie e preoccupanti.

Simonetti - giornalista dell'Ansa e fondatrice de Il Cavallo Rosa / ChangeTheGame, la prima associazione italiana contro gli abusi sessuali nello sport - fa presente che "per gli allenatori delle società dilettantistiche non sia obbligatorio presentare il certificato penale". Siano pedofili, criminali, killer o sadici a caccia di vittime. Il risultato è che consegniamo i nostri figli e nipoti a gente di cui nulla sappiamo mentre Federazioni e Coni fanno a gara per normalizzare l'affaire. Quasi che dietro ci sia un meccanismo preciso per sminuire, tacitare i casi che faticosamente vengono a galla in nome della "reputazione".
Leggetelo ora questo libro, mentre facciamo il tifo per il gesto sportivo supremo. Scoprirete quanto dolore può nascondersi. Un atleta su 7 under 18 anni ha dichiarato di aver subito molestie ma su 100 reati soltanto 35 vengono denunciati. Gli altri vengono cancellati. Non esistono. L'allenatore resta il Dio che decide, alza l'asticella, premia o sculaccia, allena il corpo dell'atleta e dunque - pare -  per un perverso meccaninismo transitivo ne possa  approfittare a piacimento.

Fa male la storia di Andrea, 13 anni, abusato da Domenico Pastore nella  scuola di scherma a Massa di Somma nel napoletano. E' un pugno nello stomaco il referto medico che comprova la violenza. Ma anche in questo caso sembra non sia accaduto nulla. E il fratello di Pastore, Giampiero, resta saldamente al suo posto: vicepresidente della Federazione Scherma Italiana. Mentre il Coni in questo e in altri episodi non si è mai costituito parte civile. Per prendere le distanze? Simonetti denuncia un'omertà da tempio, da Chiesa, da casta, da castello di potere, da piani alti della Finanza. Un'omertà che fa paura. Perché parliamo di un pezzo consistente di questo Paese: 4.703.000 gli atleti tesserati delle federazioni sportive nazionali, con le donne che rappresentano il 28,2% del totale, gli under 18 il 56,7% mentre gli operatori sportivi sono oltre un milione e le società sportive affiliate sono ben 63.517. Sarebbe ora di  sventolare il  tricolore per il più grande dei primati da conquistare: quello del rispetto, della tutela, della cura degli atleti e delle atlete. Soprattutto se minori. 

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
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