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Scoperto il dipinto rupestre di un Dicinodonte: come faceva il popolo San a sapere com'erano fatti?

Quel rettile erbivoro si sarebbe estinto 200 milioni di anni fa. La prima descrizione sulla base di resti fossili risale al 1845. Esploratori e missionari europei riportarono racconti della tribù su “creature strane” e testimonianze su gigantesche impronte

di I.D. Tiscali Cultura   

Un incredibile ritrovamento archeologico fatto in Sudafrica ha destato scalpore e alimentato molteplici teorie. E’ stata portata alla luce, infatti, una pittura rupestre risalente a non più di due secoli fa, che rappresenterebbe un Dicinodonte. Cosa c’è di straordinario? Che si tratta di un rettile erbivoro estintosi – secondo la scienza ufficiale - oltre 200 milioni di anni fa. Il dipinto, realizzato nei primi anni del 1800, è stato rinvenuto nel sito di La Belle France, nella provincia del Free State, e si trova su un pannello noto come Horned Serpent Panel. Quest'opera d'arte indigena è attribuita al popolo San, una comunità di cacciatori-raccoglitori nota per le sue raffinate rappresentazioni artistiche e la profonda conoscenza dell'ambiente circostante. Ma com’è possibile che tale popolazione conoscesse l’antico animale se la prima descrizione sulla base di resti fossili risale al 1845? La cosa è quantomeno sorprendente.

Massiccio, becco corneo e zanne verso il basso

Il Dicinodonte, appartenente al gruppo dei terapsidi, era caratterizzato da un corpo massiccio, un becco corneo e due zanne prominenti rivolte verso il basso. Queste creature vissero tra il Permiano e il Triassico e sono considerate antenati dei mammiferi moderni. La rappresentazione nel dipinto mostra un animale con caratteristiche simili, suggerendo che i San potrebbero aver osservato fossili di dicinodonti affioranti dal terreno integrandoli nella loro arte e nella loro mitologia.

Il Dicinodonte (Ricostruzione AI)

La cosa sorprendente

Questa scoperta è particolarmente significativa poiché la pittura – come accennato - precede di decenni la prima descrizione scientifica occidentale dei Dicinodonti, avvenuta nel 1845 ad opera del paleontologo britannico Richard Owen. Ciò suggerisce che le popolazioni indigene avessero una forma di paleontologia ancestrale, se è vero che riuscivano a interpretare e rappresentare i resti fossili ben prima dell'arrivo della scienza moderna. Cosa già per sua essenza sosrprendente.

Il bacino del Karoo, dove si trova il sito di La Belle France, è noto per l'abbondanza di fossili di Dicinodonti. È plausibile che i San abbiano scoperto questi fossili erosi dal terreno e li abbiano interpretati come creature mitiche o spirituali, integrandoli nelle loro credenze e nell'arte rupestre.

Da questo punto di vista la scoperta offre una nuova prospettiva sulla connessione tra le antiche popolazioni e il mondo naturale, evidenziando come l'osservazione e l'interpretazione dei fossili abbiano influenzato la cultura e l'arte ben prima dello sviluppo della paleontologia come disciplina scientifica.

Sopravvissuti in ambienti remoti

Ovviamente non mancano altre teorie sui Dicinodonti immortalati nel dipinto dei San. Secondo un certo orientamento, infatti, questi grandi rettili erbivori del Permiano e Triassico, potrebbero essere sopravvissuti fino a tempi storici in Sudafrica. Si tratta di una teoria affascinante ai margini tra paleontologia e criptozoologia. Alcuni studiosi, appassionati e ricercatori indipendenti hanno proposto che alcuni racconti del popolo San (i Boscimani del Kalahari) potrebbero riferirsi a osservazioni di Dicinodonti o animali simili, sopravvissuti in ambienti remoti. Del resto ci sarebbero anche altri elementi a favore di tale ipotesi.

L’idea della possibile sopravvivenza dei Dicinodonti fino a un’epoca recente nasce da alcuni resoconti del XIX e XX secolo nella regione già citata del Karoo, un’area nota per i suoi straordinari giacimenti fossili del Permiano-Triassico. Infatti, alcuni esploratori e missionari europei riportarono racconti dei San su creature strane, descritte come grandi, tozze, con pelle rugosa e zanne, spesso notturne o elusive. Tali resoconti vennero inevitabilmente associati alle figure stilizzate dell’arte rupestre San, che raffigurano animali apparentemente diversi da quelli attuali della fauna africana. Alcuni affermarono anche di aver visto impronte anomale nella regione.

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Ipotesi criptozoologica e i limiti scientifici

Questa teoria rientra nel campo della criptozoologia: lo studio di animali la cui esistenza è ipotizzata ma non confermata scientificamente (come il Mokele-Mbembe, il Bigfoot o lo Yeti, per esempio). I problemi principali dell’ipotesi della sopravvivenza del “Dicinodonte” sono dati dall’assenza totale di resti recenti o subfossili: non sono mai stati trovati scheletri, ossa, peli, feci o DNA riferibili a Dicinodonti in strati geologici moderni.

C’è poi da considerare l’ambiguità delle fonti orali: le tradizioni orali dei San sono in verità ricche di simbolismi, spiriti animali e metamorfosi. Alcuni studiosi ritengono che le creature strane siano piuttosto entità mitologiche, non animali reali. Da tener presente inoltre la possibilità di confusione con altri animali: ippopotami, facoceri o addirittura rinoceronti che potrebbero essere stati male interpretati o stilizzati nell’arte rupestre.

Va detto, comunque, che nonostante sia scientificamente improbabile, la teoria in questione stimola il dialogo tra scienza e mito, invita a una maggiore attenzione verso il patrimonio etnografico e naturalistico dell’Africa australe e – perché no - ricorda che molte scoperte naturalistiche partono da racconti locali che prima venivano ignorati (es. okapi, celacanto). La sopravvivenza dei Dicinodonti - secondo la paleontologia moderna - è altamente improbabile, ma la teoria, in ogni caso, affascina per il suo intreccio di mistero, cultura indigena e memoria del profondo passato della Terra.

di I.D. Tiscali Cultura   
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