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Bikini, l'invenzione scandalosa che ha cambiato per sempre l'estate al mare

Compie 75 anni il costume che ha rivoluzionato il Novecento. Dopo censure e divieti furono le donne a decretarne il successo. Ora un museo e un libro rendono omaggio al due pezzi

Daniela Amentadi Daniela Amenta   

Ufficialmente compie a luglio 75 anni. Ma nella realtà il bikini, il capo di abbigliamento che ha cambiato la moda e in parte la cultura del Novecento, ha una storia molto più antica. A Enna, nella Villa romana di Piazza Armerina, è conservato un mosaico del IV secolo dopo Cristo, che raffigura un gruppo di ragazze intente a fare sport con slip (il cosiddetto "subligar") e una sorta di fascia a coprire il seno ("subligaris"). Niente mare, niente spiagge. Si trattava di un capo specifico per l'attività ginnica. Dopo di allora, per secoli, il due pezzi è rimasto un capo confinato al massimo tra i segreti delle alcove. Fino al 1946, il primo anno dopo la guerra in una Europa martoriata. L'idea venne a un ingegnere francese - Louis Réard - cresciuto in una famiglia che possedeva un negozio di biancheria intima. Fu lui a disegnare un costume con solo 30 pollici di tessuto. Obiettivo? Permettere alle donne di prendere il sole anche sulla pancia, addirittura sotto l'ombelico.

"La gente desiderava i piaceri semplici del mare e del sole. Non c'era davvero nulla di sessuale in questo, era invece una celebrazione della libertà e un ritorno alle gioie della vita", spiegò Réard che incontrò divieti, censure, anatemi ma riuscìa mettere a segno una geniale operazione di marketing. A cominciare dal nome scelto per il due pezzi: Bikini. Proprio come l'atollo dell'Oceano Pacifico dove gli Stati Uniti avevano iniziato a testare le armi nucleari. Anche lo slogan fu vincente: “In a bikini, she looks like a bomb”, letteralmente “In bikini, lei sarà una bomba”. Ma all'inizio il costume "più piccolo del mondo" trovò le porte sbarrate. Lo racconta con mille aneddoti Ghislaine Rayer autrice del libro Bikini, The Legend. "Réard dovette superare le resistenze sociali di quel periodo. Provò a presentare il suo costume per la prima volta in un evento di moda presso la Piscine Molitor di Parigi, ma nessuna modella fu disposta a provarlo. Per questo si rivolse alla ballerina e spogliarellista Micheline Bernardini".

Il bikini indossato con sprezzo del pericolo da Micheline il 5 luglio del 1946 aveva stampati su slip e reggiseno dei titoli di giornale. E la ragazza teneva in mano una scatola di fiammiferi per mostrare in proporzione quanto fosse piccino il costume. La notizia divenne un tormentone sui quotidiani e la foto della bella Bernardini fece il giro del mondo: solo l'International Herald Tribune dedicò al caso nove articoli e Micheline divenne una starlette. In pochi mesi ricevette circa 50mila lettere di fans pronti anche a sposarla. Ma quello che forse nessuno poteva immaginare è che furono le donne a decretare il successo di quei 30 pollici di tessuto. Ghislaine Rayer, che è anche co-fondatrice del Bikini Art Museum di Bad Rappenau in Germania, spiega nel suo libro anche i meccanismi di censura: in Italia e in Spagna fu addirittura vietato per ragioni di "pubblica morale". In America venne sconsigliato alle "donne eleganti e di classe".

Ci pensò Brigitte Bardot, nel '52, a sdoganare "la bomba". Lo fece nel film film Manina, la fille sans voiles di Willy Rosier dove indossava un bikini strizzatissimo, davvero atomico.  Poi vennero, quasi dieci anni dopo, un'adolescente Stefania Sandrelli in Divorzio all'italiana di Pietro Germi e Sue Lyon protagonista della maliziosa Lolita di Stanley Kubrick. Il bikini esplose come fenomeno di massa proprio negli anni Sessanta e la statuaria Ursula Andress diede il colpo di grazia ai bacchettoni. In Agente 007 - Licenza di uccidere fu la stessa Bond Girl a disegnare il costume di scena adattandolo, pare, alle proprie forme: 90-60-90. Un due pezzi talmente iconico da finire all'asta nel 2001, acquistato per la bellezza di 35mila euro.

Settantacinque anni dopo forse il bikini ha perso la propria forza rivoluzionaria ma mantiene intatto un fascino che ha il sapore di emancipazione, di libertà. Ce ne sono per tutti i gusti, ora, di due pezzi. Perfino in velluto con inserti di oro arricchiti da dettagli in diamanti, zaffiri, rubini e smeraldi. Come quelli disegnati dalla stilista Laura Spreti che a Montecarlo ha venduto uno dei suoi costumi gioiello a un facoltoso cliente mediorientale per la "modica" cifra di 125mila euro. Tanto vale, visto il prezzo, fare il bagno nude.

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
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