“L’autonomia differenziata ci renderà uno Stato Arlecchino. E riaccende lo scontro nord-sud com’è successo a Geolier”
Intervista allo studioso di storia economica Filippo Sbrana sulla riforma molto discussa. E inizia dalle proteste contro il rapper napoletano a Sanremo: “Dalla sanità alla scuola sono in gioco la tenuta e l’unità del Paese”
L’Italia diventerà uno “Stato Arlecchino”? Le contestazioni contro il napoletano Geolier a Sanremo 2024 sono state solo un brutto episodio o ci dicono qualcosa sul nostro Paese? La Camera ha approvato il disegno di legge sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario progettato dal ministro per gli affari regionali, il leghista Roberto Calderoli. In estrema sintesi, quelle Regioni potranno legiferare su 23 materie finora di competenza esclusiva dello Stato tra cui istruzione, salute, ricerca scientifica, ambiente, cultura, energia, infrastrutture. Le contestazioni sono numerose: alcune Regioni hanno fatto ricorso alla Corte Costituzionale mentre una raccolta firme ha superato in tre settimane di agosto le 500mila firme digitali con l’obiettivo di chiedere un referendum per altra via.
Sull’argomento interviene Filippo Sbrana: nato a Milano nel 1973, vive a Roma, è professore di Storia economica all’Università per stranieri di Perugia. Lo studioso quest’anno ha pubblicato un saggio chiaro e ottimamente documentato, “Nord contro Sud. La grande frattura dell’Italia repubblicana” (Carocci editore, 248 pagine, 27 euro): in pochi mesi il libro ha ricevuto recensioni lusinghiere, è già arrivato alla prima ristampa e fornisce più spunti sulla riforma di Calderoli, come ha verificato il professore di persona nei tanti dibattiti pubblici a cui è stato invitato.
Partiamo da un episodio in apparenza distante. Al festival di Sanremo 2024 la vittoria del rapper napoletano Geolier nella serata dei duetti ha scatenato reazioni virulente: una parte degli spettatori dell’Ariston se n’è andata polemicamente, sui social si è scatenato il finimondo contro il cantante e contro il sud. Quanto accaduto ci segnala qualcosa sull’Italia di oggi?
Credo di sì. Mi ha colpito che con la vittoria di Geolier nei duetti siano emerse due tifoserie duramente contrapposte con accuse reciproche: si è parlato di razzismo e antimeridionalismo da una parte, di assistenzialismo, di parassitismo e di camorra dall’altro, è intervenuto Saviano. Il dibattito sulla legge è molto tecnico, ma quell’episodio ha mostrato che la discussione sull’autonomia differenziata ha riacceso contrapposizioni molto dure tra nord e sud che sembravano un ricordo del passato.
Lei ha da poco pubblicato un saggio, “Nord contro sud. La grande frattura dell’Italia repubblicana”. Nel titolo spiccano i termini “contro” e “frattura”. Quella rottura, scrive, è deflagrata negli anni ’90 mentre per decenni la questione era stata decisiva e unitaria. In sintesi, come entra nel discorso dell’attuale riforma?
Nella storia italiana dal secondo Dopoguerra il Mezzogiorno è stato considerato un’area arretrata che aveva bisogno di un sostegno pubblico nell’economia per crescere e recuperare il divario. Esisteva un accordo tra tutte le forze politiche, sociali, sindacali. Nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica a inizio anni ’90 questa prospettiva viene accantonata perché si parla di questione settentrionale e di mettere le esigenze delle regioni del nord al centro dell’attenzione. Ciò è frutto di grandi cambiamenti, della crisi economica negli anni ’70, di errori nell’intervento pubblico al sud negli anni ‘80, della fine dei grandi partiti di massa che avevano al centro l’unità del Paese. Invece dagli anni ’90 il ritardo del Sud sembra non essere più una sfida per tutta l’Italia. E nel 2001 il centrosinistra al governo fa la riforma del titolo V della Costituzione da cui discende questa legge Calderoli.
Quella riforma è stato un errore?
Sì, perché attribuisce competenze alle Regioni che non sembrano essere affatto utili né al Paese né alle Regioni stesse. Sull’attuale riforma la Banca d’Italia più di un anno fa ha proposto alla Commissione parlamentare che lavorava al testo di fare un’analisi tecnica per vedere se, nelle 23 materie che potranno essere attribuite alla Regioni, questa diversità sarebbe stata efficiente per le Regioni stesse. Tale analisi non è stata fatta e non è difficile immaginare che trasferire competenze come la sanità, la scuola, l’energia, il commercio estero, non porterà affatto efficienza.
