Gianluca Arcopinto: l'anima indipendente di un cinema che rischia l'estinzione
Lui è l'archetipo contemporaneo, il modello non vincente, non perdente, non allineato; quello che è stato motore del cambiamento, ma che ha ancora le mani sporche di grasso perché lavora attivamente. L'intervista
Ho conosciuto Gianluca Arcopinto durante il lock down, in occasione di un corso di perfezionamento presso la Fondazione "Fare cinema" di Piacenza, diretta da Marco Bellocchio. Circa mille ore, che si sarebbero dovute tenere in presenza, ma che per cause note a tutti sono diventate “zoomate” che ci hanno unito nel periodo di cattività.
Prima di allora, avevo sempre letto il suo nome nei titoli di coda di una miriade di film di alcuni dei miei registi favoriti degli ultimi tre decenni, soprattutto nelle loro opere prime.
Ho scoperto dopo che Arcopinto era ed è un produttore vecchio stile, appartenente a quella scuola di un cinema artigianale che va scomparendo in nome di un cinema che ha il sapore del discount, l'odore delle major internazionali e le sfumature delle Meduse ma non della tradizione epica studiata a scuola.
Arcopinto è un cinema che esiste e resiste: è il cinema della periferia che si riappropria del centro prepotentemente; è egli stesso periferia che diventa resistenza. Se esiste un cinema apolitico che fa politica è il suo.
Difficile sottrarsi ai suoi insegnamenti che ti scorrono una volta che ti contaminano inevitabilmente (anche in Rastros e Visus, documentario del Teatro Dallarmadio di e con Fabio Marceddu regia e musiche originali Antonello Murgia per Rai Sardegna le sue parole sono state da guida nei momenti bui).
Lui che ha messo la firma in tantissime opere a partire da quel “Il caricatore”, che dal 1997 ha segnato un termine in assoluto di un Nuovo cinema d'autore indipendente italiano.
Lui che ha condiviso parte della sua strada iniziale con Domenico Procacci della casa di produzione Fandango; lui che schivo è riuscito a non scendere a troppi compromessi, che ha rappresentato e rappresenta un maestro per tutti i vari Rovere, Munzi, Muccino, Mereu e tanti tanti altri.
Lui che è docente in moltissime accademie, a partire dalla Scuola Provinciale di Roma Gian Maria Volontè, fino al Centro Sperimentale di Cinematografia; lui che è anche autore di libri, regista e ogni tanto diciamolo disturb-attore.
Nella prima serie di Gomorra è stato uno dei produttori esecutivi, uscendo dal progetto prima che vedesse la luce, avvertendo il pericolo che diventasse un modello pericoloso, un anti modello o modello rovesciato imitabile e a cui ispirarsi.
Arcopinto è fortemente legato al contemporaneo, ma anche alla sua terra ed ha un legame speciale con la Sardegna, dove spera - quando passerà a miglior vita che le sue ceneri siano sparse sul Monte Corrasi (uno dei luoghi più affascinanti magici e incontaminati dell'interno della Barbagia sarda).
Il suo nome è legato a doppia mandata ai registi i cui cognomi iniziano con la lettera M (citiamo Mereu, Manuli, Marengo, Muccino, Munzi).
Altro pilastro della sua vita è il calcio che rappresenta per lui una passione anzi direi uno dei due binari della sua vita artistica (quando il calcio diventa teatro contemporaneo, per citare il parallelo di Carmelo Bene, che paragonò la relazione e il tipo di coinvolgimento fra i calciatori e il pubblico negli stadi a quella della tragedia greca).
Lo abbiamo incontrato nella sua casa a Roma, rapiti dal suo sorriso burbero infantile che nasconde una costante voglia di gelato e ci siamo fatti una chiacchierata con lui.
Nasci a Roma di genitori campani, già possiamo dire che il sud, e tutti i suoi colori ti hanno posseduto e accompagnato e contaminato nel tuo percorso formativo.
