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Lucio più Lucio, le vite parallele di Battisti e Dalla: le curiose alchimie planetarie

Nati a un giorno di distanza, il 4 e il 5 marzo del 1943. Ancora oggi ci ritornano in mente così immensi, distanti e inevitabili. Gli 80 anni dei divini immortali

Daniela Amentadi Daniela Amenta   

Di mezzo ci devono essere anche gli astri, cantati dall'uno e dall'altro con accenti, timbri diversi. "Questo amore non è una stella che al mattino se ne va", disse Battisti. E Dalla rispose: "Quante stelle nei flipper sono più di un miliardo". Fatto sta che, miracoli del cielo e delle curiose alchimie planetarie, entrambi si chiamavano Lucio, nati sotto il segno dei Pesci, nel 1943. L'uno il 4 marzo, l'altro il 5. Se fossero ancora con noi, oggi avrebbero 80 anni.

Dalla e Battisti, dunque. Due rivoluzioni parallele tra complessini beat, Cantagiro, Sanremo, hit-parade spettacoli tv. Fino alla gloria. Due miti celebrati con amore totale da almeno quattro generazioni. Lucio e Lucio, inevitabile ci ritornino in mente. Insieme sul palco non furono mai, forse neppure si amarono questi giganti del «cantar leggero». Maltrattati negli anni Sessanta dalla critica dell'epoca: l'uno bruttino e peloso, troppo strano. L'altro coi capelli d'istrice e quella voce un po' così «con i chiodi conficcati in gola» e il foulardino al collo. Però erano testardi quei due. Bravi e testardi, seppur molto diversi. Dalla scelse di fare da solo dopo la preziosa collaborazione con il poeta Roberto Roversi. Fu un azzardo e la sua fortuna. Com'è profondo il mare, anno di grazia e piombo 1977, aprì una stagione irripetibile. Suoni più grandi, corposi, densi. E testi, testi come poesie, a metà tra denuncia civile e lirismo intimissimo, amori di periferia e batticuori tra le lenzuola.


Battisti è Battisti, uno e trino, come un Dio. La fase da capogiro con milioni di copie vendute in compagnia di Mogol, quella come autore prezioso e sognante per altri artisti, e l'ultima ostica, affascinante, spigolosa con Pasquale Panella, l'era dei dischi bianchi. Battisti che brucia ogni record, incanta le masse, diventa l’icona più amata di un intero Paese, il marchio di fabbrica suo malgrado. Dalle piazze caldissime alle scuole in rivolta, dalle feste di compleanno ai falò spiaggia con le chitarre un po’ scordate. Ancora tu, sempre lui. Cantato e copiato fino allo sfinimento. Nel 1973 Lelio Luttazzi, dai microfoni delle radio di Stato neppure ci crede che quel riccetto di Poggio Bustone sia primo e secondo in classifica sbaragliando The Dark Side of The Moon dei Pink Floyd. Un successo così clamoroso, epico, totalizzante da fare quasi paura. Tanto che a un certo punto il Lucio della provincia di Rieti deve aver detto a sé stesso "Dio mio no". Dopo aver chiuso con la tv (l’ultima esibizione è per Teatro 10 di Alberto Lupo con Mina), Battisti inizia a spegnere tutti gli altri riflettori: basta interviste e fotografie. E più si sottrae, più cresce il mito. Oltre, ben oltre le emozioni, sorta di delirio collettivo. Tanto che in un’intervista a Epoca, del 1971, anche Dalla cerca di decifrare il personaggio. «Tutto ciò che fa Battisti ha successo? Nasce la moda Battisti, la psicosi Battisti, e si copia Battisti che a sua volta si rifà agli americani ma basandosi su una preparazione professionale seria, su un certo tipo di ascolto e di lavoro ineccepibili. Il caos nasce da qui.»


Negli anni Ottanta Dalla, dopo l’esperienza felice con De Gregori e l'infinito tour di Banana Republic, incontra gli Stadio. Nasce un sodalizio fortunato: concerti in America e successo "a la Battisti" con Caruso, 9 milioni di copie vendute, Targa Tengo, canzone amplificata in tutto il mondo come un classico grazie anche a Bocelli, Pavarotti, Sosa, Dion. Battisti invece è in fase di stanca. Chiude con Mogol, incontra Panella. Vuole sperimentare generi, rinnovarsi. I risultati non sono sempre all’altezza. «E scrivi che non esisto quaggiù. Che sono l’inganno» canta nella superba title-track di Don Giovanni. Forse è già oltre, lontano. Come l’asteroide 9115 a lui dedicato. Se ne andrà definitivamente il 9 settembre del 1998, a 55 anni. Funerali privati. I pochi fan che arrivarono alle esequie con i fiori in mano e i lacrimoni verranno allontanati.

Fuori da San Petronio, il 1 marzo del 2012, per dire addio a Dalla, morto a 68 anni per un infarto in Svizzera - come l'emigrante operaio Pablo -, c’erano cinquantamila persone. Altrettante lo festeggeranno a Bologna e non solo, il 4 marzo nelle tante piazze grandi di questo Paese che gli vuole bene come a Gesù Bambino. Per lui decine di iniziative: un francobollo, apertura straordinaria della casa "museo" in via D’Azeglio 15, spettacoli, concerti, tre film documentari su Nexo, un libro per i più piccoli illustrato da Sarah Mazzetti ed edito da Ciao Discoteca Italiana. Si intitola Il Parco della luna e i proventi andranno per costruire uno spazio magico all'interno del reparto pediatrico dell'Ospedale Sant'Orsola. Per Battisti, invece, celebrazioni a fari spenti nella notte. Come richiesto dall'inflessibile vedova Grazia Letizia Veronese e dall'unico figlio della coppia, Luca Filippo Carlo, gli eredi di tale patrimonio e cotanto talento che vivono a Rimini e preferiscono il silenzio, l'anonimato, l'amnesia.

Nonostante la cortina familiare la Sony ha deciso di ripubblicare su vinile alcuni degli album più celebri del "nostro caro angelo" e per Mondadori esce un libro scritto da Ernesto Assante. Si intitola semplicemente Lucio Battisti. Scrive l'autore, giornalista di Repubblica: "C'è una bellissima contraddizione che avvolge la storia, la musica, la personalità di Battisti: essere, forse, l'artista musicale più celebre di sempre in Italia, quello più conosciuto, popolare, con canzoni che sono ancora parte integrante del tessuto connettivo della cultura italiana, ma al tempo stesso essere "sconosciuto", privo di una biografia pubblica, misterioso per chiunque abbia voglia di scoprire l'uomo".
Lucio più Lucio, insomma. Due storie parallele, così distanti, eppure inevitabili. E quindi eterne. 

 

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