Sanità: nel settore c’è già molta disparità. Dal sud tante persone ricorrono ai viaggi della salute al centro e al nord per ricevere cure a loro giudizio più adeguate. Secondo Calderoli quel divario non ci sarà.
La regionalizzazione della sanità pubblica è iniziata dopo il 2001, a seguito della riforma del titolo V. In circa 20 anni già undici Regioni hanno dovuto fare piani di rientro per una gestione non efficiente e in alcuni casi sono state addirittura commissariate. Abbiamo quindi già problemi di questo tipo. Quando è esplosa la pandemia del Covid gli italiani si sono resi conto che il sistema così regionalizzato e senza coordinamento era molto problematico. Ci si sarebbe aspettati una riforma della sanità che tendesse a tirare delle file tra le diverse Regioni per un miglior coordinamento, invece si dà loro sempre più autonomia con il rischio molto concreto di favorire le più ricche.
Perché?
Perché si dà alle Regioni la possibilità di stabilire un salario integrativo. Il salario ordinario in Italia sarà uguale per tutti i medici e infermieri ma quello integrativo sarà deciso dalle singole amministrazioni regionali. Quelle più ricche potranno dare salari più alti e chiamare i medici più bravi e tanti infermieri offrendo condizioni economiche migliori. Le altre Regioni, soprattutto al sud e già in affanno, rimarranno senza. Probabilmente crescerà ancora il turismo sanitario.
Scuola e istruzione: cosa accadrà? Secondo Calderoli non ci saranno disparità.
Le Regioni potranno intervenire sui programmi di studio. Tempo fa in Veneto è stato proposto di istituire una Festa dell’identità veneta per il 25 aprile e non festeggiare più la Liberazione dal nazifascismo. Questo ci mostra quanto potrebbe cambiare la formazione che oggi accomuna i nostri giovani e contribuisce all’unità culturale del Paese. Già oggi nelle scuole ci sono squilibri tra Regioni che funzionano meglio o peggio: se regionalizziamo la prospettiva di sanare quegli squilibri passerà in secondo piano.
Quale vantaggio avrebbe con questa riforma l’Italia settentrionale?
Non è facile capirlo. Un obiettivo è trattenere sul loro territorio una quota maggiore delle tasse pagate dagli abitanti della regione. Ma lo spezzettamento dei poteri penalizzerà anche il nord.
Per quale motivo?
Se il ministro delle infrastrutture dovesse andare a parlare con gli altri ministri europei e rappresentasse, per ipotesi, sette regioni invece di tutta l’Italia, sarebbe un ministro totalmente depotenziato. Andremmo quindi a indebolire lo Stato e favoriremmo un’inefficienza dell’amministrazione statale che danneggerebbe anche il Settentrione, non solo il Mezzogiorno. Sarebbe uno “Stato Arlecchino”. La Commissione europea ha scritto nel suo “Country Report 2024” che la devoluzione di questi poteri aumenterebbe la complessità istituzionale, comportando il rischio di costi più elevati sia per il settore pubblico che quello privato perché le imprese italiane dovrebbero confrontarsi con 20 burocrazie diverse.
In pochissime settimane le firme digitali per un referendum contro l’autonomia differenziata hanno superato il mezzo milione. È un segnale o è un semplice clic che non si nega a nessuno?
Ci sono due vicende da considerare. Da una parte alcune Regioni, come la Sardegna e la Toscana, hanno impugnato la norma di fronte alla Corte costituzionale chiedendo di dichiararla incostituzionale. Dall’altra parte che si siano superate le 500mila firme in pieno agosto mi sembra un messaggio molto forte, è un no alla legge. Voglio sottolineare che tante firme sono venute anche dal centro nord. Abbiamo sei milioni di persone in povertà assoluta, abbiamo territori con uno sviluppo molto inferiore agli altri, credo che ai tanti che hanno già firmato e agli altri che firmeranno a settembre questa legge sembri espressione dell’egoismo delle regioni più ricche. Dire no vuol dire affermare un’idea della nazione in cui tutti hanno gli stessi diritti al di là dell’area in cui si vive, è chiedere ai nostri amministratori di lavorare di più per l’uguaglianza, di sostenere di più le regioni più povere, di sanare la frattura tra sud e nord determinata dagli anni ‘90. Ricordo infine che sulla riforma sono intervenuti i vescovi con un documento critico, quindi non è un problema politico di centro-sinistra o di centro-destra, è qualcosa di più importante, parliamo della tenuta del Paese e della sua unità.
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