"Mio padre era di Napoli. Mia madre di Roma. Non credo che questo significhi qualcosa. Mi sento più vicino al sud, ma più per motivi intimi che di provenienza. In Italia il sud è stato sempre considerato perdente. E io amo i perdenti, i deboli, gli sconfitti. Quelli che hanno la dignità di essere tutte queste cose e di andare avanti"
Quali sono stati i tuoi modelli di riferimento nel campo della produzione?
"Non credo di avere avuto dei modelli di riferimento. Ho sempre ammirato Franco Cristaldi, ma non ho mai avuto la spudoratezza di viverlo come un modello operativo. Troppo grande. Troppo diverso da me per nascita, formazione e risultati"
Se dovessi definire il cinema autonomo come lo definiresti?
"Il cinema autonomo per me è un cinema che non ha bisogno di alcun vincolo finanziario. È libertà"
E il cinema indipendente?
"Non lo so, è una definizione tecnica che vale per tutti o quasi i produttori italiani"
Quand'è che il cinema italiano secondo te ha smesso di essere un luogo di condivisione ed è diventato un “prodotto del biscione”
"Non lo so. Sicuramente è cambiato sostanzialmente negli ultimi quindici anni. Senza riuscire a capire quale sia stato il punto di svolta"
Fra i film che non hai “prodotto” quali vorresti aver prodotto e perché?
"Ho sempre temuto di avere avuto la sceneggiatura di Private di Saverio Costanzo prima che venisse realizzato. Ma per fortuna non è stato così. L’avrei rimpianto per sempre. Mi sarebbe piaciuto produrre Guerra di Pippo Delbono. E oggi l’esordio di Federico Russotto. O di Ernesto Censori. O di Lorenzo Vitrone. Giovani interessantissimi, che probabilmente non produrrò, perché oggi sono un produttore molto debole. Per scelta"
Fra i film che hai prodotto quali non avresti voluto produrre e perché?
"Nessuno"
Hai tre figli, alcuni ormai in età “croccante adolescenziale” come vedi che loro vedono il mondo audiovisivo?
"Sono diversissimi, non solo a causa dell’età che sono diverse ma molto ravvicinate. 21, 18 e 16. Nessuno dei tre è un fanatico sfrenato. Sono spettatori assidui: uno troppo selettivo un altro, distratto l’altro ancora. Uno o più tra loro prima o poi farà cinema. Io li osserverò da lontano. Trepidante. Rispettando le loro scelte e i loro sogni. Accettando le loro sconfitte. Come per me deve fare un padre. Se invece non dovesse accadere, farò lo stesso per qualsiasi cosa vorranno fare"
Fra tutti i registi che hai conosciuto, fra quelli che sono passati a “vita altra”, qual è quello a cui ti senti più legato?
"A livello strettamente cinematografico Federico Fellini. A livello strettamente umano Ettore Scola e Citto Maselli, che ho anche conosciuto, e siamo stati “a mio modo” amici"
Gianliuca Arcopinto, sei laureato in Lettere, sei un calciatore mancato, che calcia ancora tanto, sei un produttore raro, come vedi il mondo del'audiovisivo da qui a vent'anni?
"In continua evoluzione. Sempre più distante da me. Ma è naturale che sia così. Io sono troppo vecchio per inseguire un futuro. È per questo che insegno. Ecco, mi piace accompagnare chi il futuro lo costruirà, finché me lo permetteranno"
Note dell'autore
Se dovessi definire un archetipo, Lui è l'archetipo contemporaneo, il modello non vincente, non perdente, non allineato; quello che è stato motore del cambiamento, ma che ha ancora le mani sporche di grasso perché lavora attivamente; quello che sostiene dietro le quinte senza avere l'ansia di apparire, quello che si definisce produttore debole ma che quando parla, ti dà una forza incredibile.
Se c'è un cinema possibile, auspicabile, che guarda al futuro io lo voglio immaginare con tutte le sfumature dell'arcobaleno, anzi dell'ARCOPINTO.