Intervista col vampiro compie trent’anni e non invecchia mai
Proprio come il mito che racconta anche la pellicola di Neil Jordan sembra essere immortale
La figura del vampiro è da sempre presente nel folklore di ogni paese: cambia forma, aspetto, a volte anche intenzioni ma appartiene ad un immaginario collettivo che si rinnova di epoca in epoca. E quando dal folklore è diventato personaggio letterario, con romanzi celebri come “Dracula” di Bram Stoker o “Carmilla” di Joseph Sheridan la Fanu, la sua forza si è consolidata ulteriormente, in attesa del passo successivo: il cinema.
Mantelli, canini e bagni di sangue
Quando il primo Dracula appare sul grande schermo ha il volto di Bela Lugosi, è il 1931, e da quel momento i vampiri diventano una presenza costante, con tantissime pellicole a loro dedicate e altrettanti tenebrosi interpreti: Christopher Lee, Frank Langella, Lon Chaney per citarne alcuni. Da eleganti damerini in smoking i non morti si trasformano, con “Nosferatu” (prima versione di Murnau del 1922, seconda versione di Herzog nel 1979) in esseri tormentati e inclini a una certa crudele e rassegnata bestialità, segnando la strada per altre saghe come “Subspecies” che dal 1991 al 1998 hanno presentato al pubblico l’agghiacciante vampiro Radu. Il vampiro muta epoca e aspetto, cavalcando il tempo e incarnando di volta in volta timori e piaceri della società che lo ospita. È il caso di “The Hunger”, tradotto in Italia con il fantasioso titolo “Miriam si sveglia a mezzanotte” che vanta Catherine Deneuve, Susan Sarandon e David Bowie nel cast e che proietta la figura del non morto negli anni ’80, tra fascinazione per libertinaggio e la necessità di nascondersi. E arriviamo al “Dracula” di Coppola, che rilancia il romanticismo che si cela dietro il vampiro primigenio, il suo attaccamento alla perduta sposa, inseguita nel tempo e reincarnata nella Mina inizialmente ingenua e poi sedotta. È il 1992 e a breve sullo schermo arriverà “Intervista col vampiro”, il film diretto da Neil Jordan con Tom Cruise, Antonio Banderas, Brad Pitt e una giovanissima Kirsten Dunst (subito candidata per la sua interpretazione ai golden globe a soli undici anni).
La forza di un film che non invecchia
Al di là del cast stellare schierato per un successo sicuro “Intervista col vampiro”, ispirato dall’omonimo romanzo del 1973 di Anne Rice, è costruito proprio per durare. E se anche certe leziosità possono apparire perfino kitsch in alcune scene, la rappresentazione iconica è garantita. I nostri vampiri viaggiano nel tempo, immutati, adattandosi, chi più chi meno, alla società che cambia ma soprattutto condividendo con il mondo il tormento dell’esistenza, che, nel loro caso, è una condanna per l’eternità. Le tracce di umanità, di rimorso, di tenerezza, si affiancano alla necessità impellente di nutrirsi, vita e morte sono collegate indissolubilmente ovunque si muovano e il dualismo, sempre presente nella figura di Louis (interpretato da Brad Pitt) fa da contraltare allo sfacciato atteggiamento onnipotente di Lestat (Tom Cruise). “Un vampiro dal cuore umano” viene definito Louis da Armand (Antonio Banderas), con una certa stupita ammirazione. In lui l’antico ricordo dell’umanità perduta, della sua famiglia morta a causa della peste, della tenuta di cui era a capo e dei servitori che contavano su di lui per la loro sopravvivenza, rende la natura di vampiro una ferita aperta. L’accettazione della parte ferina non è indolore, è intrisa di risentimento verso se stessi e verso il destino e questo rende la figura tragica e bellissima allo stesso tempo. Questo è forse il segreto che fa guardare a questo film, che spegne trenta candeline, con lo stesso conturbante interesse. Perché se c’è una cosa che il vampiro ha in comune con l’essere umano è proprio la persistenza del dubbio verso la vita stessa, anche nella nostra tecnologica e avanguardistica contemporaneità.