Ottant'anni di Veganesimo, tra scoperte e polemiche: dove nasce e quando
La storia di una cultura alimentare e degli attuali attacchi sui social. La nascita della Vegan Society nel Regno Unito

Il Veganesimo è una scelta alimentare che in realtà conta ben più di 80 candeline sulla sua torta senza burro e senza uova, tante popolazioni fin dall’antichità, infatti, hanno scelto di non cibarsi degli animali e dei loro derivati per ragioni religiose, morali ed etiche. In Occidente però nasce ufficialmente nel 1946 nel Regno Unito, come costola della Vegetarian Society, un nutrito gruppo di persone che aveva promosso in tutta l'Inghilterra la loro cultura.
Dalla Vegetarian Society a un ideale nuovo
È Donald Watson che crea una newsletter dal nome Vegan News e che indirizza una lettera alla Vegetarian Society per comunicare che lui, e altre settanta persone, hanno rinunciato a latticini e uova e che quindi bisogna coniare un termine apposito che li distingua. Nasce così la Vegan Society, accompagnata da ‘Vegan recipes’, un utile libro di ricette che spiegava in modo pratico come poter seguire una dieta gustosa e bilanciata senza proteine animali, firmato da Fay K. Henderson e dalla moglie Allen. In seguito l’equilibrio dell’associazione incontrò qualche difficoltà con l’affiliazione di Leslie Cross, considerato molto estremista, che premeva affinché i membri della Vegan Society si schierassero in modo netto anche contro la caccia, la pesca e in generale ogni attività che prevedeva lo sfruttamento degli animali. Ancora oggi il movimento ha al suo interno posizioni più o meno moderate su questi argomenti mentre alcune frange hanno portato le battaglie sul piano sociale e politico dando vita a gruppi antispecisti.
Pregiudizi e odio in rete
“Non sono le “etichette” a rendere una alimentazione sana o meno, ma ciò che nella pratica si mangia e in quali quantità. Vero è che, in linea generale, una dieta vegetariana è globalmente il regime alimentare più sano” diceva il luminare Umberto Veronesi in un’intervista a L’Espresso. Eppure di etichette nel tempo ne sono state applicate tante e, con esse un certo fastidio sociale che è sfociato in campagne denigratorie e di odio in rete.
“Il tema del veganismo e del vegetarianesimo è molto interessante e attuale – ha dichiarato a Nemesis magazine Alessandra Guigoni, antropologa culturale specializzata in cibo – In passato alla carne si riconosceva un ruolo primario, perché una dieta forzosamente povera di proteine animali ma soprattutto povera di calorie aveva reso la popolazione europea ‘debole’ non solo dal punto di vista fisico ma anche mentale, con ritardi e deficit intellettivi. Personalmente sono onnivora ma riconosco che eticamente il consumo della carne andrebbe limitato sia per ragioni legate alla sostenibilità ambientale sia per ragioni etiche, legate alle sofferenze inferte agli animali, specie di quelli allevati in modo intensivo”.
Se i primi detrattori puntavano ad accusare questo regime alimentare di danneggiare il corpo privandolo di elementi vitali nel tempo, con il lavoro di medici dalla fama incontrovertibile come Umberto Veronesi, si è sfatato questo falso mito. Eppure gli attacchi non sono cessati, anzi. Sui social media ci si è spinti ben oltre le presunte ragioni alimentari per offendere in modo grave le persone che hanno scelto di non mangiare animali.
‘Soy boy’, ragazzo soia, così sono chiamati soprattutto i maschi che hanno rinunciato a carne e derivati. Ad attaccarli sono spesso gruppi di destra, neofascisti, suprematisti omofobi che insinuano che questa scelta etica li privi della loro mascolinità rendendoli deboli e, in definitiva, meno uomini. Il classico esempio di mascolinità tossica che fa della prestanza fisica e di una ricercata ignoranza intellettuale i suoi vessilli. Come combattere questi attacchi? Con l’empatia che dovrebbe essere destinata a tutto il genere umano e soprattutto con l’informazione e la cultura, perché come ci ricorda il celebre dipinto di Goya, è “Il sonno della ragione che genera i mostri”.