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Graffiti a Venezia: tra pantegane e leggende macabre la vita della gente è scritta sui muri

“Urbs Scripta” è un curioso festival su segni, disegni e immagini impressi nei secoli in città. Raccontano questa storia gli ideatori e autori di due libri, Alberto Toso Fei e Desi Marangon

Stefano Milianidi Stefano Miliani   

In giro per le calli e piazze veneziane vediamo la magnificenza, i palazzi, immaginiamo i colori di Giovanni Bellini, Tintoretto o Tiziano, i veneziani doc scrutano perplessi la massa di turisti, quasi nessuno vede la storia scritta sui muri per secoli da persone senza blasone con segni, graffiti, maledizioni, lodi, disegni. Eppure in città sono almeno seimila le scritte e incisioni che su muri, ponti, selciati, colonne, raccontano una storia palpitante, vissuta. Tante ne stima lo studioso di Venezia e scrittore Alberto Toso Fei che insieme a Desi Marangon ha dato vita a un festival sui graffiti storici veneziani assai originale, “Urbs Scripta”, in corso dal pomeriggio di ieri (giovedì) fino a domenica 16 aprile in più luoghi della Serenissima.

L’appuntamento scaturisce da un libro dei due autori uscito nel giugno dell’anno scorso, I graffiti di Venezia (Lineadacqua edizioni 240 pagine, 35 euro), e in sintonia con un volume freschissimo di stampa sempre di Toso Fei e Marangon dal quale riprende il titolo, Venezia Urbs Scripta. Scritture effimere, segni curiosi, voci dai margini. I graffiti come fonte per una storia dal basso (Editoriale Programma, 128 pagine, 9,90 euro).

Dalla pantegana incisa su una colonna dell’ex traghetto di San Felice al corno dogale dipinto in porpora su un pilastro interno delle Procuratie della Piazzetta, da una leggenda macabra fino a un “W W Giovan Battista Nani, cavaliere e procuratore per merito” del XVII secolo, il repertorio di questi segni apre una finestra su vicende e moti d’animo di tanti che le cronache storiche hanno ignorato. Anche se oggi chi scrive messaggi privati o il proprio nome su edifici storici compie un insignificante atto di vandalismo, la storia qui è diversa.

Clicca qui per il programma del festival Urbs Scripta

La leggenda del Levantino con un cuore e un coltello

“Il festival nasce dal nostro libro I graffiti di Venezia che, tra mappatura, studio, scrittura e comparazioni ha raccoglie gli ultimi cinque anni di ricerca – racconta Toso Fei – Il mio percorso è più datato, ho già all’attivo vari libri prevalentemente sul recupero della tradizione orale veneziana. Ho raccolto storie legate ai graffiti negli ultimi 30 anni, il primo libro è di 23 anni fa. Ma non ero in grado di catalogare questi segni, ho acquisito competenze grazie a Desi”. Tra gli innumerevoli segni sopravvissuti al tempo non mancano leggende. “La più celebre – riferisce lo scrittore - riguarda il cosiddetto Levantino, un personaggio graffito sul portale della Scuola grande di San Marco: una figura umana regge un coltello in una mano e un cuore umano nell’altra. Il cuore sarebbe della madre che ha ammazzato. Qualcuno ha lasciato un segno nella pietra perché Levantino si sarebbe pentito”.

Lontano dallo sfarzo dei dogi e dei signori, quale città emerge da questi graffiti? “Una città viva nei secoli di ogni ceto e provenienza – risponde lo scrittore - Vale il principio della storia dal basso; troviamo tracce delle vite di migliaia di persone lasciate 4-500 anni fa e possiamo leggerle come se chi le ha scritte si fosse allontanato un minuto fa”.  

Si traccia la storia delle persone comuni

“L’idea è di Alberto – interviene Desi Marangon – Ho un dottorato di ricerca in studi storici, mi sono occupata delle iscrizioni medioevali veneziane più ufficiali ma ho trovato anche scritture effimere non ufficiali”. Attraverso queste scritte “in una prospettiva storiografica si traccia una visione nuova di Venezia. Parliamo sempre dei dogi, degli intellettuali, degli artisti, non delle persone comuni perché non abbiamo fonti di prima mano. I graffiti sono le fonti che loro hanno lasciato. A volte non sanno nemmeno scrivere o leggere e se ci fossimo basati solo su fonti ufficiali non avrebbero lasciato traccia. È bello tracciare storia dal basso e, anche, condividere con la cittadinanza queste conoscenze perché la storia è una conoscenza collettiva, appartiene a tutte e tutti, anche a chi non ha strumenti per accedere a convegni accademici”.

L’immagine più cara a Desi Marangon? “Un graffito su una colonna a Torcello riporta il nome Tomas: a me piace tantissimo perché due lettere, la ‘o’ e la ‘m’, sono greche. Chi lo ha scritto ha fatto un mix alfabetico secondo una moda nel Rinascimento quando gli umanisti si rifacevano alla cultura greca. Le scritture alla greca sono state la mia tesi di dottorato, purtroppo ho trovato questa solo dopo ma la metterò in una pubblicazione in inglese”.

I writer sono gli eredi di oggi?

Un’ultima domanda: i writer dei nostri decenni (da non confondere con gli e le street artist che eseguono murales) sono eredi di queste scritture? “Il festival apre un dibattito anche su questo mettendo a confronto i writer con le associazioni per il decoro e la pulizia che cancellano i graffiti – risponde Toso Fei – Come studiosi e creatori del festival non abbiamo una posizione morale, ci poniamo sul banco dell’osservatore. Certo c’è una differenza. Il writing di oggi è un preciso fenomeno di costume mentre un tempo non si rivelava nelle proporzioni attuali né c’erano gruppi, era una questione privata. Una continuità se non altro è nello sfruttamento delle superfici”.

Venezia, Desi Marangon e Alberto Toso Fei. Fonte “Urb Scripta”

 

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
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