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Giuggiolo, uva spina, pera cotogna: la festa più incredibile è quella dei frutti dimenticati

In questo caso, i paesi della Val Marecchia sono romagnoli dentro, storicamente, e anche dal punto di vista della logica, i loro uffici pubblici, i loro riferimenti sanitari, il loro posto dove correre quando c’è la neve che isola la valle, è dal lato di Rimini e non da quello di Pesaro

di di Massimiliano Lussana   
Uva spina
Uva Spina (Pixabay)

Un giorno andai a trovare Tonino Guerra, storico sceneggiatore di Federico Fellini, poeta romagnolo e persona di una dolcezza unica, reso famoso al grande pubblico dallo spot della catena di elettrodomestici in cui diceva che “l’ottimismo è il profumo della vita”. Negli ultimi venticinque anni della sua vita da Santarcangelo di Romagna dove era nato, e da Roma, dove è diventato il numero uno del cinema, si era trasferito a Pennabilli, che allora era nelle Marche in provincia di Pesaro-Urbino, e oggi è in Emilia-Romagna, in provincia di Rimini, splendida storia, rarissima, di applicazione - con decine di anni di attesa - del referendum costituzionale per passare da una Regione all’altra.

In questo caso, i paesi della Val Marecchia sono romagnoli dentro, storicamente, e anche dal punto di vista della logica, i loro uffici pubblici, i loro riferimenti sanitari, il loro posto dove correre quando c’è la neve che isola la valle, è dal lato di Rimini e non da quello di Pesaro. Ecco, è come se Pennabilli fosse un paese delle origini dimenticate (e ritrovate) e come se Tonino Guerra sia stato l’archeologo che ha permesso di ritrovarle.

Il museo diffuso dei luoghi dell'anima

E uno dei tasselli decisivi per raccontare questa storia è il museo diffuso dei luoghi dell’anima (e qui tutto si tiene) che il poeta e sceneggiatore ha disseminato per tutte le zone del paese, a partire dall’orto dei frutti dimenticati, dove convivono installazioni artistiche e alcune specie di alberi da frutto che oggi i contadini non coltivano più, dalla cuccarina alla pera cotogna, dal giuggiolo (o giuggiola) all’uva spina fino al biricoccolo. E poco più su, nella Romagna più profonda che profuma già di Toscana e di Mugello, a un passo dalla vecchia linea ferroviaria che da Brisighella sale su a Marradi, sulle strade di Dante e di Dino Campana, per poi scendere di corsa verso Firenze, in un territorio che divenne famosissimo ai tempi delle suppletive nel collegio che portarono a sfidarsi Antonio Di Pietro e Giuliano Ferrara, nel faccia a faccia più epico che la storia elettorale recente ricordi, c’è Casola Valsenio.

Casola è una favola

Qui siamo in provincia di Ravenna e un tempo Accademia Perduta Romagna Teatri organizzava splendide stagioni teatrali estive. Uno degli slogan del paese era “Casola è una favola” è un po’ questa storia una favola lo è davvero, perché è dal 1990 che a ottobre a Casola si svolge la festa dei frutti dimenticati. Gli agricoltori della zona, oltre ai marroni dell’Alta Valle del Senio, una specialità assoluta, un paradiso delle castagne, espongono infatti i frutti prodotti dalle vecchie piante dei loro orti e delle loro corti: sorbe, prugnoli, mele della rosa, corniole, melegrane, corbezzoli, giuggiole, pere voltine, cotogni e nespole di particolari qualità. E nel giardino officinale del paese apre l’arboreto dei frutti dimenticati.

Insomma, queste splendide storie non potevano mancare al FestivAlContrario, che ha il suo centro a Castelvecchio di Rocca Barbena, uno dei borghi più belli d’Italia, ma coinvolge tutto il territorio attorno, da Garessio e Alto, in provincia di Cuneo, fino al mare di Albenga, passando per tutte le valli lì attorno e passando anche per Cisano sul Neva, dove ci sono i vivai Montina, che dei frutti dimenticati sono il Paradiso, uno dei tanti Paradisi, anche umani, di questa storia. E qui proprio il Festival ha realizzato uno dei suoi tanti miracoli: organizzare uno dei concerti, quello più straordinario del programma, con le direttrici artistiche Manuela Litro e Vera Marenco, con Anna Rapetti e il flauto di Gianluca Nicolini, in mezzo ai frutti dimenticati, con la viella e gli strumenti più rari a sommarsi alla rarità del museo che testimonia il recupero e la conservazione delle varietà di frutta più antiche del Mediterraneo, accompagnate dallo splendido racconto dei titolari per raccontare e promuovere le biodiversità e degustare i frutti antichi con il racconto di Daniela Montina che trasuda passione.

la cultura contadina quasi scomparsa

E qui si sommano suggestioni musicali della cultura contadina mediterranea quasi scomparsa, con i sapori, i colori e i profumi del giardino mediterraneo, il “pomario” o “verziere”. E nuovamente è la storia di sorbi, azzeruoli, uva spina, biricoccolo, melograno, pero coscia, mela Carla, albicocco del Vescovo, mela ciapeletta, fico Brogiotto, platicarpo, pesca Profumo, re Alberto, Dantin e tante altre varietà tipiche locali di pesche sia a pasta bianca sia a pasta gialla. Ed è una gioia anche nella scelta delle canzoni, che danno l’impressione di entrare realmente in un giardino medievale, con i testi che parlano di amore e di primavera, con una splendida lettura su una gardenia, che diventa protagonista della storia, e l’effetto straniamento quando parte “J’ai le maux d’amour”, con lo splendido brano in francese che entra negli occhi e nelle orecchie di chi guarda e ascolta.

E’ qualcosa di talmente bello che anche un piccolo inconveniente come una corrente d’aria che fa volare uno spartito è splendidamente risolto da Manuela Litro con le scuse al pubblico e la parola “pugno”, con tanto di pugno, che è quella che dicevamo da bambini per interrompere un gioco per un attimo, perché occorreva allacciare le scarpe da calcio o, semplicemente, andare dietro l’angolo a fare la pipì.

Il bis di Tulipan

E si sale su su fino al bis di “Tulipan”, in un’interpretazione trascinante dello storico brano del Trio Lescano, che ovviamente cantata in mezzo ai fiori, entusiasma il pubblico. Ma il racconto è anche un trionfo di aneddoti, tipo il corniolo in salamoia, che sono “le olive dei tedeschi”, o la passione per i rumeni per il corniolo, o ancora il brodo di giuggiole, che è molto alcolico e da qui nasce il modo di dire per significare che “non capisci più niente”. Insomma, il fatto che il FestivAlContrario sia anche qui, dove si festeggiano i posti dell’anima, è quasi la chiusura di un cerchio, scritto per quaranta giorni da Manuela e Vera e che ha avuto la sua sublimazione con “Un mondo a parte”, lo splendido film di Riccardo Milani che racconta proprio di un posto dell’anima. E raccontarlo qui, raccontarlo nella piazza della Torre di Castelvecchio, raccontarlo sfiorato dalla Bellezza, è tutto.

di di Massimiliano Lussana   
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