Dalle periferie alla tutela UNESCO: la techno è un patrimonio riconosciuto
Come la musica delle periferie è riuscita a farsi amare dal mondo
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Quando nel 1984, in una fumosa Detroit, venne usato per la prima volta il termine techno per definire una nuova musica ibrida fatta di campioni vocali, ritmi in 4/4 e suoni freddi digitali mescolati a strumenti tradizionali, nessuno avrebbe pensato che sarebbe un giorno diventata patrimonio dell’UNESCO e simbolo della città di Berlino. Dagli Stati Uniti, infatti, la musica techno raggiunge presto l’Europa e trova, soprattutto in Germania, una perfetta casa adottiva.
Dalle periferie alle discoteche di tutto il mondo
L’immaginario legato alla techno ebbe un impatto fortissimo sulle persone. I media vedevano nei rave l’equivalente di sabba infernali dove tra promiscuità sessuale e uso di droghe ogni male veniva perpetrato. La politica temeva che fossero la culla per facinorosi avversi al sistema e all’ordine pubblico ma la realtà è sempre stata un’altra. Dietro la facciata trasgressiva, che pure caratterizzava la scena, si muovevano musicisti, dj, producer, performer e tecnici di grandissimo talento che in pochi anni hanno saputo fare di un’idea immateriale come la musica qualcosa di solido, riconoscibile e ora addirittura tutelato.
Tutto nacque in luoghi abbandonati, seguendo la naturale inclinazione di molte persone a lasciarsi affascinare dal panorama del collasso industriale: fabbriche, capannoni, depositi deserti. Qui si riunivano quelli che non amavano le discoteche commerciali, la finzione dell’allegria della musica e che invece cercavano nella martellante decadenza un nuovo posto, tutto per loro. Tanti vestiti neri, qualche timido accenno di colori fluo e molta sperimentazione tra piercing e tatuaggi, un mondo da ricreare, da immaginare e da ballare.
Un traguardo meritato
La techno non è solo una musica è soprattutto una questione di cultura. Negli spazi occupati, poi restaurati e restituiti alla collettività messi in sicurezza, valorizzati e resi fruibili, si è creata una community basata sull’inclusione, libera dai condizionamenti politici, tollerante, aperta e pacifica che, in particolar modo in Germania, è diventato il perfetto habitat per chi non si sentiva a suo agio con se stesso e nella società, e che da qui ha mosso i passi per il suo inserimento e la sua rinascita, coinvolgendo sempre più gente. “La techno è diventata un rifugio per le persone emarginate e c'è una naturale attrazione per Berlino come uno spazio libero e sicuro per chi proviene da contesti illiberali, autoritari o meno permissivi”, ha dichiarato al Guardian il produttore Peter Kirn. Questo, insieme ovviamente al grande valore della produzione, delle maestranze e della creatività del lato musicale, hanno portato l’UNESCO a dichiarare la techno patrimonio dell’umanità, e Berlino il suo simbolo espressivo più fulgido. La città, infatti, incarna molto bene il concetto stesso di rinascita, di riciclo creativo e di impresa, ed è divenuta negli ultimi 20 anni la meta ambita per eccellenza di chiunque voglia sentirsi parte della storia.
Dalle prime condanne, da quegli indici puntati e pronti al giudizio, sono trascorsi moltissimi anni e il tempo ha reso giustizia a una comunità, a un’attitudine e a uno stile musicale che avevano fatto storcere più di un naso: la techno è cultura.