Scheletri radioattivi e rocce vetrificate: un'esplosione nucleare migliaia di anni fa? L’enigmatico sito di Mohenjo-Daro
L’antichissima città della Valle dell’Indo appare edificata con criteri moderni, era dotata di un sistema idrico e fognario avanzato e bagni in tutte le case. La città e la civiltà cui apparteneva scomparvero misteriosamente. E poi ci sono quei poveri resti calcinati che parlano di una morte violenta e improvvisa
La scoperta delle rovine della antichissima città di Mohenjo-Daro, nella Valle dell’Indo (attuale Pakistan), ha portato alla ribalta un enigma che continua a far discutere esperti ed appassionati: in quel luogo sembrerebbe essersi verificata una esplosione nucleare. Ma è concepibile un evento simile alcuni millenni prima di Cristo? Difficile da credere, eppure alcune evidenze lasciano sconcertati.
Ma partiamo con alcune informazioni utili.
Secondo la maggior parte degli studiosi la civiltà umana si è sviluppata generalmente lungo il corso dei grandi fiumi. Basti pensare alla civiltà egizia sul Nilo e a quella sumera sul Tigri e l’Eufrate. Nulla di strano quindi che lungo l'Indo sia nata la civiltà della Valle dell’Indo, durata almeno 2mila anni (dal 3.300 al 1.300 A.C.), su un territorio esteso dall'Afghanistan al Pakistan e all’India nord-occidentale. In pratica un’area enorme.
Eppure di questa incredibile ed antica cultura non si sapeva granché fino ai primi del novecento quando tornarono alla luce i resti di Harappa e, appunto, Mohenjo-Daro.
Una scoperta che rivoluzionò la convinzione fino ad allora in auge tra storici e accademici, ovvero che la civiltà indiana fosse nata intorno al 1250 a.C. nella Valle del Gange. Ma anche i dogmi archeologici e storici, spesso, sono costretti ad aggiornarsi. Così, quando le antiche rovine riemersero, gli archeologi dovettero retrodatare la civiltà indiana di ben 1.500 anni, fino al 3mila a.C.
Video
(Video National Geographic)
Le due città affondano davvero le radici nella notte dei tempi e risultano, per certi versi, ancora avvolte nel mistero. In particolare Mohenjo-Daro, che risalirebbe come minimo al 2.600 a.C. e sarebbe stata il centro urbano più grande della Valle dell’Indo - uno dei più grandi del mondo antico - con opere di ingegneria e urbanistica altamente avanzate per la remota età del bronzo.
Nel terzo millennio a.C. tuttavia non era l’unica città di quel territorio. Vanno segnalate, tra le più significative, oltre Harappa, Ganeriwala nell'odierno Pakistan, Dholavira, Kalibangan, Rakhigarhi, Rupar e Lothal in India. Nella zona indicata, tuttavia, sarebbero state trovate tracce di oltre mille insediamenti abitativi.
Il monte dei morti
Particolarmente inquietante il significato del nome. Mohenjo-Daro significherebbe infatti monte dei morti e parrebbe evocare eventi di una certa tragicità. Anche se in realtà non si conosce di preciso l’antico e vero nome della città, che si estendeva per 300 ettari, con una popolazione giunta durante il massimo splendore a 70.000 abitanti.
Situata sulla riva destra del fiume Indo, nell’attuale regione pachistana del Sindh, costituisce un vero interrogativo storico, perché non si comprende bene come abbia fatto a raggiungere un così alto livello organizzativo e tecnologico in quel lontanissimo periodo.
Edificata prevalentemente con mattoni cotti, risulta costruita con una concezione moderna. Vantava una efficiente rete idrica, fognature coperte e bagni in quasi tutte le case. Disponeva di pozzi d’acqua potabile e l'igiene era considerata fondamentale. A tal punto da indurre gli studiosi a scrivere che simili sistemi fognari e di drenaggio potrebbero far invidia a quelli che si trovano attualmente in certi territori pakistani e indiani.
La cosa più strana è che a Mohenjo-Daro, a differenza che in Egitto o in Mesopotamia, non sarebbero state trovate grandi strutture di autorità governative. Gli edifici più significativi consisterebbero in sale riunioni, bagni pubblici, mercati e molti condomini. Elementi di una società civile molto ben organizzata e ordinata, con un collaudato ordinamento burocratico.
Tra i reperti emersi dagli scavi ci sono alcune statuette caratteristiche come quella di un religioso scolpita nella steatite, oppure quella del barbuto re-sacerdote in oro o quella della ballerina in bronzo che richiama qualche danza sicuramente di successo in quel periodo. Molti i materiali scritti ritrovati, anche se la scrittura della Valle dell’Indo aspetta ancora di essere decifrata.
Il mistero sulla sua fine
Un altro grande interrogativo senza risposta riguarda la fine di Mohenjo Daro e dell’intera cultura di cui faceva parte. All'improvviso, infatti, la civiltà della Valle dell’Indo è uscita dalla storia e ci si chiede come sia potuto accadere.
Per certi versi la sua repentina scomparsa rappresenta un mistero, alimentato dal fatto che nella città sono state trovate tracce molto marcate di radioattività. E poi ci sono quei 44 scheletri, che testimonierebbero di una morte violenta e improvvisa, oltre a conservare, anch'essi, alti tassi di radioattività. Quasi che in quella zona - osservano certi studiosi - sia esploso un ordigno nucleare.
