I battiti cardiaci del mondo sono in un archivio giapponese: qui la felicità si può ancora immaginare
Laura Imai Messina, bestsellerista da milioni di copie, ci racconta un'altra storia commovente in L'isola dei battiti del cuore, romanzo che nasce da un luogo reale

Il 14 luglio del 2021 il cuore di Christian Boltanski si è fermato. Ma continua a battere. Avete letto bene: continua a battere. Perché Boltanski, multiforme artista francese, figlio orgogliosamente meticcio di padre ucraino e madre corsa, è l'inventore di un museo, un'installazione, che non altri eguali nel mondo. Sono Les Archives du Coeur. Si trovano su un'isola che si chiama Teshima nel mare interno del Giappone, un posto distantissimo da tutto, sulla spiaggia deserta di Ojigahama. Lì si sente solo il contraccolpo delle onde e un pulsare ritmato, profondo. Dal 2008 Boltanski ha registrato il tum tum di migliaia di esseri umani, molti gli hanno inviato il loro. Bambini, anziani, malati, innamorati, chiunque e da ogni parte del mondo. Alcune persone non ci sono più, altre hanno fatto dono del loro battito all'Archivio sapendo che quei documenti sonori probabilmente gli sopravviveranno.
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L'isola dei battiti del cuore
Un progetto bellissimo, utopico, "un santuario laico in cui poterci mettere in ascolto della nostra meravigliosa unicità attraverso la pulsazione della vita di un’altra persona, una memoria universale del genere umano", per citare Andrea Martella di Huffington Post. Qui potete ascoltare una delle registrazioni.
Sulle tracce di questo luogo incredibile si è messa Laura Imai Messina, romana ma che abita a Tokyo da quando aveva 23 anni e qui insegna, scrittrice da milioni di copie. Il suo precedente romanzo, Quel che affidiamo al vento (Piemme, 2020) è un caso editoriale tradotto in 25 Paesi. Anche allora Laura ci ha raccontato una storia magica, commovente, simbolica. Come questa appena pubblicata in un libro intitolato L'isola dei battiti del cuore (Piemme, pagg. 296, euro 18.90).
Due i protagonisti principale: Shuici, un quarantenne di successo che illustra libri per ragazzi, e un bambino di 8 anni di nome Kenta. L'uomo torna nel villaggio dove è nato: sua madre è morta e deve fare i conti con la perdita, prendersi cura anche dei ricordi sfocati della sua infanzia, del rapporto con una mamma che per evitargli i dolori gli ha raccontato una realtà parallela, fittizia. ("Il terremoto? No, non c'è stato. Il gatto è morto? Ma no, sarà andato a passeggio. Sei caduto? Falso. Ti sarà sembrato"). Qui, nella casa di famiglia oramai vuota, trova Kenta, così piccolo, fragile e sensibile. Tra i due nasce un'amicizia profonda che li porterà fino all'Archivio dei cuori, che in giapponese si traduce come Shinzo-on no Akaibu.
E' un romanzo, questo di Laura Imai Messina fatto di incontri, di relazioni inaspettate, di fili che si intrecciano, di sintonie e di rinascite. Perché come scrive: "Per essere felici bisogna anzitutto immaginare di essere felici". Anche l'autrice si è messa in viaggio per raggiungere Teshima: un aereo, una nave, chilometri a piedi in un paesaggio sospeso per raccontarci un altro luogo miracoloso che tiene insieme passato e futuro, lacrime e carezze. Un libro di speranza in un tempo così difficile in cui le parole si fanno suono. A un certo punto Shuici recita, come in una filastrocca antica e meravigliosa, i termini usati per definire nel mondo il ritmo del cuore: tup tup in bulgaro, pam pam in albanese, doef doef in qualche Paese d'Africa. In Giappone le pulsazioni hanno fonemi diversi a seconda delle circostanze: doki doki quando siamo emozionati, toku toku nei momenti di calma e doku doku se la tensione prende il sopravvento. Soprattutto questi battiti, oltre 85mila registrazioni, non vanno mai in sincrono, perché la diversità ci rende unici ma al tempo stesso fratelli e sorelle di un'umanità da riscoprire ma che ci parla dal di dentro, dall'interno, dal centro del petto.
Il romanzo è intenso, forte, bello, come il progetto di Boltanski che ha passato una vita a celebrare le memorie. Sua, per dirne una di particolare valore, è l'installazione permanente "A proposito di Ustica" che a Bologna ricorda la strage del 27 giugno 1980: accanto alla carcassa del Dc9 dell'Itavia si accendono e si spengono 81 lampadine che si riflettono in altrettanti specchi. Ottantuno come le vittime di una tragedia che brucia ancora sulla pelle del nostro Paese. Brucia e rimane cicatrice indelebile.