Ancelle moderne ma sempre ancelle: ecco cosa ci ha insegnato questo Festival sul ruolo delle donne in Italia
Ecco come la Rai ha rappresentato la società italiana sul palco più seguito e importante. Che ruolo è stato dato a queste donne e come queste presentatrici hanno usufruito di questo spazio?

Sono tante le domande da porsi a una settimana dalla fine della 72esima edizione del Festival di Sanremo.
Il femminismo è tornato dirompente in molti paesi del mondo occidentale, dopo un periodo di grave assenza, ma sembra continuare a non sfiorare mamma Rai, tradizionalista nella divisione dei ruoli sanremesi ancora saldamente inseriti in uno schema di patriarcato, soft ma comunque patriarcato. Un femminismo badate bene, che non ha nulla a che vedere con quello degli anni '70. Un femminismo che è emanciapazione femminile non contro gli uomini ma insieme agli uomini, per una società davvero paritaria.
Vi starete dicendo: ecco la solita femminista guastafeste che non gioisce di una settimana di trionfo per lo spettaccolo italiano. Ma non è così, questo Festival ha fatto tante cose buone, premiate da uno share impareggiabile e da una critica altrettanto benevola. Ma il ruolo dei media è quello di stimolare, non solo di applaudire. Per quello ci sono le/i groupie.
Il punto è che la questione femminile è un aspetto essenziale per comprendere sul serio a che punto si trova la crescita culturale e sociale di una comunità. Il palco dell'Ariston è lo specchio di chi siamo, chi siamo stati e chi vorremmo diventare. E' dunque importante porci la domanda delle domande: come è stato rappresentato il ruolo della donna?
Attenzione: come è stato rappresentato, non quale sia il suo ruolo. Perché il nostro ruolo è molto più partecipe e protagonista nella vita reale di quanto sia stato disegnato in quel teatro.
L'ottimo proposito della Rai in questa edizione è stato quello di fare un festival più inclusivo e rappresentativo. La stessa scelta delle conduttrici non si è basata esclusivamente sulla loro bellezza, ma sulla loro capacità di incarnare differenti modelli di identità femminile. Via, dunque, la rappresentazione stereotipata di una società che non esiste più e largo a gruppi sociali diffenrenti.
Si è trattato di una sfida. E questo è già un buon punto di partenza. Ma oggi tocca chiederci, questa sfida che risultati ha ottenuto? In queste serate siamo stati tutti testimoni di un risultato mediocre, sui social moltissimi utenti lo hanno sottolineato, infatti queste donne sembrano essere state chiamate sul palco solo in rappresentanza della categoria a cui appartenevano.
Tiziano Bonini, professore associato in Media Studies dell’Università di Siena, lo spiega molto bene in un suo articolo: "Che le conduttrici di Sanremo finalmente non siano più solo giovani modelle o attrici, ma anche donne di età diverse, con colori della pelle diverse e con background professionali diversi è una buona pratica. Ma se poi queste conduttrici sono chiamate a svolgere sempre un ruolo da comprimarie, un passo indietro rispetto al conduttore, e continuano ad essere trattate con paternalismo, ecco che queste strategie di inclusività mostrano tutta la loro ipocrisia e la loro mediocrità. Non basta, quindi, invitare sul palco donne che rappresentino idee diverse di femminilità, serve anche pensare per loro dei ruoli attivi e paritari sul palco".
Queste conduttrici non avevano potere di azione. Erano incasellate in una parte con dei confini molto marcati e netti. Questo perché come succede anche nel mondo dell'editoria, le donne sono la maggioranza ma i ruoli apicali sono ancora occupati da vecchi, maschi, bianchi e borghesi (nessuno si offenda ma è questo il patriarcato). Bisogna quindi chiedersi chi sono ancora oggi i lavoratori dei media, gli autori tv, quelli che decidono, quelli che contano, quelli che sono abituati a lavorare così.
Dice molto bene professor Bonini: "La Rai dovrebbe costruire team autoriali che portino dentro idee diverse, frutto di background socio-culturali molto diversi: non solo più donne, o più giovani, o più figli di immigrati, ma anche più autori provenienti dalle provincie e più rappresentative di differenti gruppi sociali, non solo i figli della “buona” borghesia urbana. Senza una politica di diversità culturale e inclusività di chi fa, produce, scrive i programmi televisivi, continueremo ad assistere ai soliti siparietti imbarazzanti in cui le donne, benché di colore, età e identità sessuale diversa, continuano ad essere messe in un angolino".
Il razzismo si sconfiggerà quando una conduttrice di colore non verrà chiamata sul palco dell'Ariston per sconfiggere il razzismo. Se giustifichi la sua presenza stai alimentando il razzismo (anche se in buona fede). Non chiami un uomo travestito da donna per sentirti meno in colpa con chi è transessuale, ma lo ingaggi se fai passare la presenza di questo artista come qualcosa di normale, perché è normale.
Sabrina Ferilli ha detto qualcosa di molto giusto e al passo con i tempi: ..."perché devo dare un senso oltre quello che sono per giustificare che sono qui? Sono qui per il mio lavoro, e per tutte le scelte che ho fatto finora nella mia vita. Questo credo sia la cosa migliore che posso portare qui, compresa la tenacia che ho messo per prendermi quello che volevo. Questa era la cosa migliore che poteva accompagnarmi qui. E credo che valga per tutte le donne: diamo valore alla nostra storia. Non sono come gli stolti di Don’t look up con Dicaprio. Sto nella mia linea, ho scelto questa strada della leggerezza perché, come diceva Calvino, in tempi così pesanti bisogna saper planare sulle cose senza macigni addosso. Perché la leggerezza non è superficialità".
Chiamateci sul palco perché sappiamo fare spettacolo. Non giustificate la nostra presenza attraverso una battaglia sociale. Non dobbiamo scontare nulla.
La parità, sì, la raggiungeremo quando una donna con il naso importante di Amadeus potrà condurre il Festival di Sanremo, senza essere esperta per forza di qualcosa, se non di spettacolo, ovviamente.
