La tomba di Caravaggio tra erba incolta e abbandono: il grande pittore dimenticato dal suo Paese
Cronaca di un viaggio a Porto Ercole dove Michelangelo Merisi da Caravaggio morì, dopo essere stato portato febbricitante nell'Ospedale di Santa Maria Ausiliatrice che oggi è una casa privata

C’è l’erba alta e incolta. Ci sono nugoli di zanzare fameliche, un silenzio distratto, transenne e nastri delimitanti lavori a metà. Un’aria di generale abbandono, di decoro stonato, di sacralità disattenta. Un’arca funeraria semplice, disadorna e lontana dai fasti del Pantheon riservati ai grandi dalla vita "regolare". Come regalo per il mio compleanno sono andata a cercare dove riposa quello che resta di Caravaggio, a ripercorrere gli ultimi passi claudicanti delle sua esistenza, a passeggiare sulla spiaggia della Feniglia dove sbarcò stremato e febbricitante nell’ultima estate della sua breve vita, dove cercò riparo e dove ebbe le ultime inutili cure prima di farsi abbracciare dalla morte. L’Argentario è una mano a tre dita adagiata su un mare ancora oggi integro, un lembo di terra divenuto approdo per agiate vacanze e buen ritiro di celebrity che non amano troppo il chiasso. E la Feniglia è una spiaggia che in alcuni tratti resta miracolosamente selvaggia, orlata di ginepri schiariti dalla salsedine e di cespugli di elicriso.
Prima tappa: la spiaggia della Feniglia
Nel pellegrinaggio che abbiamo fatto io e mio figlio, nati il 29 settembre come Michelangelo Merisi, la Feniglia è stata solo la prima tappa. Poi siamo stati a Porto Ercole, la cittadina dove secondo le fonti più accreditate Caravaggio ha trascorso gli ultimi giorni in agonia. All’inizio del paese c’è un monumento che lo ricorda, ma per ripercorrerne gli ultimi passi bisogna andare oltre, camminare lungo il porto e giungere ai piedi di un colle sul quale sorgeva l’antico borgo. Una stradina sopra il porto e subito a destra una rampa di scale che conduce alla chiesetta di Sant’Erasmo.
L'ospedale dove morì oggi è un appartamento privato
C’e pure un cartello che pomposamente annuncia un “percorso Caravaggio” peccato che manchi quasi tutto il resto. Tutto qui annusa di abbandono e il portone è chiuso da chissà quanto. Poco sopra c’è quello che resta dell’ospedale di Santa Maria Ausiliatrice. Per arrivarci si salgono altri gradini, infestati di rami quasi a scoraggiarne l’accesso. Oggi è un’abitazione privata, preceduta da una targa che ricorda che tra quelle mura spirò uno dei più grandi artisti della storia dell’umanità assistito dalla confraternita di Santa Croce. Sbirciando da una finestrella laterale chiusa da grate si scorge un altare di marmo, proprio a pochi metri da dove qualcuno oggi cuoce la pasta.
Come tutti i diseredati fu buttato in una fossa comune
A tutti gli effetti sembra che la damnatio memoriae che per quattro secoli ha oscurato lo splendore di un talento cristallino e furioso continui anche oggi, nonostante le sue opere siano le più omaggiate, esaltate, inseguite e perfino millantate. Come tutti i diseredati, Caravaggio fu buttato in una fossa comune. Nessuno ne reclamò il corpo. Nessuno pretese una sepoltura degna se non di un artista immenso, almeno di un uomo. Niente Pantheon per lui (come accade, per esempio, per Raffaello), ma terra e oblìo. Qualche anno fa, nell’innamoramento collettivo per la sua luce e i suoi volti, per la sua umanità di derelitti e per le sue madonne prostitute, quella fossa fu scavata, le ossa riesumate alla ricerca di cadaveri del Seicento.
Le ossa individuate come quelle del Caravaggio
Il carbonio 14 e gli esami del dna sugli abitanti del paese di Caravaggio in Lombardia con il cognome Merisio hanno attestato che cinque di quelle ossa appartengono al corpo del pittore. Una sicurezza fissata all’85% delle probabilità per uno dei tanti misteri che avvolgono la morte e la sorte di questo artista. Così siamo andati a vedere dove riposano quelle cinque ossa imperniate di piombo per lo smodato uso dei colori sulle tele. Per trovarle basta ripercorrere la strada provinciale che conduce a Porto Ercole e recarsi nel piccolo cimitero alla periferia del borgo.
L'arca funeraria
Si entra accolti da un cancello spalancato su centinaia di tombe. Non ci sono frecce né indicazioni ma solo un cartello all’ingresso. Così non resta che incamminarsi e superare i primi muri e i primi slarghi. Sulla sinistra, lontano da tutto e da tutti, ecco la sua tomba o presunta tale. Non c’è la data di nascita e di morte e nemmeno il suo vero nome Michelangelo Merisi. Solo la scritta Caravaggio sormontata da una natura morta, incaricata audacemente di ricordare quelle da lui dipinte. Neanche un fiore tra l’erba incolta e le zanzare. Mio figlio poggia il suo, io il mio. Tutto intorno è silenzio mentre a un chilometro da lì la gente approfitta del sole di questo caldo ottobre per un bagno fuori stagione o per un gelato da gustare davanti al mare.