E a questo punto il discorso si fa complesso. Una esplosione nucleare nel 3mila avanti Cristo? Difficile anche pensarlo. Gli esperti hanno rilevato tuttavia che, in quello che sembra l’epicentro di un impatto, tutti gli oggetti risultavano intrecciati e vetrificati, e le rocce sembravano essersi dissolte a temperature di circa 1500 gradi trasformandosi in materiale vetroso.
Altra stranezza: a Mohenjo-daro non sono stati trovati corpi martoriati, con tracce di ferite, come accade a seguito di azioni di guerra o attacchi violenti, e non sono state trovate tombe. Per ora sono stati rinvenuti solo quegli scheletri (una quarantina) di uomini, donne e bambini, distesi al suolo, in una posizione che ne fa presumere la morte improvvisa, un po’ come si vede a Pompei. Un altro elemento su cui riflettere è che non c’erano armi di alcun tipo nei paraggi.
Recenti analisi avrebbero dimostrato che la maggior parte degli antichi scheletri presentavano tracce di carbonizzazione e calcinazione, come accade dopo l’esposizione a una intensa fonte di calore. Allo stesso modo, la roccia ed altri oggetti, tipo vasellame e monili, mostravano tipici fenomeni di vetrificazione. Gli stessi che si verificano, appunto, a seguito di un’esplosione nucleare. Tanto da far dire allo studioso anglo-indiano David Davenport che gli accadimenti di Mohenjo-Daro ricordano quelli di Hiroshima e Nagasaki.
Video
(Video da MISTERO su ITALIA1, del 3 Agosto 2016, con Enrico Baccarini)
La versione ufficiale
Come si spiega tutto ciò? C’è stato davvero un accadimento atomico tanti secoli fa, oppure esiste un’altra spiegazione plausibile? Molti sostengono che la fine di quella grande civiltà sia legata al prosciugamento di un importante fiume come il Sarawati, a drastici cambiamenti climatici o al venir meno di fondamentali scambi commerciali. Inoltre fanno notare che taluni edifici in mattoni di fango della enigmatica città sono rimasti intatti, per cui non si può pensare ad una esplosione nucleare, perché l’onda d’urto avrebbe abbattuto anche quelli.
In ogni caso non si è ancora riusciti a chiarire quale fine abbiano fatto Mohenjo-daro e i suoi abitanti. Il mistero resta e c'è da augurarsi di poterne sapere di più in futuro.
Si attendono ulteriori testimonianze da nuovi e decisivi ritrovamenti, ma al momento non è semplice. Dopo la scoperta degli anni 20, infatti, molti edifici riportati alla luce sono stati danneggiati dagli eventi atmosferici, ed anche per questo, da anni, gli scavi archeologici sono fermi e si effettuano solo interventi di conservazione.
Eppure su quei lontani avvenimenti aleggia un conturbante mistero, specie quando si pensa alle testimonianze delle antiche scritture. Negli antichi testi indiani – come in quelli di altre religioni– esistono infatti riferimenti a guerre che hanno coinvolto dei e uomini, con l’utilizzo di armi divine talmente potenti da poter distruggere intere città.
Il Mahābhārata e il Rāmāyaṇa
Secondo alcuni ricercatori, proprio a vicende come quella di Mohenjo-daro potrebbero fare riferimento i racconti del Mahābhārata e del Rāmāyaṇa - testi sacri dell’Induismo – che parlano di intere città distrutte a causa di armi micidiali da cui scaturivano incredibili energie, e di macchine volanti (i Vimana) manovrate da esseri definiti Dei ma che potrebbero essere stati invece – sostiene qualcuno - degli antichi astronauti giunti da altri pianeti.
“Scorgemmo nel cielo una cosa che sembrava una nube luminosa, come delle fiamme di un fuoco ardente. Da questa massa emerse un enorme Vimana scuro che lanciò dei bolidi fiammeggianti. Si avvicinò al suolo a velocità incredibile, lanciando delle ruote di fuoco”, si legge letteralmente nel Mahābhārata.
Mentre il Rāmāyaṇa riporta: “Quel carro si muove da sè, era tutto lucente e dipinto: aveva due piani e molte finestre molte camere e tante bandiere. Mentre volava emetteva un suono melodioso che sembrava un mormorio”. E ancora: “Improvvisamente si levò un grande vento che fece tremare le montagne, e si vide una fiamma di fuoco che navigava nell’aria”.
Secondo molti studiosi tali antiche scritture, riecheggiando quelle contenute negli antichi testi sumeri ed anche nella nostra Bibbia, confermerebbero le teorie su antichi viaggiatori spaziali giunti sulla Terra in periodi remoti. Viaggiatori che, talvolta, si sarebbero scontrati ed affrontati in combattimento con le loro navi volanti, coinvolgendo anche gli antichi terrestri, facilmente soggiogati con l'ausilio delle loro tecnologie avanzate.
Favole da sognatori o una storia diversa da quella ufficiale ancora da scoprire completamente? Anche in questo caso le opinioni si dividono e la dura contrapposizione decolla. L'affascinante mistero, invece, resta.
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