Vietati i campionati di scacchi femminili alle donne trans. Così si insultano le donne. Infuria la polemica
Jennifer Guerra sulla decisione della federazione: "Scontenta sia le donne che le trans. Vedo in questa decisione una forma di neuro sessismo"

La FIDE, Federazione internazionale degli scacchi, ha modificato le regole di ammissione ai tornei per le persone trans. In particolare è stato il provvedimento che riguarda le donne trans ha destare più di un malumore: alle atlete è stata vietata la partecipazione ai tornei femminili. La notizia ha destato scalpore per più di un motivo, infatti le federazioni di altre discipline non sono nuove a misure simili, ma si tratta di sport in cui la prestanza fisica è rilevante. Che c’entra questa scelta con gli scacchi?
Cosa cambia
Le persone trans devono aver terminato la transizione nel loro paese d’origine per potersi iscrivere con la nuova identità di genere. Questo aspetto è già di per sé discriminante visto che non tutti i paesi hanno percorsi burocratici di egual durata. Le donne trans sono escluse, fino a nuovo ordine, dalle competizioni femminili. La decisione si è resa necessaria visto il gran numero di richieste da parte di giocatrici trans. Altra novità è che nel regolamento della FIDE si comunica che, accanto al nome della giocatrice, venga apposto un contrassegno che ne identifichi l’avvenuta transazione. Questo apparente dettaglio contrasta con la privacy e con il diritto delle persone a non voler rendere pubblico il loro percorso.
Un mondo di uomini e un pregiudizio verso le donne
La scacchiera pare un terreno soprattutto maschile. Uomini i campioni riconosciuti a livello mondiale, uomini in generale in tale sovrannumero rispetto alle donne nelle competizioni di tutti i livelli da creare una sproporzione enorme. L’esclusione delle trans non ha destato solo il dibattito in seno alla comunità LGBTQ+, ma ha risvegliato una polemica antica e quanto mai attuale: la presunta superiorità maschile nelle attività analitiche e strategiche. Se ovviamente nessun neuroscienziato si sognerebbe mai di avallare una simile teoria, è pur vero che le poche iscrizioni rosa e il maschilismo imperante finiscono per avallare questo stereotipo, facendo degli scacchi un mondo chiuso.
Stereotipo che spesso è supportato anche dai fatti, come ad esempio i minori investimenti destinati alle atlete rispetto ai colleghi maschi. Questo comporta naturalmente la necessità per le donne di svolgere altri lavori e di non poter vivere di solo sport. Wei Ji Ma, docente di neurologia e psicologia della New York University e anche appassionato di scacchi, aveva scritto sulla rivista Slate che la presunta superiorità maschile in questa disciplina era solo questione di probabilità dovute alla legge dei grandi numeri. Più giocatori uomini rispetto alle donne offre certamente più chance matematiche perché il campione sia di sesso maschile. Questo semplice dato pratico causerebbe un processo di irrigidimento da parte di chi definisce il settore a livello organizzativo che, inconsciamente o meno, porterebbe dunque avanti politiche di gestione poco inclusive.

Jennifer Guerra: ennesimo insulto alle donne
Abbiamo chiesto alla giornalista e scrittrice Jennifer Guerra, che più volte si è occupata di questioni femministe, di darci la sua opinione.
“Vedo in questa decisione una forma di neuro sessismo. Si presuppone che i cervelli dell’uomo e della donna siano diversi e non possano competere nella stessa categoria. Questa è una presa di posizione ideologica e non una forma di protezione delle atlete. E di solito questi divieti non vanno mai da soli. Mi spiego meglio: non si tratta solo di vietare la partecipazione a un torneo ma ad esempio di impedire l’utilizzo dei servizi igienici se non “speciali”. In teoria secondo chi fa questi divieti è un modo per proteggere le donne dalla violenza di genere ma è un’assurdità: tutte noi usiamo i bagni pubblici dei locali o dei ristoranti e non siamo mai morte. Guarda caso, mi riferisco agli Stati Uniti, chi porta avanti questo genere di cose è anche chi poi spinge per vietare l’aborto, o che vietano libri a carattere LGBTQ+. Così facendo secondo loro proteggono le donne da ciò che per loro è una minaccia, ma non non da una minaccia reale. Tornando più nello specifico allo sport poi, in merito al contrassegno delle atlete trans al momento dell’iscrizione, la trovo una violazione della privacy irrispettosa e insensata. La legislazione italiana prevede il diritto all’oblio, perché mai in un altro paese per partecipare a un torneo in cui inoltre la prestanza fisica non gioca alcun ruolo, dovrebbe essere necessario marchiare le persone che hanno fatto la transizione? È solo un altro modo di insultare le donne”.