Pietre squadrate e incastri perfetti: quanto è antica Puma Punku, città degli dei? Il calcolo astronomico è scioccante
Quando i conquistadores chiesero chi l’avesse costruita gli incas risposero: “Non siamo stati noi. L’hanno costruita gli antichi dei in una sola notte”. Quei blocchi di diorite e granito sembrano fatti a stampo e si incastrano alla perfezione. La datazione di Posnansky e quella di Steede su Tiahuanaco lasciano a bocca aperta
Si dice che, davanti a quei blocchi di pietra perfettamente squadrati e capaci di incastrarsi uno sull’altro come pezzi di un puzzle tridimensionale, i primi conquistadores spagnoli, meravigliati, chiesero agli Incas chi avesse costruito Puma Punku. Questi risposero che non erano stati loro e neppure i loro antenati. L’hanno costruita gli antichi dei in una sola notte, avrebbero affermato. Ma tutto in quel magico luogo è un grande, inspiegabile, punto interrogativo.
Puma Punku, la Porta del puma in lingua Aymara, fa parte delle strutture monumentali di Tiahuanaco in Bolivia occidentale, a poca distanza dalla sponda sud-orientale del lago Titicaca, ed è davvero un luogo strabiliante. La singolarità del sistema modulare degli artefatti, situati a 4mila metri di altezza e ricchi di caratteristiche tecniche inspiegabili per la tecnologia del periodo, rappresenta un altro dei grandi misteri del Sudamerica e della nostra storia remota.
Incerto resta ancora chi abbia davvero costruito quelle strutture e per quale ragione. Sicuramente, come appare ormai assodato, tali insediamenti, a 72 km da La Paz, sono antecedenti al periodo inca. Ma quanto antecedenti?
La perfezione tecnica
Antiche leggende narrano che il vicino tempio Kalasasaya di Tiahuanaco venne edificato per commemorare l’arrivo degli dei giunti dal cielo. E già questo risulta inquietante. L’aspetto più sorprendente di Puma Punku – come si accennava - è rappresentato dalla perfezione che caratterizza le strutture, con aperture finemente intagliate e blocchi di pietra pesanti più di 130 tonnellate, perfettamente levigati, assemblati senza l'uso di malta e senza traccia alcuna di ricorso a scalpelli e martello come vorrebbero gli archeologi ortodossi. I monoliti presentano scanalature convergenti in cui veniva colato metallo fuso che, solidificandosi, li teneva uniti. E qui va segnalato un altro fatto abbastanza sorprendente: si utilizzava una lega di rame con ferro, silicio e nikel. Che c’è di strano? Solamente che il nichel non è presente in Bolivia. Inoltre sono state rilevate tracce di platino e alluminio. Ed il platino fonde a 1800 gradi, mentre l’alluminio è stato scoperto ufficialmente solo nel 1800 dopo Cristo.
Ma ancor di più fanno sbarrare gli occhi gli incredibili moduli in pietra a forma di H, tutti della stessa dimensione e perfetti nei particolari, tanto da far pensare a una produzione in serie ottenuta con degli stampi.
La levigatura è altrettanto perfetta, come le scanalature combacianti che fanno ipotizzare l’attitudine a un assemblaggio a incastro, per consentire una costruzione modulare. Una sorta di gigantesco gioco di mattoncini per le costruzioni. Il frutto - sembrerebbe - di una tecnologia sconosciuta.
Da considerare, per di più, che parliamo non solo di blocchi di granito ma anche di diorite - roccia dura quasi come il diamante, che al giorno d’oggi riusciamo a lavorare solo con trapani a punta diamantata - ed è difficile pensare che la perfezione della lavorazione sia dovuta all’utilizzo di arcaici strumenti a mano. Da aggiungere che le cave più vicine si trovano a più di 60 chilometri di distanza.
Infine, ulteriore aspetto enigmatico, tutto quel materiale si trova disseminato in un ordine che richiama le conseguenze di una enorme catastrofe o di una incredibile esplosione. Quasi di un avvenimento epocale.
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Cosa può essere successo dunque, e in quale periodo storico?
Molti esperti ritengono che il sito risultasse già abbandonato da molti secoli quando vi si insediarono gli Incas, intorno al 1470. Questi ultimi serbavano solo vaghi racconti tramandati di generazione in generazione e consideravano la zona come quella della venuta di Viracocha, il dio creatore delle genti originarie che popolarono il mondo. Un dio proveniente dal mare, su una barca senza remi, secondo le antiche leggende e, curiosamente, raffigurato come un saggio barbuto, da un popolo come quello degli indigeni sudamericani a cui la barba non cresce proprio. Ce n’è d’avanzo per poterci ricamare sopra le teorizzazioni più ardite.
