Jacqueline Kennedy e l'ossessione tragica e fatale per un tailleur rosa
L'ex First Lady avrebbe compiuto gli anni il 28 luglio. Fenomenologia di una influencer ante litteram alla quale è dedicata una nuova biografia

Lo diceva spesso. Diceva: "la gente ama le favole". E quindi si inventò un'esistenza fiabesca malgrado la realtà. Jacqueline Lee Bouvier era nata a Southampton il 28 luglio del 1929, sei settimane dopo il previsto. Un particolare che fece infuriare la terribile madre Janet che non sopportava i cambi di programma. Il padre, invece, John Vernou Bouvier III - ricchissimo agente di Borsa - anche quella notte andò ad ubriacarsi con una delle sue amichette per festeggiare la nascita della bambina. Le cronache non lo riportano ma probabilmente il primo vestitino della piccola Jackie era di colore rosa, il suo preferito, la tinta dei romanzi d'amore, quelli che hanno sempre un lieto fine.
Sapeva giocare a tennis, andare a cavallo, era stata educata all'arte e alla bellezza per diventare una moglie perfetta. Quella che il 12 settembre del 1953 nella chiesa cattolica romana di St. Mary a Newport, nel Rhode Island, disse sì a un giovane senatore democratico: John Fitzgerald Kennedy. Lei 24 anni, lui 34. Belli, perfetti, radiosi come i testimonial del sogno americano. Lei indossa un abito da "favola", appunto, con un velo di merletto veneziano. Sceglie un bouquet con piccole orchidee rosa, fedele al colore che sarà il suo segno e insieme il simbolo di una tragedia collettiva.
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La chiamavano Jackie, influencer ante litteram
La fiaba si interrompe dopo tre anni appena dal matrimonio, Jacqueline rimane incinta ma dà alla luce una bambina morta. Si sarebbe dovuta chiamare Arabella. Cade in depressione eppure non rinuncia a sostenere il marito nella corsa alla Casa Bianca e riprova a diventare madre. Nel 1957 nasce Caroline, l'8 novembre del 1960 Kennedy diventa il 35esimo Presidente degli Stati Uniti d'America e pochi giorni dopo, il 25 dello stesso mese, arriva l'erede al trono: John Fitzgerald Kennedy Jr. Il cerchio perfetto. Perfetta lei nella parte della First Lady e della mamma amorevole, elegantissima sempre, con quegli abiti color pastello che indossa come una mannequin, due giri di perle al collo, guanti e cappelli in pendant. Rosa è il vestito che sceglie per le foto ufficiali accanto a John, rosa il rossetto.
Il cuore di Jackie, invece, è nero come il fondo di un pozzo quando scopre che i tradimenti di mister President sono una costante nel loro rapporto di coppia, uno status quo, sempre più frequenti, sempre più eccessivi, sempre più plateali. Ha un marito che ha insaziabili appetiti sessuali, identico a suo padre. Un compagno, il "suo" John, che ha una collezione di altre donne dai tempi del fidanzamento, che si è preso una sbandata per una bomba sexy come Marilyn Monroe, l'esatto contrario di Jackie. Bionda, sfacciata e burrosa l'una, bruna, sottile, stilosa l'altra. Jackie bella come una dea egizia, così moderna e profondamente sola a contare le assenze di un uomo che il potere ha reso ancora più complicato. Non la consolerà neppure l'affettuosa vicinanza del cognato Robert, l'alcol o il gioco di arredatrice per trasformare in un mausoleo la Casa Bianca. Nell'agosto del 1963 un'altra ferita non rimarginabile: nasce il quarto figlio della coppia, Patrick, ma muore due giorni dopo per complicanze polmonari.
Eppure Jacqueline, la First Lady, ha un controllo assoluto. La fiaba deve essere tale. Nessun cedimento. Nessuna lacrima in pubblico. Incanta De Gaulle con i suoi modi da gran dama, fa impazzire il leader russo Nikita Kruscev e quando incontra la Regina Elisabetta sembra lei, Jackie, la vera sovrana come scrive Hermine Simon che le appena ha dedicato una biografia (l'ennesima) appena pubblicata in Francia: From Jackie, with love.
Anche il 22 novembre del 1963 Jacqueline Kennedy è in rosa. Pretty in Pink, come recita una canzone. Veste un tailleur di Chanel con il colletto blu che piaceva moltissimo anche al Presidente, sembra che fu lui a chiederle di indossarlo per il viaggio in Texas. Quell'outfit, quel cappellino, quei bottoni, quel colore improbabile per un dramma di tali proporzioni entreranno "nella coscienza storica dell'America". Sono le 12.30. Kennedy viene ucciso mentre è a bordo della Lincoln Continental a Dallas. Viene colpito due volte, la seconda da un proiettile alla testa. Jackie cerca di soccorrerlo, il vestito rosa si macchia di sangue. Dicono che lei urlò: "Amore mio". Dicono che la fiaba si chiuse lì.
Lady Bird Johnson, presente quel giorno, raccontò: "Vidi in quella macchina un fagotto rosa, come se si trattasse di un mucchio di fiori, sdraiati sul sedile posteriore. Era Mrs. Kennedy distesa sopra il corpo di suo marito". Jackie non volle togliersi quell'abito anche se aveva sangue ovunque: sulle calze, sui polsini, sulla gonna. Disse: "Voglio mostrare al mondo cosa hanno fatto a mio marito". Non se lo cambiò neanche quando fu condotta di gran carriera a bordo dell’Air Force One per gestire l'emergenza, rassicurare l'America e il mondo dal trauma dell'omicidio del Capo della Casa Bianca. Sul velivolo circondato dai corpi speciali, alle 14.38 Lyndon Johnson prestò giuramento per diventare il 36esimo presidente degli Stati Uniti davanti a una donna distrutta, una testimone della storia suo malgrado. Non si cambiò la mise neppure nel viaggio di ritorno verso Washington, entrando nella White House già listata a lutto, cercando i figli per abbracciarli.
Il rosa diventerà rosso per sempre come nel film "Jackie" 2016 diretto da Pablo Larraín con una strepitosa Natalie Portman nella parte della vedova Kennedy. Quel tailleur, mai lavato, fu portato in una scatola alla madre di Jacqueline perché se ne prendesse cura, poi fu dato in consegna al National Archives and Records Administration’s College Park, nel Maryland. Non è visibile al pubblico, per precisa volontà degli eredi che hanno dichiarato che solo nel 2103 decideranno il da farsi. Un tempo lungo: 140 anni dopo l'assassinio di Kennedy e la fine ufficiale del "pink dream" di Jacqueline, la lady che voleva vivere una fiaba ma che fu costretta a interpretare mille altre vite senza poter cancellare le macchie su un tailleur Chanel e il sibilo dei colpi di un fucile