Dagli egizi all’arte, il podcast al museo funziona se non annoia. Ecco come farlo bene
Un libro spiega come le collezioni italiane affrontano i podcast. Le curatrici Cinzia Dal Maso e Patrizia Dragoni: “Devono essere fatti bene da professionisti, altrimenti sono noiosissimi”

Poniamo di trovarci in un museo a caso, l’Egizio di Torino, tra sarcofaghi e mummie. Cos’hanno da dire, quei reperti umani dal passato remoto? Molto, se siamo aperti all’ascolto. Nel 2024 il museo ha realizzato un podcast dal titolo Alla ricerca della vita dove archeologi, antropologi e restauratori raccontavano di quei resti umani e altre storie a una squadra di professionisti del podcast, la Piano P di Carlo Annese e la giornalista Giulia Alice Fornero. Una bizzarria? Nient’affatto.
È verbo corrente che i ragazzi ascoltano podcast più che leggere libri. D’altronde il racconto a voce può rendere ottimi servigi alla cultura e, se ben fatto, è esso stesso cultura. Lo conferma il successo in netta crescita dei podcast che permettono di ascoltare, tramite smartphone o computer, storie, eventi, commenti ai fatti del giorno, riflessioni, libri. Non per niente le radio, a partire da Radio3 della Rai, vi ricorrono con frequenza sempre maggiore e sempre più spesso un podcast bene accolto diventa a posteriori un libro.
L’arte che parla di Dal Maso e Dragoni
Bene. Siccome l’Italia ha oltre quattromila musei tra pubblici e privati, spinge a chiedersi se e come si attrezzano una raccolta di saggi di più autori curata da Cinzia Dal Maso e Patrizia Dragoni. Prodigo di suggerimenti, idee per chiunque si occupi di cultura e rimandi, il libro si intitola “L’arte che parla. Radio e podcast per la valorizzazione dei beni culturali”: la casa editrice è la Edipuglia di Bari (230 le pagine, 16 euro il prezzo), lo spunto sull’Egizio torinese viene dall’introduzione della Dal Maso.

Le audioguide non vanno sempre bene
Come se la cavano allora, le dimore pubbliche dell’arte della penisola? “Siamo a buon punto, i musei italiani investono sempre più spesso in podcast, possono avere esiti diversi ma sono un ottimo modo per coinvolgere di più i giovani”, osserva Dragoni, docente di museologia all’Università di Macerata. Non tutto funziona però. Per contrappasso la studiosa cita un esempio in negativo: “Non funzionano quelle audioguide in cui si leggono testi semplificando il linguaggio. Non si può semplicemente traslare uno scritto all’ascolto. Neanche un podcast è la mera lettura di un testo: altrimenti è noiosissimo, provoca l’effetto opposto a quello voluto, non coinvolge”.
“Il podcast non è ancora un must per i musei”
Conferma Dal Maso, archeologa e divulgatrice: “I podcast sono decisamente in crescita, vediamo una consapevolezza professionistica e sensibilità sempre maggiori per quanto resti molto da fare. Pochi giorni fa mi sono sentita dire: ‘cosa ci vuole a farne uno?’ È una mentalità ancora diffusa. Né il podcast è ancora un ‘must’ nel sistema di comunicazione museale”.
Da Venezia a Roma, i casi migliori
Quali istituti culturali lo adottano stabilmente, come prassi? “Come esempi positivi citerei Palazzo Grassi a Venezia, il Museo egizio di Torino, le Scuderie del Quirinale”, risponde l’archeologa del Centro studi per l’archeologia pubblica Archeostorie. Per inciso, cita un caso di eccellenza, riferito nel volume da Maria Onori, ricercatrice all’università La Sapienza di Roma: “L’azienda di moda di Marina Rinaldi ha commissionato un podcast d’arte all’attrice comica e storica dell’arte Michela Giraud e a Maria Onori stessa, storica dell’arte”.
Non di solo podcast si vive per comunicare
“Con il saggio dell’egittologo e curatore dell’Egizio Enrico Ferraris nel libro indichiamo il traguardo: la transmedialità”, interviene ancora Dal Maso. Vale a dire? “Nella comunicazione i musei utilizzano vari strumenti, il catalogo, la brochure, il podcast, il video game, però ognuno staccato dall’altro. In realtà dovrebbe scaturire un sistema di comunicazione coordinato in cui ogni strumento viene usato per le sue peculiarità e per una parte della storia. Il tutto va studiato in modo che gli strumenti si incastrino uno con l’altro per arrivare a visione completa del messaggio da trasmettere”.
C’è ancora molto da lavorare
C’è molto da lavorare, fanno capire le curatrici del volume nato sì da una giornata di studi ma i cui saggi sono maturati da riflessioni post-convegno oppure sono stati commissionati successivamente dalle due studiose. “Anche nei beni culturali si sta capendo che un podcast va affidato a professionisti, mette in evidenza Dal Maso. Non è una semplice voce al microfono con un sottofondo qualsiasi, è una vera narrazione fatta di parole, suoni e musiche per costruire il potente effetto immersivo proprio di questi strumenti: quel racconto, ascoltato con le cuffie, deve farti sentire dentro al luogo, all’ambiente, all’immagine, deve farti capire che l’arte riguarda la tua vita quotidiana, che se vieni al museo puoi riflettere su quei temi”.