Gli elmi cornuti trovati in Danimarca non sono vichinghi, appartengono agli antichi shardana
Tutta colpa di Wagner. Nel 2019 un’archeologa scopre dei residui organici su uno dei corni. L’analisi successiva colloca gli elmi in un periodo intorno al 900 a.C. circa. Nel periodo del bronzo. Nel periodo degli shardana
Nell’immagine popolare e in certa filmografia i vichinghi vengono raffigurati come intrepidi guerrieri dall’elmo cornuto. In realtà i norreni non erano soliti portare questi tipi di copricapo. Pare che tale iconografia sia nata dopo il 1876 con la rappresentazione fornita, per esigenze teatrali, dall’opera di Richard Wagner L’anello del Nibelungo. In quell’occasione, infatti, il costumista Carl Emil Doepler li immaginò con l’elmo dotato di corna, forse per renderli più terrificanti agli occhi degli spettatori.
Da quel momento i vichinghi - nella vita normale o nelle battaglie, a terra o a bordo dei loro drakar - vennero rappresentati in film, fumetti e altre forme d’arte, addobbati in tale maniera.
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Lo stereotipo del vichingo e gli elmi di Vikso
Così l’elmo cornuto diviene caratteristica fondamentale e stereotipata del vichingo che, da allora, viene immaginato così agghindato. Per di più, nel 1942, vengono ritrovati in Danimarca i cosiddetti elmi di Viksø. In pratica due copricapo in bronzo, decorati con due sporgenze che paiono rappresentare gli occhi e le sopracciglia, delle borchie, una cresta centrale dove probabilmente veniva inserito un ornamento fatto di crini di cavallo o piume d'uccello e, da ultimo, un bel paio di corna ricurve, a ricordare quelle del toro.
Sembrava proprio la conferma del fatto che l’elmo cornuto facesse parte dell’armamentario norreno. Un elemento adatto a esaltare potenza, bellicosità e coraggio. Caratteristiche leggendarie della fama di quel glorioso popolo.
Non sono vichinghi
Ed invece quegli elmi - attuale patrimonio del Museo Nazionale di Danimarca - non avevano proprio nulla a che vedere con i guerrieri del Nord dominatori dei mari nei secoli intorno al mille.
A dire il vero, fin dall’inizio, molti esperti si dissero dubbiosi sul fatto che quei copricapo appartenessero ai vichinghi. Ma le poche possibilità di datazione scientifica (radiocarbonio) sui metalli, all’inizio, non consentirono di pronunciare la parola definitiva. In seguito però nuove possibilità offerte all’analisi scientifica modificarono le cose.
L'analisi dei residui organici
Quando nel 2019 l’archeologa Heide Wrobel Nørgaard individua dei residui organici (una sorta di colla vegetale) su uno dei corni, l’analisi restituisce una datazione degli elmi corrispondente al 900 a.C. circa. In sostanza si scopre che quei reperti, portati alla luce per caso da un operaio nella palude di Viksø, appartengono ad un’epoca anteriore di circa 1500 anni all’epoca dei vichinghi (VIII-XI secolo d.C.).
Addio conferma della credenza popolare che vorrebbe i terribili navigatori norreni dotati di elmo cornuto, insomma.
Anzi, si fa strada la consapevolezza che quegli elmi potrebbero arrivare da lontano. Da terre molto più a Sud della Penisola Scandinava. La loro decorazione, col probabile piumaggio e le corna taurine, richiamano infatti fortemente culture di luoghi come la penisola Iberica ma soprattutto l’antica Sardegna, la patria degli shardana che, nei bronzetti e nelle statue in pietra di Mont’e Prama vengono raffigurati con elmi di quel tipo.
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Molti archeologi come Helle Vandkilde dichiarano – a questo proposito - che quei copricapo di bronzo “dimostrano come già all’epoca esistessero scambi commerciali attraverso una rotta che dal Mediterraneo giungeva alla costa atlantica”.
Elmi del Mediterraneo, molto probabilmente shardana
Gli elmi ritrovati nella torbiera di Viksø, risultati adagiati un tempo su un supporto di frassino, sono stati ritenuti dai ricercatori scandinavi frutto, probabilmente, di un’offerta fatta agli dei nel corso di una cerimonia rapportabile ad un culto solare. Un culto associato magari anche a divinità più specifiche con attributi animali (toro?). Il tutto “inserito in una società caratterizzata da una cultura fondata sull’etica guerriera”.
Un quadro che calza perfettamente, insomma, con quello offerto dai Popoli del mare dell’età del bronzo e – soprattutto – dal popolo raffigurato nella bronzistica sarda, quello shardana.
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