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Amy Winehouse, storia di una "cattiva ragazza" che è impossibile smettere di amare

Dieci anni fa la morte dell'artista inglese, ora celebrata dalla biografia del suo miglior amico. Una stella unica in un mondo di apparenze

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
Amy Winehouse, storia di una 'cattiva ragazza' che è impossibile smettere di amare

Deve essere stato facile chiuderla nella sacca rossa, l'ultima concessione glam. Un metro e 59 centimetri per 45 chilogrammi appena. Facile tirarla su, infilarla nel carro, sotto il cielo color latte di Londra quel 23 luglio del 2011. Quarantacinque chilogrammi appena sconquassati da droghe, draghi e tatuaggi da pirata. Dieci anni fa Amy Winehouse usciva di scena dal suo appartamento, numero 30 di Camden, e suo malgrado entrava nella storia. Lei che proprio non aveva voglia di finire nell'almanacco del rock'n'roll, immortalata nel memorabilia dei fan affranti, sfruttata dai parenti/familiari squalo, dai manager pronti a riciclare anche l'ultimo nastro. In questo anniversario tondo e mesto non ci resta che quest'ultima immagine, la più vivida: un sacco rosso della polizia mortuaria che ce la porta via.


Winehouse ha inciso solo due album ufficiali in studio - Frank e Back To Black - pochi, pochissimi ma sufficienti per cambiare il baricentro della musica nel primo decennio dei Duemila. Dopo sono arrivati un disco postumo, un film documentario (Amy) e troppe biografie. L'ultima, la più profonda, si intitola La mia Amy è ad opera del miglior amico dell'artista, Tyler James che iniziò a frequentarla quando entrambi erano ragazzini. Scrive James: «Da quando l'ho persa, sapevo che avrei dovuto raccontare la sua storia. Perché la sua vera storia non è mai stata raccontata e io sono l'unico che poteva farlo al posto suo». Il libro, tradotto e pubblicato da Hoepli in Italia, ha il pregio di essere un vero atto d'amore nei confronti della Winehouse "privata" e della sua breve, tormentata esistenza.

Che Amy sarebbe morta giovane lo sapevano tutti. Tutti quelli che l'avevano ascoltata con un po' di cuore, oltre che con le orecchie. Il testamento era lì, a portata di mano, nota dopo nota. Ma ognuno ha i suoi demoni, il proprio destino. Lei li aveva incisi tra l'eye liner e le corde vocali. Una voce magniloquente nonostante lo sterno minuscolo. Fragile come una meringa. Eppure quando cantava Winehouse pareva una potente, solidissima ragazza nera. La reginetta sboccata che intonava melodie antiche, complesse. Perché Amy amava il jazz, il soul, il r'n'b, il blues. E soprattutto conosceva quei suoni che sono graffi dell'anima e dolori: Carole King, Donny Hathaway, Sarah Vaughan. Di lei il Guardian scrisse: "La musica di Amy Winehouse è da qualche parte tra Nina Simone e Erykah Badu". E' vero.
Pile di dischi importanti, cruciali, divorati dalla piccola ragazza con il seno da pin-up che usciva in vestaglia a buttare l'immondizia, rilasciava interviste al citofono, s'invaghiva di brutti ceffi. Perennemente in bilico tra scarpe troppo alte e roba troppo forte. Per questo, per questo suo ondeggiare infinito tra il culto e la mestizia dell'esistere, tra lo sguaiato e la nobiltà di uno sguardo disperato, per questo, per tutte le note stonate che non avrebbe dovuto prendere, l'amavamo. Noi amavamo la ragazza che si sentiva la meno amata.

Lo scarto tra l'aspetto e la voce l'aveva resa star, dilatandone la solitudine, la fatica di stare al mondo. Talento ne aveva. Tanto quanto ne buttava via. Lo sapevamo noi, lo sapeva benissimo lei, che gli dava il valore di un dono temporale, fugace. “Ho fatto un disco, ma in fondo è solo un disco”. “Canto, certo canto. Ma potrei fare anche la brava moglie”.
Una cattiva ragazza che diceva parolacce, si faceva, collezionava storie sbagliate.

E ora, a proposito di errori, il gioco dei rimandi e delle citazioni pare fuori luogo. Come un sacco mortuario rosso. Rosso come uno smalto sfacciato, un rossetto vistoso. Inutile paragonarla a Janis Joplin che sapeva stare dritta sul palco anche dopo una dose di eroina. O a Billie Holiday. O alle altre con la voce di catrame fuso e il cuore spezzato. La parabola di Amy nasce e finisce con lei, nell'arco di 27 anni. Lei, unica diva improbabile. Unica. Dunque questa storia si conclude con una sacca rossa, con la faccia triste di Reg Traviss tra i fiori di girasole, tra le banalità di mamma, papà e Circo Barnum discografico, resi celebri da una ragazza bellissima e spigolosa.

Ognuno ha un blues da piangere. Talvolta è alcolico, sbilenco e pazzo. Talvolta il blues è una donna. Con occhi tristi. Di foglia.

 

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
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