All’apertura del sepolcro una fiamma che si spegne poco dopo: il mito arcano delle lampade perenni
Sono tante le leggende di crepuscolari tombe, grotte o santuari dove sarebbero state viste brillare senza fonti di alimentazione. Uno dei casi più strani riguarda il rinvenimento del sacello del gigante Pallante di cui parlano Boccaccio e Virgilio. Cosa si cela dietro la leggenda
Molti sono i miti in circolazione, alcuni davvero singolari, come quello delle lampade perenni. Fiamme o luci accese, destinate - secondo la credenza - a durare in eterno. Ne parlano tanti viaggiatori del passato e ne conservano la memoria svariati popoli, che tramandano i racconti di crepuscolari tombe, grotte o santuari dove sarebbero state viste brillare. Sarà solo il retaggio di leggende popolari, ma l’argomento è certamente accattivante.
Testimonianze letterarie
Del resto esistono perfino delle tracce storiche. Secondo Pausania, nel tempio di Minerva ad Atene, c’era una lampada d’oro che ardeva continuamente senza bisogno di alimentazione.
Mentre Sant’Agostino nella sua opera La città di Dio (XXI, 6, 1) accenna a una fiamma perpetua, accesa dalla notte dei tempi, in un luogo consacrato a Venere. In verità – è giusto precisarlo - il santo cristiano mette le mani avanti e parla di probabile diceria. Fa riferimento, tuttavia, a un candelabro con una lucerna che ardeva allo scoperto senza che alcuna tempesta o pioggia riuscisse a estinguerla.
Un’altra testimonianza celebre risale al 1540, anno di ritrovamento a Roma della tomba di Tulliola, figlia di Cicerone. La tradizione sostiene che dentro il sacello fu trovata una lampada ancora accesa che si spense poco dopo l’apertura. Quanta verità può esserci in questi racconti? E’ difficile saperlo.
Leggende simili riguardano anche la scoperta dei sepolcri di uomini toccati dalla santità.
I resti del gigante Pallante
Uno dei casi più strani, però, riguarda il rinvenimento, in epoca medievale, della tomba del gigante Pallante, di cui parla il Boccaccio - aggiungendosi a Virgilio - nella Genealogia delle stirpi degli Dei. La leggenda vuole che accanto a uno scheletro enorme ci fosse una lucerna ardente con perfetto fuoco, né poteva essere estinto con soffiare, né gittargli sopra acqua. Finalmente, fattole di sotto nel fondo un forame si estinse.
Pallante, ritenuto più alto delle mura di Roma, considerato, da certa tradizione, figlio di Evandro, fu ucciso in battaglia da Turno, l’eroe rutulo citato nell’Eneide.
Motivi naturali e creduloneria
Ovviamente simili racconti intrisi di leggenda possono affondare le radici in fenomeni naturali come fiamme sprigionate da sfiati di gas o fosforo. Cosa che, in certe condizioni, potrebbe effettivamente scatenare fiamme destinate ad ardere per lungo tempo, ma per motivi prettamente naturali.
Senza dimenticare, naturalmente, il ruolo esercitato probabilmente dalla creduloneria popolare e dalla suggestione.
Del resto sono famosi i casi delle lampade di Cassiodoro e Cardano che i più suggestionabili credevano eterne e capaci di ardere senza alimentazione, mentre, invece, prelevavano gradualmente l’olio da contenitori ben celati in maniera da ingannare i sempliciotti.
Significati spirituali
Il mito della lampada eterna, inoltre, sembra porsi in rapporto semplicemente con aspirazioni e significati spirituali.
La lampada rappresenterebbe, da questo punto di vista, l’immagine dei tre elementi dell'uomo: il corpo (parte materiale e passeggera), l'anima (potenza vitale rappresentata dall'olio) ed infine lo spirito, l'anima vera e propria (parte immortale, rappresentata dalla fiamma).
La fiamma potrebbe prefigurare, a voler semplificare, lo spirito che si mette sotto la protezione della divinità.
Un po’ lo stesso motivo per cui nelle chiese cattoliche, anche oggi, è possibile trovare lampade votive che ardono giorno e notte sotto le statue o le immagini di santi, della Madonna o di Gesù Cristo. Si tratterebbe, in definitiva, del tentativo di trasporre l’uomo nell’immagine della lampada, rendendolo presente in spirito davanti alla “divinità” nella forma della fiamma.
Inoltre, accanto alla speranza della sopravvivenza dell’essenza spirituale di chi è passato a miglior vita, si mira a fornire un segno tangibile della presenza amorevole, di chi resta, rispetto al defunto.
Diventa così importante l’evidenziazione dei simboli del proprio culto nei segni e nelle decorazioni della lampada. Il fuoco poi ha significati molto potenti, tanto che nella cultura pagana veniva considerato straordinario mezzo di purificazione e strumento per allontanare i demoni.
L'uso continuò col cristianesimo
Per questo si accendevano luci nei luoghi dove si trovavano, prede della morte e della corruzione della carne, le salme. L'uso continuò nel cristianesimo, ma soprattutto agli inizi ciò fu contrastato dalla gerarchia che vi vedeva un pericoloso elemento paganeggiante. La luce accesa davanti ai morti tuttavia prese col tempo altri significati e si diffuse, consolidandosi anche nel rituale cristiano.
Il culto dei martiri nel IV e V secolo volle la lampada davanti alle spoglie dei santi e, in genere, i ceri posti accanto al feretro contraddistinguevano la morte di un bravo cristiano. Indicavano in sostanza che il defunto era vissuto e morto nella luce della fede.
Ma la fiamma diventa man mano, nel culto cristiano, anche simbolo di vita, fede e resurrezione. Entra di conseguenza nella liturgia il cero. Quello pasquale o che accompagna la processione della Purificazione e del Corpus Domini, che viene presentato agli aspiranti sacerdoti, utilizzato per il Battesimo o consegnato agli sposi.
Senza contare, ovviamente, l'uso attuale delle luci davanti ai sepolcri. Usanza collegata dunque a un rituale antichissimo del culto dei morti di cui, evidentemente, la religione cristiana ha serbato (e probabilmente mutuato) il ricordo.