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Liti per l'eredità, cause legali e un film sbagliato: i tormenti di Aretha Franklin a quattro anni dalla morte

La Regina del Soul ci lasciava il 16 agosto del 2018. Da allora sono uscite tre pellicole. L'ultima - Amazing Grace - racconta un concerto epico del 1972 che rischiamo di non vedere più

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
Liti per l'eredità, cause legali e un film sbagliato: i tormenti di Aretha Franklin a quattro anni...

Non ha avuto pace in vita e neppure adesso, quattro anni dopo la fine. Era il 16 agosto del 2018 quando Aretha Franklin ha chiuso gli occhi per sempre dopo l'ultima battaglia, impari, con un cancro al pancreas. Lei, la "ragazza robusta", che aveva trascorso un'esistenza tentando di dimagrire era diventanto così esile, sottile, fragilissima: ogni abito del suo debordante guardaroba sembrava oramai uno straccetto poggiato a caso su una figura ultraterrena.
Quattro anni, dicevamo, segnati dalla nostalgia infinita per un'artista gigantesca, la Regina del Soul. Una voce commovente e potentissima, un'estensione di quasi quattro ottave, praticamente una sorta di orchestra, e tutta l'anima del mondo racchiusa in un cuore in perenne tumulto. In questo tempo Aretha, detta Ree, è rimasta spesso sotto la luce indecente dei riflettori, invischiata nelle insaziabili chiacchere del gossip.

Subito dopo la morte a tenere banco è stata la sua eredità, circa 80 milioni di dollari, e due diversi testamenti datati 2010 e 2014 (quest'ultimo rinvenuto dietro i cuscini di un divano). A contendersi il patrimonio della Regina quattro figli Clarence, Edward, Theodore White II e Kecalf - due dei quali avuti quando era ancora una bambina - e la nipote Sabrina Owen. Non solo: di mezzo c'è anche il Fisco americano che chiede conto di tasse inevase, contratti non chiari, una gestione dei beni della star piuttosto fumosa. Una disputa a suon di avvocati, perizie calligrafiche, giudici e tribunali in cui, a un certo punto, è apparso anche Barack Obama, grandissimo fan dell'artista. Fu lui a pregare la Queen of Soul di esibirsi nel 2009, il giorno del giuramento come Presidente degli Stati Uniti. Lei partecipò con trasporto, cantò 'My Country 'Tis of Thee' indossando un vistoso cappello grigio con un enorme fiocco decorato con cristalli Swarovski. Non sappiamo se Ree promise in dono il bizzarro copricapo a Barack, fatto sta che lui ne ha fatto richiesta alla famiglia, e subito dietro si è accodato anche l'istituto museale Smithsonian visto il valore storico dell'indumento. 


Ma c'è un'altra eredità, quella artistica, che è fonte di dissapori, questioni, minacce e faldoni con tanto di carte bollate. Da quel 16 agosto del 2018 sono uscite tre pellicole che omaggiano la Regina. La prima, Genius: Aretha, è andata in onda sul canale di National Geographic (e poi su Disney Channel) con protagonista una formidabile Cynthia Erivo. Eppure l'opera non è piaciuta agli eredi: troppo scabrosa, troppo dura. A seguire è arrivato il film Respect diretto dalla regista afro-americana Liesl Tommy con Jennifer Hudson, scelta proprio da Ree. Un cortometraggio molto edulcorato che dice poco o niente dei drammi e dei tormenti dell'artista. E infine a sorpresa, dopo anni di amnesie, è arrivato al cinema, nel 2021, il documentario Amazing Grace girato da Sydney Pollack.

Siamo nel 1972, più esattamente il 13 e 14 gennaio. Ree, ha 29 anni, ed è una celebrità assoluta: 20 album alle spalle e 5 Grammy, ha già inciso canzoni immortali: Respect, (You Make Me Feel Like) A Natural Woman, Chain of Fools. Ma sente il bisogno di tornare alle radici, al gospel, quello cantato da bambina con il padre, il pastore battista C.L. Franklin. Vuole riavvolgere il filo della memoria, ritrovare lo spirito più profondo - la voce di Dio - ma anche la rabbia per i diritti civili calpestati da un'America razzista. Invece di una lussuosa sala di registrazione sceglie di esibirsi dal vivo, senza fronzoli, nella New Temple Missionary Baptist Church di Los Angeles accompagnata dal coro diretto da Alexander Hamilton. Con lei una formazione scarna, un semplice trio: Chuck Rainey al basso, Cornell Dupree alla chitarra e Bernard Purdie alla batteria. A fare da padrone di casa il Reverendo James Cleveland.

Non è un semplice concerto: è Ree che canta il Cielo e le disgrazie della terra, è estasi ed è dolore con attimi di pura, sconvolgente trasfigurazione mistica. Il pubblico è sbalordito, stordito, sgomento (in sala anche Mick Jagger e Charlie Watts dei Rolling Stones), i coristi in lacrime serrano le mani per pregare, Aretha è immensa. Canta e suona in un bagno di sudore, brilla come una stella dell'iperuranio, armonizza tutte le note dell'universo. Il risultato è un disco imprescindibile nella storia della black music - Amazing Grace, appunto - e un filmato (con lo stesso titolo dell'album) nato invece sotto una cattiva stella. La casa discografica Warner chiede a un ottimo regista come Sydney Pollack di riprendere l'evento. Ma qualcosa non funziona, non c'è sincrono tra le immagini e il suono. Fatto sta che la pellicola resta in un caveau finché nel 2007 viene recuperata dal produttore Allan Elliott che la acquisisce direttamente da Pollack che morirà l'anno successivo. Grazie alla moderna tecnologia, ai computer, a un grande lavoro di post produzione Elliott riesce a restituire forma e dignità a un progetto fallito. Seguono poi le richieste di autorizzazione alla Regina del soul: un'operazione diplomatica complicatissima. Un semi accordo viene raggiunto nel 2015, ma poche ore prima della proiezione di Amazing Grace al Telluride Film Festival, sarà proprio Aretha a bloccarne l'uscita. Il motivo ufficiale è "per la tutela dell'immagine", ma c'è chi parla di una mancata intesa economica.


Finalmente arriviamo al 2021 quando l'opera - grazie al consenso degli eredi di Ree - esce per davvero. Ma è a questo punto della storia che Elliott fa causa a sua volta al distributore del doc, la Neon, una piccola potenza nell'ambito del cinema indipendente che è dietro il successo di due film Oscar come Parasite e I,Tonya. Motivo? Secondo Elliott la Neon ha smistato poco e male il documentario di 88 minuti. Per questo ha chiesto come risarcimento 5 milioni di dollari. Nella realtà dei fatti, in base ai dati ufficiali di IMDb, il film è uscito in 243 sale in Nord America, ha incassato 4,45 milioni di dollari tra Stati Uniti e Canada e 7,79 milioni di dollari in tutto il mondo. Ha vinto inoltre il NAACP Image Award per il miglior documentario e ha ottenuto diverse nomination: dal London Critics Circle, dal San Sebastian International Film Festival e dall'International Documentary Association.

La diatriba è ancora in corso e non sappiamo come andrà a finire. Di certo e per fortuna ci resta la voce di Aretha Franklin che è ancora un urlo di protesta contro ogni discriminazione e che risuona nelle piazze d'America come un inno di rivolta, d'orgoglio, di infinita bellezza. Respect.

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
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