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Come c'è finita nel 200 d.C. una miniatura di Alessandro Magno in Danimarca e cosa c'entra Caracalla?

Il reperto è stato scoperto a Ringsted, sull'isola di Selandia. Probabilmente ha però dei legami con i romani del periodo. Restano tuttavia molte domande aperte

Ignazio Dessi'di Ignazio Dessi'   
(Foto miniatura Morten Petersen, Museo Vestsjælland - altra Ansa)
(Foto miniatura Morten Petersen, Museo Vestsjælland - altra Ansa)

Un piccolo raccordo in bronzo, probabilmente un disco inserito un tempo al centro di uno scudo, ha destato molta sorpresa dopo il suo ritrovamento a Ringsted, nell’isola danese di Selandia. L'oggetto è particolare e raro perché vi è raffigurato uno dei più grandi condottieri della storia: Alessandro Magno. Ciò vuol dire che il re macedone era conosciuto e ammirato anche da quelle parti. La sua fama era del resto enorme.

Il mito di Alessandro Magno

Non è esagerato ritenere Alessandro (356-323 a.C.) uno dei più grandi comandanti militari dell'antichità, creatore di un impero che, alla sua morte precoce avvenuta a 32 anni, si estendeva dalla Grecia all'India. La sua figura divenne leggenda e fu ricordata per centinaia di anni dopo la scomparsa fungendo da modello da imitare per gli imperatori romani. A tal punto che qualcuno, come Caracalla, affermava di esserne la reincarnazione e si faceva raffigurare con uno scudo contenente il ritratto del Macedone.

E proprio durante il regno di questo tirannico imperatore romano due eserciti germanici si scontrarono a Illerup Ådal vicino a Skanderborg. La battaglia è ricordata come molto dura e sanguinosa, con molte vite sacrificate, e alla fine archi, frecce, spade e scudi rimasti a terra furono offerti agli dei e poi gettati nel lago.

Nel corso di ricerche e scavi effettuati sul fondo del bacino d’acqua alcuni scudi ornati di minuscoli dischi decorativi con ritratti di guerrieri sono tornati alla luce insieme ad altri 16mila reperti archeologici. Uno di questi dischi, in argento, contiene una inconfondibile immagine di Alessandro, identica al ritratto rinvenuto a Ringsted.

Il condottiero è riconoscibile dalle ciocche ondulate di capelli e dalle corna di ariete accanto alle orecchie. Ma come è potuto finire in terra danese quel prezioso gingillo? Gli studiosi ritengono che il piccolo disco bronzeo possa essere collegato ai romani.

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Un "pezzo straordinario"

In Scandinavia è la prima volta che viene trovato un reperto del genere, come spiega Freerk Oldenburger, archeologo del Museum Vestsjælland. Secondo lo studioso i manufatti furono prodotti intorno al 200 d.C., l’età del ferro romana.

Oldenburger ha definito “straordinario” il pezzo, confermando la presenza degli attributi tipici con cui è rappresentato solitamente Alessandro Magno. “Quando è apparso sul mio tavolo, sono quasi caduto dalla sedia , perché è quasi identico all’altro ritratto, anche se questo è un po’ più grezzo e realizzato in bronzo fuso e non in argento dorato“, ha concluso.
 
Del ritrovamento sono stati sorpresi ed emozionati anche i due archeologi dilettanti che ne sono stati protagonisti, Finn Ibsen e Lars Danielsen. All’inizio – confessano – non si erano resi conto di cosa avevano trovato. “In realtà è stato solo quando abbiamo consegnato il reperto e siamo stati chiamati da Freerk che la verità è venuta fuori. Tornare indietro di 2000 anni, comunque, crea grande eccitazione”.

Il “sigillo” di Ringsted lascia aperte molte domande.

Quale era la sua esatta funzione? Era solo un dischetto decorativo di uno scudo o un supporto per la spada? Chi l’ha fuso? Sono stati i romani, oppure è stato fuso in Selandia? E se apparteneva a romani com’è finito in una campagna vicino a Ringsted? E che significato poteva avere per i tedeschi che vivevano in Danimarca nel 200 d.C. il ritratto di Alessandro? Forse pensavano potesse portar fortuna sul campo di battaglia? E se il reperto fosse davvero collegato all’antica Roma, come ha fatto ad arrivare fino in quell’isola della Danimarca?

Gli archeologi non ne hanno la certezza, non escludono che le rotte commerciali dell’epoca fossero in grado di mettere in comunicazione le due società.
 
In ogni caso, proprio il velo di mistero che circonda il reperto archeologico ritrovato può essere di stimolo a studiarlo e analizzarlo a fondo per carpirne i segreti. 

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