Sealioning, l’ultima e subdola tendenza in fatto di molestie online. Come difendersi

Una nuova forma di provocazione mascherata da libero pensiero prende di mira soprattutto gli attivisti e chi si occupa di diritti delle donne, salute e società

Sealioning, l’ultima e subdola tendenza in fatto di molestie online. Come difendersi

È una fastidiosa pratica oppositiva che viene esercitata sui social, che prende di mira soprattutto gli attivisti e chi si occupa di diritti delle donne, salute e società. È molto subdola perché si manifesta in apparenza come libera opinione o sincero interessamento alla causa e consiste in un’ossessiva alternanza di domande finto ingenue il cui scopo è minare la pazienza di chi risponde, portandolo all’esasperazione e facendolo sembrare intollerante. In questo modo non solo si sarà raggiunto lo scopo di boicottare i contenuti seri della pagina in questione ma si fornirà un pretesto per chi attacca di valutare come poco disponibile l’attivista stesso. Per esasperare l’innocente il provocatore potrebbe anche chiedere spiegazioni su cose già ampiamente commentate dall’autore dei contenuti postati costringendolo a perdere tempo, a innervosirsi e a mettere in dubbio la chiarezza dei suoi testi.

Purtroppo il fenomeno è in aumento e chiunque si occupi di comunicazione e di attivismo sta studiando protocolli di comportamento comuni per tutelarsi da questo tipo di attacchi. Il nome sealioning nasce da un fumetto del 2014, realizzato da David Malki. L’autore ha disegnato un leone marino che fastidiosamente, ma con fare innocuo, incalza il personaggio del fumetto perché spieghi in modo dettagliato ogni sua affermazione arrivando a invadere la sua privacy.

Tutti i nomi della molestia

La comunicazione online è ultimamente tra i terreni di maggiore sfida per amministrazioni pubbliche, aziende e singole persone che si ritrovano spesso catapultate in una guerra mediatica loro malgrado. Il campionario degli strumenti a disposizione di chi attacca sono tanti: mansplaining, gaslighting, tone policing. Nomi diversi per identificare forme di trolling che puntano su aspetti specifici e differenti.  Il primo consiste nel fare prediche alle donne “dall’altro della saggezza degli uomini” ma con fare gentile, facendo così passare per stupida l’interlocutrice. Il secondo è un modo per mettere in dubbio le idee stesse di chi le propone, gettando ombre e discredito. L’ultimo sposta l’attenzione dai contenuti ai toni per far passare chi scrive come un cafone o un ignorante.

Un caso emblematico

Nel 2014 Zoe Quinn, sviluppatrice di videogiochi indipendenti, fu oggetto di una campagna denigratoria che culminò in minacce di stupro e morte tanto da costringerla ad abbandonare la sua casa, dato che i persecutori avevano messo in rete numero di telefono e indirizzo. Zoe era stata attaccata per aver creato un gioco che parlava di depressione. Anche altre lavoratrici in ambito videoludico sono state molestate allo stesso modo, è il caso della sviluppatrice Brianna Wu e della critica culturale Anita Sarkeesian. La vicenda, divenuta celebre con l’#gamergate, fu denunciata ad autorità e media. Sono spesso le donne le vittime prescelte di queste ignobili pratiche che portano ad attacchi di ansia e panico. Ma come ci si può difendere?

Come difendersi dagli attacchi in rete

Enti privati e pubblici sono al lavoro per studiare un sistema efficace di difesa. Partendo dal fatto che il molestatore non vuole essere calmato, né blandito, né tantomeno istruito, al momento l’unico metodo che pare funzionare è ignorare le polemiche per evitare di essere troppo coinvolti. Parlare del problema aiuta a riconoscerlo e a segnalare i profili dei molestatori. Naturalmente nel momento in cui la molestia online sfocia in qualcosa di più grave del trolling, come minacce di violenza e addirittura di morte, è necessario rivolgersi alla polizia postale e alle forze dell’ordine.