Sono sempre in aumento: il mondo degli Hikikomori, la rinuncia alla socialità, il ritiro dalla vita
Il fenomeno studiato in Giappone è ormai una realtà preoccupante anche in Italia. Almeno 54.000 hanno scelto di lasciare gli studi per chiudersi nella propria stanza, rinunciando al mondo esterno

Il numero di giovani e giovanissimi che decidono di interrompere qualsiasi relazione sociale e rifugiarsi in casa è in allarmante aumento. L’indagine condotta dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Ifc) ha rivelato che almeno 54.000 hanno scelto di lasciare gli studi per chiudersi nella propria stanza, rinunciando al mondo esterno. Ogni anno viene condotto uno studio chiamato ESPAD®Italia (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs), che coinvolge oltre 12.000 studenti, che serve a monitorare i fenomeni di disagio e abuso di sostanze tra gli adolescenti.
Il fenomeno nasce in Giappone
Già da una decina d’anni l’attenzione di alcuni sociologi si era focalizzata su una tendenza all’isolamento da parte di tantissimi adolescenti. Si era erroneamente ritenuto che le cause fossero da ricercarsi nella forte competitività sociale che il Giappone impone in ogni ambito, da quello scolastico a quello lavorativo, ma probabilmente si tratta di un fenomeno più complesso, le cui radici affondano nella psiche del singolo individuo per poi declinarsi in tutti gli aspetti della vita sociale. L’età maggiormente a rischio è tra i 15 e i 17 anni, cruciali per la formazione relazionale. Di recente anche in Italia si è riscontrata questa forma di rifiuto di partecipazione alla collettività e un progressivo, talvolta anche repentino, allontanamento da qualsiasi coinvolgimento relazionale a partire dall’abbandono della scuola.
Perché isolarsi?
“Si evince una fatica diffusa nei rapporti coi coetanei - sostiene Sonia Cerrai, ricercatrice del Cnr-Ifc. caratterizzati da frustrazione e auto-svalutazione”. A differenza di ciò che si può pensare i motivi che portano al rifiuto sociale non sono quindi legati a episodi di bullismo o cyberbullismo ma piuttosto a un generale senso di inadeguatezza nella gestione del dialogo con i compagni di scuola. Molte delle persone intervistate si definiscono sole. Spesso il personale scolastico, così come i familiari, non sono in grado di cogliere i segnali del disagio. Per questo il prossimo 5 maggio si terrà a Torino un seminario organizzato dal Gruppo Abele, vincitore di un premio dell’Accademia dei Lincei con il progetto “Nove ¾”, che intende fornire strumenti e risposte all’isolamento degli adolescenti partendo dai loro interessi e dalla possibilità di aiutarli a uscire dalla clausura facendo leva su questi. Si partirà da attività di reintegrazione graduale in gruppi ristetti e poi più ampi, fino ad una normalizzazione e reinserimento nel mondo della scuola e delle relazioni sociali.
Famiglie impreparate
“Un altro dato parzialmente sorprendente riguarda proprio la reazione delle famiglie: più di un intervistato su quattro, fra coloro che si definiscono ritirati, dichiara infatti che i genitori avrebbero accettato la cosa apparentemente senza porsi domande - prosegue la Cerrai – e il dato è simile quando si parla degli insegnanti”. Dall’indagine emerge anche una percentuale discreta di famiglie che ha chiesto aiuto e anche di insegnanti che hanno segnalato i casi a rischio. Ma un altro dato allarmante è quello sulla durata delle fasi di isolamento. Sabrina Molinaro, ricercatrice Cnr-Ifc dice: “L’8,2% non è uscito per un tempo da uno a sei mesi e oltre: in quest’area si collocano sia le situazioni più gravi (oltre sei mesi di chiusura), sia quelle a maggiore rischio (da tre a sei mesi). Le proiezioni ci parlano di circa l’1,7% degli studenti totali (44.000 ragazzi a livello nazionale) che si possono definire Hikikomori, mentre il 2,6% (67.000 giovani) sarebbero a rischio grave di diventarlo”.
È necessario informare la collettività su questo fenomeno in modo da non trascurare eventuali segnali di malessere e poter prontamente intervenire per arginare il problema prima che diventi cronico. Una riflessione più profonda va fatta anche sul sistema di connessioni relazionali tra i più giovani e su come possano essere aggiustate dinamiche sociali che si rivelano difficili e ostiche per molte persone.