Carla Fracci, una vita sulle punte senza mai perdere l'equilibrio
Ha trasformato la danza in una poesia popolare, accessibile a tutti. L'arte della tenacia per volteggiare e non smarrire il baricentro
"La danza è una carriera misteriosa, che rappresenta un mondo imprevedibile ed imprendibile. Le qualità necessarie sono tante. Non basta soltanto il talento, è necessario affiancare alla grande vocazione, la tenacia, la determinazione, la disciplina, la costanza". Essere piuma ma con un'anima di acciaio. E così era Carla Fracci, l'étoile, la stella luminosa della danza nel mondo. Sembrava fragile, così sottile, delicata, eterea, e invece per vivere sulle punte bisogna trovare un equilibrio solidissimo. E avere una tempra di marmo: quella che ll'ha tenuta in vita fino alla fine.
Carla Fracci, figlia di un alpino diventato tramviere e di un'operaia, nata in un giorno rovente di agosto nel 1936, aveva imparato a casa l'arte della tenacia. Volteggiare senza perdere la testa. Volare in aria ma tenendo le radici bene stese nella terra. Aveva studiato danza alla Scala, si era diplomata con poca fortuna nel 1954. Dicevano i suoi maestri che aveva un bel faccino ma fosse svogliata. In quattro anni Carolina detta Carla dimostrò ai suoi insegnanti e al mondo di che pasta era quella ragazza leggera come una sciarpa di seta, perennemente vestita di bianco.
Bianca era anche la sua casa di Roma, affacciata sui Fori imperiali, una sorta di meringa dove ha abitato con l'amatissimo marito Beppe Menegatti, regista, e il figlio Alessandro. Bianca era l'anima di questa donna che, passo dopo passo, ha trasformato la danza in un meraviglioso spettacolo pop, accessibile a tutti, anche a coloro che non avevano mai sentito parlare di Shéhérazade, di Petruška, di Medea.
Fracci è stata il simbolo di un'Italia testarda, orgogliosa. Perché dietro quella leggiadria che ci ha incantato c'erano lavoro, prove faticose, costanti, continue e dolorose. A guidarla fu l'esempio di Margot Fonteyn, la regina del Royal Ballett che le insegnò quanto un teatro può diventare casa, ma soprattutto un anelito interiore verso la perfezione e l'impegno, il concetto di sacrificio come missione. Un impeto profondo che però non le ha mai fatto smarrire il baricentro e le sue origini: figlia di un Milano popolare e di un Paese da ricostruire dopo la guerra.
Fracci ha danzato con i più grandi dimostrandosi grandissima. E' stata Giselle, La Sylphide, Giulietta, Swanilda, Francesca da Rimini, Cenerentola, personaggi che non ha solo interpretato ma ai quali ha restituito vita e sangue, passioni e ferite, bellezza e perdizioni. Nella sua biografia "Passo dopo passo" uscita nel 2013 per Mondadori a cura di Enrico Rotelli ebbe a dire: "Il balletto ha un linguaggio più penetrante di quello teatrale, forse è proprio l'assenza della parola a renderlo tale". Ecco, la mancanza della voce deve essere sublimata dal corpo, dai muscoli tesi, dallo sforzo sovramuno messo in scena all'apparenza senza sforzi. Sembrava davvero che Carla Fracci, anche lontana dai palcoscenici, non toccasse terra, tanto era la sua armonia, tanto poderosa la sua grazia.
Una donna simbolo, una star immensa che però non ha mai perduto l'ironia prestandosi a duettare, ad esempio, con Elio e le Storie Tese, mai cancellato l'attenzione per la realtà fino a diventare assessora alla Cultura a Firenze. Diceva: "Un Paese senza cultura e arte, senza i mezzi per fare cultura e arte, è un Paese che non si rinnova, che si ferma negandosi così ad un futuro vero, autentico e soprattutto libero".
Amata dalla gente comune e dal poeta Montale, idolatrata dai più celebrati scenografi, registi, da interi corpi di ballo, Fracci ha portato la lievità nelle nostre esistenze. Con quel sorriso enigmatico, il look total white, i modi calibrati da gran dama ricordava di aver danzato "nei tendoni, nelle chiese, nelle piazze. Sono stata una pioniera del decentramento. Volevo che questo mio lavoro non fosse d'élite, relegato alle scatole d'oro dei teatri d'opera". Questo le dobbiamo. Averci fatto amare il balletto, averlo reso comprensibile, alla portata delle periferie così come delle reggie. La signora della danza che ha toccato con un dito le altezze siderali delle nuvole, planando sulla terra come un petalo di gardenia.