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Gambe allenate, vento in faccia e l'idea rivoluzionaria: due donne sfidano i pregiudizi in bici

Silva Gottardi e Linda Ronzoni hanno percorso 3700 chilometri per omaggiare la prima, grande ciclista, Alfonsina Strada che partecipò al Giro d'Italia nel 1924. Ne è nato un libro

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
Cicliste per caso contro i pregiudizi sulle tracce di Alfonsina Strada
Cicliste per caso contro i pregiudizi sulle tracce di Alfonsina Strada

Ci vuole testa dura, durissima. Che se cadi ti rialzi, dici: non è niente. E riparti: vento in faccia e chilometri da macinare. Come una conquista, metro dopo metro. Ci vogliono polmoni e fiato, gambe allenate. Ci vogliono muscoli. Ma soprattutto ci vuole un'idea, una di quelle idee che quando arriva ti cambia la vita. Un'idea semplice, un'intuizione legata a un oggetto che diventa metafora. Che diventa simbolo di libertà. Una bicicletta, ad esempio. La stessa che usavano le staffette partigiane per restituire dignità a un Paese massacrato dal fascismo e dalla guerra. La medesima, pesantissima bici di Alfonsina Strada, la prima donna a partecipare al Giro d'Italia nel 1924 nonostante i divieti, i pregiudizi, i pareri negativi. "Ma siamo matti una donna al Giro?" dicevano i soloni. Eppure lei, la ragazza del popolo, riuscì ad arrivare in solitudine nelle prime trenta posizioni. Un miracolo. Proprio lei, la figlia di due poveri braccianti di Castelfranco Emilia che in sella alle due ruote ribaltò ogni dogma, cambiò i percorsi dell'emancipazione femminile e lo stigma del ceto. Alfonsina che avrebbe dovuto cucire le lenzuola per i ricchi ma che, nonostante tutto e tutti, scelse di correre, che raggiunse la Francia e la Russia, che conquistò trentasei gare battendo blasonati corridori, che stabilì il Record dell’Ora.


E c'è chi ha deciso di tenere in vita le tracce di Alfonsa Rosa Maria Morini, nata il 16 marzo del 1891, maritata Strada: un cognome che sembra un presagio. Silvia Gottardi e Linda Ronzoni si sono mosse a caccia dei segni invisibili che lasciano nella Storia le ruote di una bicicletta. Partire per raccontare. Raccontare per testimoniare. Testimoniare per condividere. Silvia è ex cestista Azzurra, giornalista e fotografa/videomaker, Linda è graphic designer e art director. Insieme hanno creato "Cicliste per caso", un progetto al femminile, un omaggio pulsante ai percorsi del riscatto e a un mondo sostenibile fatto di pedali e manubri. E si sono messe in gioco, di nuovo dopo aver attraversato gli Stati Uniti, dal Canada al Messico, lungo la Great Divide con il Grizzly Tour diventato anche un documentario. Sono partite ancora, questa volta da una via di Milano, dedicata ad Alfonsina, e hanno raggiunto in sella Catania.


"Cicliste per caso - L’Italia in bici sulle tracce di Alfonsina Strada" (Ediciclo Edizioni) è ora un libro. Scrivono: "I 3.700 km pedalati in Italia sono per lei e per tutte quelle che abbiamo incontrato. Alcune erano donne semplici che hanno vissuto la propria vita in silenzio, quasi nell’ombra, altre, come la partigiana Angela, o Annalisa Durante, vittima della camorra, donne che sono entrate di petto nella storia. Tutte però, sono l’esempio e l’incarnazione di quell’idea di Alfonsina di andare dritti a inseguire le proprie passioni, senza tradire i desideri profondi che ci animano".
Essere. Esserci. "Come Alfonsina quella prima volta che si è sentita padrona del mondo. Essere ogni bambina al mondo nel momento esatto in cui trova il coraggio di alzarsi dalla sella e scattare sui pedali veloce come il vento, più veloce dello scirocco, più veloce del maestrale».

E' un libro bello, semplice e intenso. Un libro di incontri, storie, di vita. Di tappe. Metro dopo metro. Tra le pagine, a tratti, sembra di risentire lo stesso affannato, faticoso, orgoglioso fiato di Alfonsina all'arrivo a Fiume, una delle tappe del Giro. Quando "il diavolo in gonnella" disse: "Non sono pentita. Ho avuto delle amarezze, qualcuno mi ha schernita; ma io sono soddisfatta e so di avere fatto bene”.
Cresciuta in miseria, seconda di dieci figli, Fonsina (così la chiamavano a casa) avrà la sua prima bici, un rottame, dal padre. La seconda- nuova e fiammante - arrivò come dono di nozze dal marito Luigi Strada, cesellatore, che le voleva un bene dell'anima. Luigi finito pazzo in un manicomio, Luigi curato dalla corridora con la stessa protervia con cui si scalano le montagne. Ogni centesimo guadagnato messo da parte per quel marito gentile e fragile, le 500 lire vinte sulla linea del traguardo all'Aquila usate per farlo visitare dai medici migliori. Non servirà, purtroppo. Strada morirà e con lui un pezzetto del cuore della donna che ha sfidato il mondo, gli stereotipi, gli steccati di genere.

In via Varesina, a Milano, Alfonsina metterà su un'officina per riparare le bici, sposerà l'ex ciclista Carlo Messori. Di nuovo vedova nel 1957 continuerà a pedalare, pedalare fino a morire il 13 settembre del 1959: un infarto mentre tentava di riavviare la sua Moto Guzzi.
Eppure Alfonsa è ancora qui, a suo modo. Cantata dai Têtes de Bois di Andrea Satta con Margherita Hack. Raccontata da Gianni Celati, da Paolo Facchinetti, da Stefano Massini, da Tommaso Percivale, ora dalle "Cicliste per caso" che l'hanno cercata e ritrovata lungo 3.700 lunghissimi chilometri. La "corridora" torna tra noi ogni volta che un pedale resiste alla fatica delle salite e della vita: eterna ragazza che corre per dirci che possiamo farlo anche noi. Mentre il vento ci scompiglia i capelli, perché soffia ancora. Soffia sempre.

Video

Musica per ricordare Alfonsina

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