Gli italiani? Capiscono poco. La nostra nazione rivelata dai dati dell’Ocse
Non sappiamo fare calcoli matematici, interpretare grafici né comprendere testi lunghi
Un connazionale su tre non riesce a comprendere un testo se non breve non sa eseguire operazioni matematiche complesse, quasi la metà degli adulti non sa risolvere problemi se non elementari e solo in contesti familiari. Questo l’agghiacciante ritratto di un’Italia che sembra deludere sotto molti aspetti. L’impietosa analisi sul Paese che emerge nell'ultimo rapporto dell'Ocse, l'organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico, pubblicato il 10 dicembre: gli italiani sono agli ultimi posti tra le 160 mila persone comprese tra 16 e 65 anni dei 31 stati che hanno partecipato al test per capacità di comprensione di un testo, matematica e soluzione dei problemi.
Test su capacità di calcolo, interpretazione e tecnologia
Il rapporto Ocse si basa sulla somministrazione di un esame che valuta il contesto in cui i soggetti partecipanti vivono, lavorano, sono cresciuti e si sono formati, e la risposta a una serie di quesiti distribuiti su tre aree: literacy sulla capacità di “capire, valutare, utilizzare ed esaminare testi scritti per partecipare alla vita sociale, per raggiungere obiettivi e sviluppare conoscenza e potenziale umano”; numeracy, “l’abilità di accedere a, utilizzare, interpretare e comunicare informazioni e idee matematiche, per affrontare e gestire problemi di natura matematica in un certo numero di situazioni della vita adulta”, problem solving in ambienti tecnologicamente avanzati sulla “capacità di usare la tecnologia per risolvere problemi e compiere operazioni complesse”.
Risultati disastrosi
L'Italia ha un punteggio medio di 245 in literacy, 244 in numeracy, 231 in problem solving (qui siamo addirittura al quartultimo posto): ben al di sotto della media Ocse, che si aggira intorno a 260. Il dato più grave è la carenza contemporanea in tutti gli ambiti cognitivi, ma siamo in “buona” compagnia: Cile, Croazia, Francia, Ungheria, Israele, Italia, Corea, Lituania, Polonia, Portogallo e Spagna compaiono insieme a noi nella parte bassa della classifica. Tra i paesi con il punteggio più alto nelle tre aree ci sono Finlandia, Giappone, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, insieme a Canada, Danimarca, Inghilterra, Estonia, Belgio, Germania e Svizzera che superano il punteggio medio.
Nella comprensione del testo e nei calcoli, il 35% degli adulti italiani ha un punteggio pari o inferiore al Livello 1, cioè il livello inferiore della valutazione: possono capire elenchi e testi brevi e fare operazioni semplici ma potrebbero avere difficoltà nell'interpretare istruzioni, grafici, percentuali e testi più articolati o da più fonti; solo cinque-sei italiani su cento raggiungono il livello di competenze più alto. E solo uno su cento raggiunge il punteggio più alto nella capacità di risolvere problemi.
Il rapporto, costruito sulle schede PIAA - Programme for the International Assessment of Adult Competencies arriva dopo undici anni dal precedente. Brutte notizie se confrontiamo i dati di oggi e quelli del 2013: solo Inghilterra, Finlandia e Norvegia hanno registrato un livello maggiore di competenze, mentre nella maggior parte dei paesi il livello di competenza è diminuito o è rimasto invariato, con cali pesanti soprattutto tra le persone con livelli bassi di istruzione e aumenti tra adulti con titoli di studio più alti.
Cosa significa in pratica
Un dato così preoccupante suggerisce una società sempre più frammentata e disparità ancora più ampie tra le persone. All’interno dell’analisi emerge anche che il livello di alfabetizzazione è diminuito maggiormente tra gli uomini che tra le donne.
Che conseguenze ha sulla popolazione? Minori competenze significano minori possibilità di trovare un impiego soddisfacente e ben retribuito, e le capacità cognitive sono legate anche al benessere psicofisico, alla vita sociale e all'impegno civico. Se non possiamo parlare di un’emergenza in senso stretto è comunque evidente la necessità che autorità e istituzioni si confrontino per ideare strategie efficaci per un’inversione di rotta, prima che questi dati così sconfortanti diventino l’ennesima anomalia italiana a cui ci abituiamo con una banale alzata di spalle.