Lampade in un tempio di 3.500 anni fa: gli egizi forse conoscevano l'elettricità
Nelle antichissime cripte scoperte dall'archeologo Mariette ci sono dei bassorilievi enigmatici. Secondo alcuni riprodurrebbero un sistema tecnologico corrispondente al tubo di Crookes. Addirittura c’è chi pensa che lo scienziato ne sia stato ispirato. La versione ufficiale. Le coincidenze incredibili

Il tempio egizio di Hator a Dendera, nei pressi di Tebe, risulta edificato secondo la scienza archeologica ufficiale intorno al 300 a.c. La sua parte interrata però potrebbe risalire addirittura a prima del 1.400 a.c. In quell’antichissimo sito, proprio nelle cripte rinvenute sotto il suolo nel 1857, l’archeologo Auguste Mariette trovò qualcosa che ancora oggi continua a far discutere appassionati ed esperti.
Una volta ripuliti dalla sabbia che nei secoli li aveva invasi, i locali sotterranei apparvero agli esterrefatti studiosi ricoperti di lastre di pietra scolpite con singolari bassorilievi. Un luogo dotato di un fascino conturbante che anche oggi non lascia indifferente chi ha la fortuna di visitarlo.
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Le lampade di Dendera
La stessa collocazione delle raffigurazioni di cui si parla è intrigante. Per raggiungerle si scende in un cunicolo angusto e, alla fine, si giunge dove c’è l’iscrizione geroglifica con quelle che molti considerano… delle vere e proprie lampade. Lampade alimentate da qualche forma di energia, plausibilmente - ritengono certi studiosi - da energia elettrica. In effetti quanto raffigurato in una delle lastre di Dendera ha acceso da tempo l’attenzione e la fantasia di molti appassionati. Bisogna riferirsi alla lastra perché le altre, prima presenti nel tempio, sarebbero state – si dice - trafugate o comunque smontate per motivi poco chiari.
Gli enigmatici reperti
Ma torniamo a ciò di cui si discute. Perché le antiche raffigurazioni potrebbero rappresentare delle lampade? Ad un primo sguardo si notano in effetti incredibili corrispondenze con moderni apparati elettrici.

Da decenni si parla di questi enigmatici reperti. In particolare da quando nel 1894 Sir Joseph Norman Lockyer, scienziato e astronomo inglese, fondatore della prestigiosa rivista scientifica Nature, e primo studioso ad affermare che Stonehenge ed altri monumenti megalitici avevano una valenza astronomica, disse che poteva trattarsi di lampade elettriche ad incandescenza, simili ai tubi di Crookes. Cosa che spiegherebbe, per altro, come facessero gli antichi egizi a lavorare dentro luoghi completamente privi di luce senza lasciare tracce di fuligine.
Le lampade di Dendera quindi documentavano a suo avviso la conoscenza della elettricità da parte degli antichi egizi. Da dove derivasse quella conoscenza resta ovviamente un mistero, ma da quel momento molti ne seguirono la scia.
A qualche metro di distanza dal bassorilievo in questione, ci sarebbe perfino la riproduzione – si fa notare - di una sorta di accumulatore collegato a fili elettrici. Senza contare un’altra figura che rappresenterebbe una sfera con un simbolo che ricorda quello dell'energia (a zig zag).
Il tubo di Crookes
E qui si tirano in ballo particolari coincidenze, perché Crookes creò il suo famoso tubo una decina di anni dopo la scoperta di Dendera. Cosa che indusse i sostenitori della teoria delle tecnologie appartenute agli antichi, a sostenere che lo scienziato potrebbe essere stato addirittura ispirato dalla scoperta fatta da Mariette nel tempio di Hator.
Ma cos'è il tubo di Crookes? In sostanza si tratta di un apparecchio in grado di emettere radiazioni, di un tubo elettronico a catodo freddo in grado di produrre nientemeno che raggi X.

La versione degli archeologi canonici
Quanto riprodotto nella lastra di Dendera - ad avviso di altri studiosi - potrebbe anche essere qualcosa di più scontato, travisabile dalla mente umana. Bisogna dire, infatti, che l’archeologia canonica interpreta quei bassorilievi semplicemente come simboli della mitologia egizia. La raffigurazione del serpente primordiale che nasce da un fiore di loto. Niente più che un mito perfettamente noto, insomma. Mentre il sostegno (lo Zed), simbolo ricorrente nell'arte egiziana, sarebbe riferibile a Osiride e ne raffigurerebbe la spina dorsale. La scena sarebbe in definitiva assolutamente spiegabile in relazione ai canoni di quei tempi, come gli altri geroglifici del luogo.
L'altra versione
Altri studiosi però non interpretano la raffigurazione come un grande fiore di loto. Vi vedono altro. Sostengono che il gambo è lungo e flessibile tanto da somigliare più a un filo che al gambo di un fiore. Senza tralasciare il fatto che il sostegno, definito parte della colonna dorsale di Osiride, potrebbe ben essere invece un componente elettrico con un avvolgimento, guarda caso, assolutamente simile a quello necessario per far funzionare la lampada di Crookes.
All’estremità vi è raffigurato inoltre un dio con due pugnali in mano, in una posizione che sta a significare pericolo. E, guarda caso, proprio in corrispondenza di quel punto nel tubo di Crookes escono i raggi X.
Ci sarebbe poi un’altra coincidenza incredibile: nel geroglifico si vede un serpente racchiuso dentro il disegno, all’interno di quella che viene identificata come una lampada. La cosa singolare? Quando si guarda all’interno del tubo di Crookes, allo scorrere dell'energia, si sviluppa proprio una sorta di serpente che sembra del tutto uguale a quello raffigurato nell'antico tempio egizio. Solo coincidenze? Ognuno può trarre le conclusioni che ritiene più appropriate. In ogni caso, sull'affascinante enigma di Dendera, resta pienamente aperta la discussione.