Scoperte sculture con le fattezze dell’antico popolo di Tartesso: archeologi costretti a ricredersi
Gli esperti che hanno scavato nel sito di Casas del Turunuelo hanno fatto una scoperta di enorme importanza. Lo scavo getta infatti luce sull’antica e misteriosa civiltà fiorita nel sud della Spagna diversi secoli prima di Cristo, nell’età del bronzo.

Sono tornate alla luce alcune opere dell’antico popolo di Tartesso. E’ avvenuto durante gli scavi compiuti dagli archeologi del Consiglio nazionale delle ricerche spagnolo (CSIS) nel sito di Casas del Turunuelo nel Sud della Spagna. Le rappresentazioni recuperate aiutano a gettare miglior luce sull’antica e misteriosa civiltà fiorita alcuni secoli prima di Cristo. Il porto di Tartessos si ritiene fosse ubicato alla foce del Guadalquivir in quella che oggi, stando alle testimonianze storiche, è la città di Cadice.
Il popolo dei Tartessi, esperto di metallurgia, abitava probabilmente i territori dell’attuale Andalusia ed Estremadura e la loro civiltà è considerata la prima di grossa rilevanza nata nella Penisola Iberica. Apparve nella età del bronzo ed utilizzava una lingua ormai estinta chiamata, ovviamente, tartessiano.
Il Consiglio nazionale delle ricerche spagnolo (CSIS) ha presentato i risultati degli scavi di Casas de Turuuelo a Badajoz. Si tratta per la precisione di 5 busti ritenuti risalenti a 2500 anni fa. I reperti risultano danneggiati ma due di essi hanno conservato notevoli dettagli.
Si tratta delle prime rappresentazioni di visi di persone del popolo dei Tartessi mai ritrovate. Un fatto importante. Tanto che gli esperti parlano di risultati straordinari che consentono un profondo cambiamento di paradigma nella comprensione di quella cultura.
Stando alla testimonianza fornita intorno al IV secolo dallo storico greco Eforo, quella di Tartesso era una civiltà evoluta basata in particolare sulla produzione e il commercio di stagno, oro e altri metalli. Nemmeno lui dice però da dove provenissero precisamente i Tartessi.
La squadra dell’Istituto di archeologia di Merida pensa che due dei busti recuperati rappresentino delle dee. E questo va in contrapposizione a quanto prima teorizzato, e cioè che la religione dei Tartessi non contemplava idoli o immagini. Gli esperti ritengono anche, a questo punto, che il luogo del ritrovamento fosse un tempio o un pantheon.
Lo stile dei volti, con i singolari orecchini a cerchio e le particolari acconciature, hanno portato gli esperti a trovare una certa assimilazione delle sculture a quelle antiche del Medio Oriente e dell’Asia. Gli archeologi ritengono per altro che le due dee, con altre tre sculture più danneggiate, potessero far parte di un affresco in pietra che riproduce quattro divinità veglianti su un guerriero.
Le opere assumono rilevanza anche ai fini della storia dell’arte, visto che in quel periodo Grecia ed Etruria venivano considerati gli epicentri della scultura. Ci sarebbe a questo punto da considerare, tuttavia, sull'argomento anche il significato assunto dal ritrovamento delle statue dei Giganti di Mont'e Prama nel Sinis, in Sardegna.