In quel sito a pochi passi dal lago Titicaca le stranezze non mancano davvero. Basta citarne un’altra a voler calcare la mano: cosa ci faceva nei paraggi il vaso denominato della Fuente magna (ma anche il monolito Pokotia) con criptiche iscrizioni proto-sumeriche portato alla luce negli anni ’60 e in cui si parla della dea Nammu? E perché su certi muri di quei luoghi sono raffigurati volti con le caratteristiche somatiche di popolazioni anche lontane dal Sudamerica, quasi a voler rappresentare tutte le etnie del pianeta? E che dire dei muri impossibili, con blocchi litici che aderiscono perfettamente l’uno all’altro?
A quando risalgono davvero, allora, le rovine? Lo si può ipotizzare attraverso criteri scientifici o dati significativi?
Il problema non è di facile soluzione, perché – come risaputo – non è possibile datare la pietra col carbonio 14. E’ vero che le analisi eseguite sui materiali organici trovati nello strato più basso dell’insediamento hanno restituito una data tra il 500 e il 600 a. C. Tuttavia, com’è ovvio, ciò non dimostra affatto l’età dei blocchi di pietra che potrebbero essere lì da molto tempo prima dei resti organici. Come se si determinasse, insomma, l'età del Colosseo in base ai resti di una pizza lasciata lì da un turista moderno. E, in effetti, le caratteristiche architettoniche del sito colombiano fanno pensare a un’età molto più antica di quella ipotizzata.
Gli studi di Posnansky
E’ quanto riteneva, in base ai suoi studi su Tiahuanaco, anche Arthur Posnansky. Questo valente ingegnere austriaco, nato nel 1873 e morto nel 1946, esaminò a lungo il misterioso sito e dimostrò che gli antichi costruttori avevano realizzato un colossale osservatorio astronomico allineato agli astri. La sua intuizione aprì nuove prospettive sulla realtà dell’antico luogo e sulla sua reale datazione. Si delineò infatti la possibilità di risalire al momento della sua costruzione seguendo un serio criterio di datazione astronomica.
Posnansky rilevò che nel primo giorno di primavera il sole sorgeva precisamente al centro dell’ingresso principale del tempio Kalasasaya. Approfondendo lo studio si convinse che l’astro nel primo giorno d’inverno o d’estate doveva sorgere invece in corrispondenza dei pilastri a lato del tempio. Dato che ormai ciò non avviene, l’ingegnere cercò di individuare il periodo del passato in cui ciò invece si verificava. In tal modo calcolò che il tempio doveva avere almeno 17mila anni. Ovviamente gli studiosi ortodossi non accettarono le tesi di Posnansky e, riferendosi al disallineamento attuale, parlarono di probabili errori compiuti dai costruttori.
Ma anni dopo, l’archeologo Neil Steede, considerata la perfezione della costruzione, trovò improbabile che tecnici autori di tali meraviglie avessero potuto compiere errori grossolani come quello del posizionamento dei marcatori dei solstizi. Così riprese in mano i calcoli di Posnansky e li riesaminò con metodi più moderni.
Si rese conto che lo studioso austriaco ci aveva visto giusto. Ripercorse il meccanismo utilizzato per fare i calcoli relativi alla posizione del sole nel suo periodo e ritornare, a ritroso, a quello segnato dalle pietre astronomiche del tempio. Tenendo presente, a questo proposito, che l’inclinazione dell’asse terrestre nel passato era diversa da quella attuale e che la posizione delle stelle e del sole variano nel tempo, anche Steede andò a stabilire in quale periodo il solstizio invernale e quello estivo combaciavano esattamente con le pietre angolari del tempio.
Posnansky aveva tratto le sue conclusioni con calcoli fatti in base a una tecnologia meno avanzata della nostra ed era tornato indietro di 17mila anni.
Il ricalcolo dell'archeologo Steede
Steede rifece i calcoli con strumenti più moderni e la datazione ottenuta fu comunque sorprendente: Tiahuanaco non dovrebbe avere meno di 12mila anni.
Un’età, per altro, che si ripete spesso quando si parla di molti dei più enigmatici monumenti del passato e segna, probabilmente, una data fondamentale della nostra storia remota. Una data in cui il genere umano affrontò verosimilmente un passaggio decisivo e catastrofico, tramandato anche dagli Incas, presente in molte mitologie antichissime come quelle Sumera ed egizia e in molti libri sacri come la Bibbia: quello relativo a un devastante diluvio planetario.
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