“Ammontavano all’80 per cento i casi di fabbricazione e falsità dei dati pubblicati su riviste scientifiche”

Lo evidenziò nel 2005 l'epidemiologo della Stanford University John Ioannidis. La scienza è sempre trasparente? E’ attualissimo, sotto questo aspetto, il "Manifesto per un'educazione civica alla scienza", scritto da Nico Pitrelli e Mariachiara Tallacchini

“Ammontavano all’80 per cento i casi di fabbricazione e falsità dei dati pubblicati su riviste scientifiche”
TiscaliNews

Il discorso è quanto mai attuale in questo periodo storico. La scienza è sempre trasparente e al di sopra di ogni sospetto? Si può parlare di una società basata sul sapere scientifico che sia però anche democratica? Sembra essere questa la comunità cui anelano le popolazioni occidentali, prescindendo dalle urlate e variegate istanze dei leoni da tastiera. Semplice a dirsi, molto complesso il farlo. La pandemia ha mostrato la corda di un aspetto del più vasto mondo della science policy (politica della scienza): le modalità con cui questa comunica con e ai cittadini. Dunque, attuale e necessario può risultare il Manifesto per un'educazione civica alla scienza, scritto da Nico Pitrelli, responsabile comunicazione della Sissa di Trieste, di formazione scientifica, e Mariachiara Tallacchini, docente di Filosofia del Diritto all'Università Cattolica di Piacenza.

Un libro - con corposa bibliografia - che è un excursus a volo d'uccello sul rapporto tra scienza e collettività e (ambisce a diventare) punto di riferimento per studiosi e politici. Non avaro di autocritica dove necessaria, nella visione di una società trasparente, chiara, sincera, il Manifesto ricorda che sin dalla fondazione della British Association for the Advancement of Science (1831) e dell'American Association for the Advancemente of Science (AAAS, 1848), la scienza tenta continui approcci per relazionarsi con i profani, mal celando il pregiudizio di detenere (e voler esercitare) un potere. La cultura in materia appartiene alle due suddette principali scuole di pensiero, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti.

Entrambe basate su impliciti presupposti di correttezza morale individuale, integrità delle organizzazioni scientifiche e inconfutabili competenze. Solo verso la fine degli anni '50 del secolo scorso l'impostazione ha una virata democratica, anche grazie al filosofo ungherese Michael Polanyi e al sociologo americano Robert Merton. Fin quando nel 2005 l'epidemiologo della Stanford University John Ioannidis non rese noto che i casi di fabbricazione e falsità dei dati e di irriproducibilità delle conclusioni degli articoli pubblicati su riviste scientifiche ammontavano all'esorbitante cifra dell'80 per cento.

E' passato tanto tempo, la situazione è migliorata ma è rimasta irrisolta, le domande sono sempre le stesse: gli scienziati devono entrare attivamente nella contesa politica o tale coinvolgimento ne compromette l'obiettività? Quali sono le corrette modalità per comunicare con i cittadini? Interrogativi quanto mai attuali, vista la disastrosa comunicazione della scienza nel periodo della pandemia.

La politica ha cercato disperatamente nella scienza le risposte granitiche che avrebbero rassicurato i cittadini, ma gli scienziati vagolavano nell'incertezza, sostantivo che non compare nel vocabolario della politica. E nemmeno nelle ammissioni degli scienziati. Ma comunicare sicumere e superiorità tanto finte quanto presuntuose ha soltanto creato disorientamento e panico nei cittadini, lasciando spazio a variopinti complottismi e profonde lacerazioni sociali. Con relativo discredito nello Stato e nella Scienza. Certo, è difficile indicare un modello: non ha funzionato quello basato sul pensiero che i cittadini non possono capire e non ha funzionato nemmeno quello contrario, a marca svedese durante la pandemia, che non prevedeva obblighi.

La soluzione? La scienza progredisce per tentativi, ripone nell'incertezza e nella costanza la sua forza, riconoscere questi limiti con i suoi errori può essere il primo passo per un sapere scientifico capace di apparire affidabile. Animato dal fondamentale principio europeista di precauzione, nella prospettiva di meglio proteggere i cittadini, e nella speranza che prossima pandemia trovi tutti più preparati.