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Ricordo di Sergio Zavoli, socialista di Dio, nel centenario della nascita. A scuola con Fellini suo amico per la vita

E' stato l'essenza stessa del giornalismo. Ha sempre cercato la verità nella Storia, nell'umanità, nel trascendente. E da bravo cronista, non ha mai smesso di cercare

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E' stato di sicuro uno dei più grandi giornalisti italiani. Aveva ragione Edmondo Berselli quando disse, nel proclamare Sergio Zavoli dottore honoris causa in editoria, comunicazione multimediale e giornalismo, che quel riconoscimento è "una tautologia" perché Sergio Zavoli è stato l'essenza stessa del giornalismo. Era il 26 marzo 2007 e "Zavolone", come lo chiamavano gli amici, si commosse perché quella laudatio nell'aula magna dell'Università romana Tor Vergata sigillava una carriera cominciata con gli annunci ai megafoni del Publiphono sulle spiagge riminesi nel 1944 per poi approdare due anni dopo, a guerra appena finita, sulle colonne del "Progresso d'Italia".

Nato a Ravenna il 21 settembre 1923, Zavoli si trasferisce a Rimini ad appena quattro anni e lì troverà la sua famiglia allargata con il fotografo Davide Minghini e Federico Fellini, suo compagno di scuola sui banchi del liceo Giulio Cesare e amico per tutta la vita. Come il regista di "Amarcord", anche Zavoli guarderà sempre alla sua "patria" come al luogo del cuore a cui ogni volta ci si accosta con la nostalgia del tempo passato e il timore per una misura d'uomo che non è più fino in fondo la propria. Ma quel legame non si è mai spezzato come adesso, per il centenario della nascita, ci ricorda il bel documentario di Mauro Bartoli "Il sole tramonta alle spalle" in programma il 21 settembre al mitico cinema Fulgor.

Voce baritonale, dizione perfetta e rotonda - nonostante il piacere di indulgere al dialetto locale fuori dal microfono - sguardo penetrante e severo, corporatura massiccia e lineamenti da patrizio romano, Sergio Zavoli era una di quelle figure che si imponeva al solo entrare in una stanza. In compenso aveva la gentilezza del tocco, un'attenzione ai piccoli e ai senza voce che sarà una delle caratteristiche del suo percorso umano e professionale. Non ha avuto sempre vita facile, anche per l'asciutta secchezza con cui affermava le sue idee senza compromessi, ma sapeva praticare l'arte della mediazione e anche nei panni dell'intervistatore non sovrastava mai l'interlocutore, portandolo con tatto a svelare se stesso.

Probabilmente il segreto della sua carriera sta nella formazione alla radio dove lo accoglie nel 1947 Vittorio Veltroni, dandogli la possibilità di diventare professionista e facendolo debuttare a 30 anni come autore e conduttore del documentario "E' occupato, passi domani". La televisione non c'è ancora ed è la forza immaginifica della voce a calamitare il pubblico. In quel 1953 Zavoli firma tutti i suoi primi lavori vincendo addirittura il Premio Italia con "Notturno a Cnosso". Si ripeterà quattro anni dopo con il reportage che lo rende famoso: "Clausura" girato all'interno di un monastero di clausura delle Carmelitane Scalze dando voce alle monache. Siamo ancora lontani dal Concilio di Papa Giovanni e la decisione di mandarlo in onda la sera del 23 dicembre 1957 fa scalpore. Avrà invece diffusione internazionale a ancora oggi viene citato come un modello irripetibile nell'uso della radiofonia in cui voce e suono formano un'unica trama evocativa.

Curioso e affascinato dal cinema, Zavoli riesca anche ad avere il permesso per affiancare Antonioni come assistente ne "Il grido" (girato nella bassa padana nel 1957), ma quell'esperienza lo avvicina alla televisione dove debutterà nel 1962 con l'ormai mitico "Processo alla tappa", trasmissione destinata a narrare il Giro d'Italia per ben otto anni. L'idea è rivoluzionaria - usare la passione sportiva per scoprire l'Italia degli ultimi e un paese che cambia fisionomia -, il successo immediato. Dopo "Nascita di una dittatura" (1972), il cronista principe, sempre fedele alla Rai, si avvicina alla politica: di idee socialiste accetta, nel 1980, la presidenza del servizio pubblico che terrà per sei anni formando col direttore generale Biagio Agnes una coppia di ferro. Ma il richiamo della cronaca è ancora forte e quando esplode la centrale di Chernobyl, il 26 aprile 1986, Sergio Zavoli è lì. Il reportage avrà drammatiche conseguenze perché il suo corpo ne porterà i segni per il resto della vita.

Da quel momento però la sua presenza in tv cresce con programmi di grande successo ("Viaggio intorno all'uomo"), ma soprattutto inchieste che resteranno memorabili come "La notte della Repubblica" (1989) in cui fotografa la lunga stagione di sangue del terrorismo con la passione del cacciatore di verità e il distacco dello storico. Da qui in avanti moltiplicherà i suoi interventi come scrittore, editorialista (dirigerà "Il Mattino" di Napoli), senatore della Repubblica dal 2001 al 2018. Al tramonto della vita ha vissuto la paura quando una banda di rapinatori lo aggredisce e tortura nella sua casa a Monte Porzio Catone, l'onore con i festeggiamenti per i suoi 90 anni nel salone degli arazzi della "sua" Rai, il dolore per la morte della prima moglie Rosalba, l'ultima carezza della seconda moglie, Alessandra, sposata nel 2017. Dopo la morte, il 4 agosto 2020 nella casa di Trevignano, è ritornato a Rimini, al Cimitero Monumentale, dove riposa a fianco del suo amico Federico. L'uomo che si definiva il "Socialista di Dio" (titolo del libro con cui vinse il Premio Bancarella nel 1981) ha sempre cercato la verità nella Storia, nell'umanità, nel trascendente. E da bravo cronista, mai ha smesso di cercare.

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